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Cronaca

A vela da Trieste ad Hong Kong, Fabrizio e Matt raggiungono la Malesia

Continua il viaggio del triestino Fabrizio Pizzioli e l'australiano-statunitense Matthew Hampton Wakelling che, lo scorso 3 marzo erano salpati dalle rive di Trieste alla volta della metropoli asiatica. Dopo una pausa, sono ripartiti dall'India. L'aggiornamento del viaggio

Li abbiamo lasciati quasi un mese fa, quando hanno deciso di ripartire e terminare l'avventura che li sta portando da Trieste ad Hong Kong in barca a vela. Temporali equatoriali, pirati, problemi tecnici, sogni, paure e speranze. Il loro viaggio è stato pieno di emozioni e, naturalmente, imprevisti. Fortunatamente il16 dicembre Matt e Fabrizio hanno raggiunto la Malesia. La felicità, in questi giorni, sa di stanchezza e, al contempo, di adrenalina, mentre lo stomaco chiede cibo, quello vero. Ed è proprio in questi casi che ci ricordiamo della bellezza e la straordinarietà delle cose semplici.

Qui, a questo link, potete seguire il loro blog, che riportiamo qui sotto per farvi rivivere la loro avventura.

We sail the silk road: l'incredibile viaggio di due novelli velisti

Il primo temporale

Lasciata l'India, i due avventurieri hanno lasciato anche "la paura, l’ansia e la tensione".  "Siamo diretti verso la punta più a sud del India - scrivono nel loro blog- , e ne seguiamo la costa già percorsa con le Royal Enfield sulle statali Indiane e gremite di mezzi per cui le corsie stradali esistono solo nei libri di fantascienza". E' poco dopo che Nemesis viene raggiunta da un temporale, il primo temporale equatoriale: "Facciamo appena in tempo a vestirci con le cercate che il vento che ci sospingeva dolcemente da dritta cambia in qualche secondo completamente direzione colpendoci da sinistra ed aggiungendo immediatamente i 20 nodi. Lo accompagna una pioggia intensa, secchiate d’acqua ci sferzano, mentre la temperatura si abbassa di una decina di gradi, i fulmini cadono tutt’attorno e come da manuale il mare si calma da una coltre di neve invisibile che smussa tutte le asperità del mare". Grazie ad una buona organizzazione e la prontezza che contraddistingue questi due uomini di mare, fortunatamente, riescono a superarlo "senza paura".

Prima puntata: la settimana in Adriatico

 

Autopitola cavaliere del lavoro

"Fra una tempesta e l’altra non c'è molto da fare in barca, anche se siamo sempre occupati. Il vento soffia leggero e la più grande dote di cui possiamo disporre questi giorni è la pazienza".  E ce ne vuole tanta per i due che, da quel che si legge, si trovano ancora nella Piracy High Risk Zone, mentre l'autopilota li ha portati 30 gradi fuori rotta.

Il problema è legato alla vecchia  bussola dell'autopilota, impossibile da sostituire con le due più sofisticate a bordo di Nemesis.

"Mentre siamo in navigazione sicuramente il tempo non manca. Possiamo impiegarli studiando il manuale dell’autopilota. Ricalibrazione, ecco la parola chiave. Serve uno spazio di mare senza barche. Ce l’abbiamo. Serve mare abbastanza calmo. Ce l’abbiamo. Serve compiere una rotazione di 360gradi in modo costante per circa 3 minuti lungo un largo cerchio. Abbiamo tutto. Come un Giotto del mare inizio a tracciare questo lungo cerchio, lentamente 120gradi al minuto finché sullo schermo compare la scritta PASS. Houston we have completed the calibration! Ripartiamo verso il nostro way point, 30 miglia a sud dello Sri Lanka. And guess what? Qualche minuto dopo siamo fuori rotta. L’autopilota è in sciopero…"

Verso il canale di Suez, la seconda settimana

 

High risk zone

"Ieri la forma degli skiff, l’imbarcazione a forma di canoa, con motori fuoribordo avevano allertato le nostre fantasie e risvegliato alcuni spettri, ma oggi siamo più tranquilli fino a che… una di queste imbarcazioni di circa 6-7 metri si trova proprio davanti a noi a circa mezzo miglio sulla nostra rotta! Ci preoccupa la possibilità di impigliare la chiglia della barca che pesca 2.5 metri e per questo cerchiamo di tenerci a distanza. Facciamo per deviare dalla nostra rotta – non c’è bisogno nemmeno di intervenire sul timone tanto l’autopilota prende iniziative unilaterali- che lo skiff si mette in movimento.

