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Paragone Coronavirus-Spagnola, l'epidemiologo Zorzut: "Avremo altre ondate come allora?"

Il virus influenzale H1N1 della Spagnola aveva subito una mutazione per cui colpiva sorprendentemente i soggetti al di sotto dei 40 anni mentre il Covid -19 è patogeno dai 65 anni in su

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di TriestePrima

Il paragone tra la pandemia di Spagnola del 1918-19 e l'attuale pandemia da Coronavirus, che viene fatto con insistenza da più parti, è sicuramente suggestivo, anche perché si tenta di fare delle previsioni in base a quanto successe allora. La questione merita un approfondimento e in questo articolo si cercherà di vedere se i confronti sono fondati.

La pandemia

L'influenza spagnola fu una pandemia causata da un virus insolitamente letale, che fra il 1918 e il 1919 uccise decine di milioni di persone nel mondo. Fu la prima delle pandemie del secolo. Infatti poi ce ne furono altre molto meno aggressive. Nel 1957 ci fu l'Influenza asiatica (A/H2N2) seguita nel 1968 dalla pandemia Hong Kong (H3N2) che solo nel nostro Paese provocò 20.000 decessi. La Spagnola arrivò a infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo provocando il decesso stimato di 20-40 milioni di persone anche se probabilmente furono di più. In pratica i decessi furono superiori a quelli delle due guerre mondiali. La maggior parte delle epidemie influenzali colpisce quasi esclusivamente pazienti anziani o già indeboliti, al contrario, la pandemia del 1918 fu particolarmente aggressiva con giovani adulti, precedentemente sani.

Impiegò molto tempo a diffondersi

Il virus della Spagnola induceva nei sistemi immunitari più giovani e reattivi, un forte incremento di citochine che avrebbero dovuto avere una funzione protettiva ed invece favorivano l'insorgenza di polmoniti ed emorragie diffuse nel giro di pochi giorni. Nel 1918 il trasporto aereo era appena agli esordi, e l'influenza spagnola impiegò molto tempo a diffondersi attraverso il pianeta, in alcuni luoghi arrivò dopo mesi, in traghetto o in ferrovia, ma alla fine poche zone furono risparmiate. La maggior parte del mondo era impegnata nella guerra e sottoposta alla censura militare, mentre l’unico paese dove l’epidemia e i suoi effetti potevano essere affrontati e discussi liberamente era la Spagna, da cui il nome.

Era davvero influenza?

A ciò si aggiunsero la mancanza di informazioni sanitarie e la condivisione di esperienza pregresse o schemi terapeutici. Ci furono ben tre ondate epidemiche e la seconda fu la più devastante. Nella primavera del 1918 i medici militari intuirono che stava succedendo qualcosa di strano negli ospedali da campo ma le operazioni e belliche fecero passare in seconda linea queste osservazioni Ma era davvero influenza? Tale fu la devastante capacità di contagio e letalità che per decenni ci si chiese se davvero un virus influenzale della famiglia dei Mixovirus avrebbe potuto scatenare una simile ecatombe.

Il caso dei marinai norvegesi morti alle Svalbard

Nel 1998 vennero riesumati i corpi sepolti e conservati nel permafrost di giovani marinai norvegesi, deceduti alle isole Svalbard, e furono prelevati dei campioni istologici, per individuare isolare e mappare il genoma dell'agente patogeno che aveva ucciso quei poveri ragazzi, nel lontanissimo settembre del 1918. Sul luogo delle fosse venne realizzata una struttura a pressione negativa per scongiurare una eventuale diffusione di un agente patogeno ancora infettante, per la criptobiosi si temeva la possibilità che dei microrganismi ignoti potessero riattivarsi in presenza di condizioni ambientali ridivenute favorevoli, anche a distanza di così tanto tempo. Alla fine le analisi confermarono che si era trattato di un virus appartenente alla famiglia dei Mixovirus (A H1N1) di origine aviaria. I virus responsabili delle epidemie influenzali annuali. Quindi si era trattato proprio di Influenza, anche se molto patogena. Ed allora?

Il confronto: il virus è differente

L'attuale pandemia è causata da un virus completamente differente e appartenente alla famiglia dei Coronavirus. Questa è la prima fondamentale distinzione. Mixovirus e Coronavirus sono due famiglie di virus molto diverse tra loro per caratteristiche, modi di trasmissione, tassi di attacco e letalità. Il virus influenzale inoltre muta con cadenza annuale e si ripresenta in autunno inoltrato cosa che i Coronavirus non fanno. E' la ragione per cui il vaccino antinfluenzale deve essere aggiornato e modificato ogni anno. Ma non solo.

La mutazione

Il virus influenzale H1N1 della Spagnola aveva subito una mutazione per cui colpiva sorprendentemente i soggetti al di sotto dei 40 anni mentre il Covid -19 è patogeno dai 65 anni in su. In aggiunta, si diffuse alla fine di una lunga guerra che aveva indebolito le popolazioni dal punto vista sanitario e alimentare. Il segreto militare occultava ogni informazione, in tutte le nazioni belligeranti. Questa è un'altra differenza fondamentale. Oggi, l'informazione grazie ad internet, ai network fra laboratori di ricerca e alla condivisione dei dati scientifici, determina un approccio ed una capacità di risposta molto differenti ed estremamente più rapidi, inimmaginabile nel 1918.

Il paragone non regge

Questo permette di giungere alla conclusione che la “Spagnola” e l'attuale epidemia di Coronavirus non sono paragonabili. Ne consegue che trattandosi di un Coronavirus non c'è alcun elemento oggettivo per potere prevedere o supporre altre ondate epidemiche fra 6-8 mesi o una cadenza periodica annuale, come accade con l'Influenza. Il solo termine pandemia non giustifica paragoni o similitudini tra Mixovirus e Coronavirus, che sembrano non fondate sulle pregresse conoscenze storiche epidemiologiche. La possibilità invece molto più concreta è legata non ad una seconda ondata intraepidemica fra mesi, ma ad a una ripresa sempre della attuale, laddove la Fase 2 iniziata il 4 maggio non venisse affrontata con gradualità e cautela mantenendo il distanziamento sociale e monitorando l'andamento della curva con particolare attenzione a R0 (il tasso netto di riproduzione) e conseguente possibile ripartenza della catena dei contagi.

Le incognite della fase 2

I pazienti possono essere ancora positivi al Covid anche per 20-30 giorni dopo la guarigione e a ciò si aggiunge l'incertezza se gli anticorpi saranno effettivamente protettivi e per quanto tempo. Quindi è una fase 2 avviata con notevoli incognite a cui mancano tre passaggi preliminari fondamentali: i test sierologici per la ricerca delle IgG, per una valutazione dell'immunità di gregge, la geolocalizzazione dei contatti degli infetti e la differenziazione geografica in base al differente rischio epidemico, in ordine decrescente da Nord, al Centro e al Sud con le Isole. 

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