“They are coming toward us!”, allerto Matt, e scendo in cucina a prendere il coltello da caccia siberiano di Yousaf ed un altro coltellaccio da cucina. Risalgo e trovo Matt che armeggia con l’arpione per i tonni… dobbiamo tenerli lontani mica issarli a bordo. Ah! Lego il coltello da cucina al mezzo marinaio per formare una baionetta improvvisata, che completo giusto in tempo quando lo skiff è ormai a pochi metri da Nemesis. Sono in tre, uomini indiani sulla cinquantina – che non siano somali e già qualcosa – e brandiscono del pesce, facendo cenni con la mano sulla pancia. Potevate anche portarci un grande cavallo in legno che tanto non vi facevamo salire…

“Stay away, grida Matt, don’t approach”! Si avvicinano ancora.
“Stay away”!
“Fish ..”
“We don’t need fish”.
“Where are you from”?
“Usa”.
“Just two of you”?
“Yes”.
Mmmhhh ci guardiamo. Bad answer pensiamo …“4 more people downstairs, the usual crew you know”. Aggiunto un po’ tardi ma ci salviamo in corner.

Percepisco che Matt vorrebbe dire che i nostri compagni di viaggio sono giocatori di football americano, ma fortunatamente rinuncia. Abbiamo sconfitto i pirati che salutano cordialmente e se ne vanno con il nostro pesce. Se fossimo stati nello stretto di Bab el Mandeb o, ancora peggio, Golf of Aden ci saremmo caccati sotto. Qui in India abbiamo mantenuto almeno la dignità e non ci siamo buttati ai piedi di tre pescatori pregando di risparmiarci la vita".

Alessandria d'Egitto, l'entrata nel mar Rosso

Somalia, Yemen e il corno d'Africa: tra colpi di stato e droni militari

 

Giro di boa

Per la seconda notte intravediamo a nord, dietro l’orizzonte, la luce fievole che illumina l’aria umida sopra Galle al sud dello Sri Lanka. Stanotte sconfiniamo dal Mare delle Laccadive per ritornare all’Oceano Indiano.
Il vento soffia sui 10/14 nodi ma da circa 70/80 gradi, sostanzialmente la nostra rotta, cosicché dobbiamo risalirlo bolinando. Non è una situazione particolarmente piacevole… Nemesis è particolarmente inclinata anche in bolina stretta dopo gli 11 nodi di vento, ma non ci si lamenta, è una bellissima andatura.
Abbiamo deciso di iniziare con una lunga bolina quanto più chiusa possibile – riusciamo a tenere un angolo di circa 45/48 gradi reali e circa 30 apparenti – verso sud. Le previsioni danno vento forte da est più a nord e una situazione poco chiara a sud. Abbiamo scelto il sud, ci giochiamo il jolly. 
Vedremo domani domani di che si tratta. Probabilmente nulla di interessante, ma sempre meglio di 15 nodi in our nose
 

Qualche nota sulla rotta

"Il nostro nemico adesso è l’assenza di vento. Questi 4, 5 o 6 nodi di vento hanno soffiato per le ultime 12 ore da est circa 70/80gradi, costringendoci a procedere su una rotta di 110/130gradi avanzando molto lentamente verso la nostra meta 1.5/3nodi. Ogni soffio di vento diventa prezioso.

In questo momento si gode. Si è appena alzato un vento di 8 nodi da nord 10/20 gradi che ci sospinge ad una velocità di 5/5.3nodi verso la destinazione il che significa per intenderci 120miglia al giorno contro le 60/70miglia delle ultime 12 ore. Probabilmente non durerà ma bisogna godere di quel che si ha.
Nelle ultime 24ore abbiamo usato 7ore il motore quando il vento scendeva sotto i 4nodi, frutta dolcemente un avanzamento di 70miglia verso l’Indonesia. Mancano ad ora 822miglia all’isola di Sabang nel nord del Indonesia, dove si può con facilità fare una sosta operativa nel caso avessimo bisogno di ripararci o di fare il pieno di diesel. Da lì ci sono ancora 260miglia per giungere a Langkawi.

Il tempo comunque è stabile e per ora meno piovoso di quanto fosse vicino alla costa indiana e singalese, ma il cielo continua ad offrire uno spettacolo di nuvole e colori che rendono il viaggio meno monotono. Tornerò a casa con una collezione di foto del cielo e del mare".

 

Bob's treat

"Avevamo lasciato il pilota automatico con un laconico part-time, come se fosse cosa di poco conto. In realtà, dopo 3giorni di navigazione, il peso di un autopilota che funziona a metà si fa sentire. Specialmente le notti.
I turni sono di 4 ore e li si passa spesso al timone, dovendo prestarci una certa attenzione anche quando non c’è nessun’altra imbarcazione nell’arco di 32miglia nautiche – perché di bolina stretta anche pochi gradi scombinano la navigazione e sono potenzialmente pericolosi. Specialmente durante i cicli di lavaggio: se la nostra barchetta continua a giovarsene dal punto di vista igienico, noi ne faremmo volentieri a meno soprattutto di notte. Le manovre per cambiare bordo o affrontare importanti cambi di intensità del vento sono piuttosto fastidiosi: si passa da 7-8 nodi a 25-30 nodi di vento con cambiamenti di anche 100gradi di direzione del vento in pochi minuti.
Siamo costretti rapidamente a usare il secondo terzaroli e ridurre o rollare completamente il Genova. Anche perché nessuno ci garantisce che il vento non rafforzi ulteriormente rendendo impossibili o molto difficili e pericolose le manovre di riduzione delle vele e di messa in sicurezza della barca.

Ci troviamo così con pochissimo riposo sulle spalle, un paio d’ore per notte, ma non sentiamo la stanchezza per l’eccitazione di procedere spediti verso la nostra destinazione contando le ore che ancora ci separano dall’Asia, finalmente!"

 

Deragliare in mare

"Questa notte dopo l’ennesimo temporale ho trovato un po’ di riposo sul letto per racimolare le forze in viste della nuova lunga notte senza il fedele autopilota, che ti lasciava coricarti sulla panca solo 15minuti alla volta. Impossibile dormire per il mal di testa, ma chiudo gli occhi per rilassarmi ascoltando un po’ di musica dalla compilation weekend chill – non era per questa occasione che l’avevo pensata. Mi rilasso, ma dopo qualche minuto mi pare di essere a bordo di un treno che sta deragliando… 

Deraglia! Siamo fuori dai binari, ne sono sicuro, ma con la stessa velocità con cui è deragliato subito ritorna miracolosamente sulle rotaie, con il solito movimento e suono ritmico.

Richiudo gli occhi, ma prima che finisca la canzone “Stay with me”, usciamo dai binari.. Sento le traverse del treno che fanno sobbalzare il mio vagone mentre freniamo violentemente. Corro fuori come un cieco. Non ho il tempo di mettermi le lenti a contatto e non ho gli occhiali – per ragioni che tralascio – e trovo Matt con una faccia stravolta 30nodi di vento e Nemesis sferzata dalle onde in posizione hive to. Un momento prima procedevamo a 8-9 nodi sul mare e 5-6 nodi verso l’Indonesia, adesso siamo trascinati a 3 nodi verso lo Sri Lanka.  Cosa è andato storto me lo spiega Mr. Wakeling.

Mentre ascoltavo musica chill per i weekend a casa con la mia donna Matt, trovandosi la tempesta addosso, ha iniziato a ridurre il Genova mentre la randa era sul primo terzarolo (ne abbiamo 3). Il vento cresceva fino a 15nodi. Il mio compagno di viaggio cerca di avvolgere il Genova senza farlo sbattere in bandiera. Matt è chino sull’avvolgifiocco con in mano la cima del Genova allentandola con cautela, mentre alle spalle, come Bruto a Cesare, il pilota automatico B&G lo accoltella con 60gradi verso nord nel vento, fino alla posizione appunto in cui l’ho trovato.

Rimetto le lenti, il costume e cerata sopra il corpo ormai fradicio e vediamo di uscirne. Il vento si rafforza e cala in più cicli. Scende la notte, bisogna trovare il momento giusto per risalire sulla giostra con una strambata delicata e ridurre il Genova per ripartire verso est, invece di stare in balia del mare e retrocedere a 8km all’ora.

Matt trova il coraggio per dare il via, forse un po’ precipitosamente, quando il vento scende a 18 nodi. Io sto al timone, un colpo di motore spinge la prua sottovento e partiamo. Matt riavvolge il fiocco mentre ancora sanguina per i colpi vigliacchi del B&G. L’operazione dura un minuto al massimo, ultimi giri per la salvezza del Genova, ma quando è ormai in salvo notiamo che la banda di protezione “tape” si è lacerata un pochino. Roba di poca importanza in realtà perché la banda è una protezione e non la vela stessa. Ma vedo negli occhi di Matt avviliti e depressi come se avessimo disalberato “we destroyed the boat and we damaged the sail, that are unreparable now”. E la stanchezza è là. Derivazione di sonno gli fa vedere una catastrofe dove non c’è. Ma lo conosco già, dopo gli passa.

Gli do il turno e vado al timone. La situazione e sotto controllo. Procediamo a vela e motore per garantirci un po’ di riposo e tranquillità.

Nel mezzo della notte crollo. Mi addormento così profondamente per 15minuti, che quando apro gli occhi non so dove sono e che senso abbiano tutti i numerini sullo schermo. Verifico solo radar, AIS e direzione e richiudo gli occhi per altri 15minuti… Cosi fino al mattino, quando mi avvicino allo schermo per controllare la navigazione e quasi mi viene un infarto: non mi ero per nulla reso conto che il mio turno era finito e Matt si era seduto al timone ad un passo da me. Sono come i gatti, tengo sempre un occhio mezzo aperto…

Resto della mia notte è occupato da sogni vividi che non avevo avuto più da quando abbiamo lasciato l’India, cullato dalle vibrazioni basse del Volvo Penta e il fruscio ritmico del mare. Non si deraglia più questa notte. Domani è un altro giorno".

 

Inseguimenti nell'Oceano Indiano

"Siamo ormai non solo lontani da terra, l’India da dove siamo partiti e lo Sri Lanka che abbiamo circumnavigato, ma anche dalle shipping lanes, o meglio le rotte classiche delle navi che dal Suez, dai paesi arabi e dall’Africa, convengono per lo più sullo stretto di Malacca verso Singapore o per continuare oltre la loro rotta.

Navighiamo abbastanza tranquilli, ma il vento è troppo leggero così ci aiutiamo con un po’ di motore per riuscire a fare qui 4nodi verso la destinazione che ci siamo prefissi.

Mentre pesco senza alcun successo, tanto per avere una distrazione in una giornata piuttosto monotona, noto all’orizzonte un puntino. Naviga a poppa ore 5 difficile dire la direzione perché il plotter non mostra nessun AIS – speriamo funzioni ancora. Il radar comunque traccia il puntino a circa 3 miglia di distanza. Se fosse una petroliera a 3 miglia di distanza non sarebbe un puntino – penso. Ma altrettanto poco plausibile l’idea di un peschereccio, ormai siamo a più di 250miglia dalla costa dell’Isola delle Tigri Tamil". Poco importa non è sulla nostra rotta e non lo sapremo mai.

"Invece 20 minuti dopo guardo di nuovo a poppa ed il puntino si è fatto visibilmente più grande e con l’ausilio del binocolo si possono discernere chiaramente le sembianze di una barca da pesca. “Matt, they are following us! They probably are on their own route and it just looks like it.” Dieci minuti dopo non ci sono più dubbi siamo seguiti lentamente da un peschereccio di una quindicina di metri. Non resta che preparare strategia ed armi. Satellitare alla mano, VHF a portata e distress signal ready to be deployed. Le armi, le solite: un cucchiaio, una forchetta, un mestolo in legno con intarsiato un albero di natale e un coltello. Pronti a tavola! A 500 metri intravvediamo con il binocolo che ci fanno cenno di fermarci. Decliniamo con cortesia inglese l’invito.

Ormai sono a poche decine di metri, arpione a coltello da caccia siberiano del solito Yousaf, alabarda medievale triestina fatta in casa, nascosti in pozzetto. Il problema appare subito chiaro, la loro barca più grande e veloce è in ferro e avremmo sicuramente la peggio in un abbordaggio o peggio una collisione, che potrebbe diventare arma di ricatto. Sono 10 metri, brandiscono pesce e noci di cocco.

“Stay away please we don’t need anything.”
“Where are you from?”

Un momento di esitazione che solo chi conosce Matt molto bene può cogliere. “Se gli dico USA divento una preda ancora più ambita, se dico Netherlands non capiranno nulla…” Meglio lasciarli nel dubbio.

“We are from Netherlands..”
Facce molto perplesse, forse hanno sentito Wonderland.
Sono a 5 metri e fanno per avvicinarsi ulteriormente.
“Stay back!”

Sono 8 o 9 individui di aspetto sicuramente non nord europeo e se possibili più neri dell’abituale. Il più attivo è un personaggio dai pochi denti gialli, dall’aria losca e la capigliatura rasta, che improvvisamente scende in un gavone a prua e risale armato…Bandisce minaccioso un sacchetto pieno di birre fredde! Andiamo in panico, non sappiamo più che fare. “Go away, thank you! We are muslims, no drink.” Le Tigri Tamil si rendono conto del guaio in cui si sono cacciati e virano immediatamente lontani dalla nostra rotta salutandoci cordialmente da lontano come a dire l’abbiano scampata bella. Prima che si allontanano troppo rubo una foto ricordo. Seguiamo con lo sguardo, con un certo rimpianto, le birre fino a vederle scomparire all’orizzonte dentro una tempesta cupa. Time for a whiskey on board of Nemesis!

 

Cavalchiamo il dragone

Dopo due giorni pigri di vento ci troviamo ad avanzare verso l’Indonesia con una velocità inaspettata di circa 6 nodi. I temporali ci continuano a fare compagnia ma pirati e pescatori ci hanno abbandonati. Oltre al vento favorevole, che adesso oscilla fra i 40 ed i 70 gradi con una velocità fra gli 8 ed i 12 nodi spingendoci in un’andatura di bolina abbastanza costante, scopriamo con immenso piacere che per la prima volta dopo circa 6000miglia percorse la corrente ci è favorevole.

La velocità rilevata dal GPS –Speed Over Ground (SOG)- è superiore a quella dello scorrimento sull’acqua -rilevata dal ruotino sotto lo scafo della barca- di circa un nodo, un nodo e mezzo. Questo ci regala per un paio di giorni una velocità (SOG) di circa 6nodi di media che si riflette quasi completamente su Velocity Made Good to Course (VMG CSE) ossia la velocità con la quale ci avviciniamo alla nostra metà.
Il regalo della corrente positiva arriva proprio quando ormai eravamo convinti che fosse un problema di calibrazione degli strumenti che mai avevano registrato una corrente con segno positivo. Oggi abbiamo la prova empirica che in passato la corrente ci ha fottuto alla grande, e di media abbiamo percorso circa il 30% in più sul mare rispetto alla distanza registrata sulla superficie terrestre.

Abbiamo dovuto lottare contro questo subdolo movimento dei mari in gran parte del Mar Rosso, sudato ogni miglia per superare Bab El Mandeb, the Gate of Tears, ed il golfo di Aden.

 

Terra!

"Alle 11 avvistiamo terra ed è Asia, o più precisamente l’isoletta indonesiana di Sebang. Vedere il mio compagno di viaggio da sempre flemmatico e spesso preoccupato non riuscire a contenere il proprio entusiasmo mi riempie di gioia ancor più del profilo montagnoso all’orizzonte. La nostra avventura umana si materializza in questo momento, “all of the sudden everything makes sense -more then ever”.

Alla nostra prima uscita in barca a vela abbiamo veleggiato da Trieste, dall’estremo nord del Adriatico fino all’Asia, passando per il continente Africano e l’oceano Indiano e stiamo entrando ora in Asia. La sensazione è di stupore e quasi non ci crediamo. La bottiglia di merlot cretese comprata ad Heraklion -ed invecchiato in cambusa come si deve per 8 lunghi mesi nell’estate indiana a 30 gradi ed un’umidità monsonica- riemerge in coperta per un brindisi. Il vino è forse da buttare, ma a noi sembra un elisir, siamo in uno stato d’estasi -e probabilmente d’astinenza alcoolica.
Stiamo lasciando Sebang alle nostre spalle ed iniziamo ad affrontare il passaggio dello stretto di Malacca con un bicchiere in mano e nell’altra le previsioni meteo che confermano vento fra i 15 ed i 20 nodi provenienti da 90 gradi est, esattamente dove siamo diretti noi.

Le condizioni si rivelano subito diverse dalla Baia del Bengala e proprio come entriamo nello Stretto -che cosi stretto non è, come la Baia del Bengala è tutto tranne che una baia- il mare comincia a ribollire; le onde si rompono pericolosamente, si increspano, galoppano, trottano e si dimenano, piccole, grandi e medie, per poi calmierarsi, e riprendere poche centinaia di metri dopo a ribollire. Sono i mari che si incontrano, si scontrano; il dragone dell’oceano indiano proveniente da ovest lotta con forze invisibili provenienti da est. Sono venti e onde di diverse origini e culture, parlano lingue diverse e professano religioni incompatibili: si fanno guerra mentre noi ignari viaggiatori ci troviamo impotenti in questo campo di sconfinato battaglia, facendoci largo fra ogni soldato, fra ogni corpo a corpo… sorry, excuse me, beg you pardon, I just want to go east, sorry boys…

Il risultato di questo confronto epico ci affligge e dispera, il dragone bianco -quello della storia infinita- che c’ha accompagnati fino all’entrata dello stretto, soccombe. La marea malacchese dilaga e noi siamo sulla sua strada. Tre a volte quattro nodi di corrente provenienti da est sembrano farci quasi indietreggiare. A questi si aggiungono le onde, bastarde, a rallentarci, battendo come colpi di cannone la nostra prua a raffiche di quattro, fino a spezzare la nostra velocità ed ad azzerarla. Langkawi diventa la nostra Mordor…

Avviliti dal cambiamento proseguiamo lentamente e nonostante la velocità sopra l’acqua continui ad essere eccellente -fra i 7 e i 9 nodi- il nostro avanzamento verso l’isola (VMG CSE) è a tratti poco incoraggiante -anche sotto i 2 nodi. Le onde continuano a spezzarsi creando schiuma bianca. Si incrociano sbuffando sospingendo  Nemesis in direzioni opposte e facendola sussultare e vibrare la vetroresina con un movimento che ricorda le grosse turbolenze che scuotono un aereo che si avventura in un nembo cumulo temporalesco. Anche oggi come ogni giorno alle 15 eseguiamo il rito delle previsioni del tempo scaricando dal satellitare IridiumGo i grid files per PredictWind -l’operazione prende circa 30minuti-, con le previsioni del vento -nei momenti critici anche le previsioni delle precipitazioni. Matt ritiene che le previsioni siano meglio di nulla, io sono scettico sul potere predittivo al di là delle 24ore a meno di fenomeni molto importanti come i prodromi di fenomeni ciclonici. Ma è vero, non c’è altro che le previsioni del tempo per quanto imprecise. Oppure la cicatrice di mia nonna sul labbro e sulla fronte, infallibili, PredictGranma…
Sono passati 40minuti e PredictWind disegna sulla mappa la possibilità di incontrare venti meno ostili su una rotta a circa 50miglia a sud di quella diretta verso Langkawi. Nonostante le nostre opinioni si dissociano leggermente, convergiamo su una posizione di buonsenso: lottare contro il vento per andare a cercare la situazione metereologica più favorevole è una strategia non applicabile, anche perché di questo ritmo 50 miglia + 50 miglia per risalire significano probabilmente due giorni o più, da aggiungere ad un viaggio di due giorni fino a Langkawi e senza la certezza di trovare quello che cerchiamo. Conveniamo comunque che se mai ci fosse la possibilità di scegliere, faremmo rotta verso sud piuttosto che verso nord.

Ed è cosi che il vento invece ci regala una direzione reale di 70-80gradi, portandoci su una rotta di bolina stretta verso sud a costeggiare isola di Sumatra ad una trentina di miglia dalla costa.

Veleggiamo sulla rotta delle grandi navi che viaggiano verso Singapore; anche se il radar e l’AIS mostrano un vespaio impossibile da navigare, in realtà la situazione e molto più gestibile, e le navi rimangono sempre ad una distanza minima (Closest point of Approach CPA) di un paio di miglia. Le petroliere, porta container, e le navi cargo ci vedono e le vediamo attraverso la AIS, sappiamo tutto l’uno dell’altro: rotta COG, velocità SOG, porto di destinazione, lunghezza, larghezza, pescaggio etc. Sono navi che oscillano fra i 200 e 350 metri e procedono ad una velocità fra i 10 e i 15 nodi, 3 – 4 volte la nostra velocità. Non ci sono pescatori per adesso, ed è un grande sollievo.

Procediamo cosi su un unico bordo fino a sera quando il vento comincia a girare fino a portarsi sui 120 gradi rendendo la rotta verso sud assurda (la VMG CSE si azzera perché la rotta è perpendicolare alla nostra meta).
Come concordato, viriamo e ci portiamo su una rotta più o meno stabile verso nord est che oscilla fra i 40 ed i 50 gradi, mentre le nuvole come d’abitudine la sera si raccolgono attorno a noi. Bisogna prepararsi a nuovi temporali e riorganizzare il giaciglio nello spazio semicoperto sotti lo spryhood fra bozzetti, cime tese, winch e strumenti.
Poco male, siamo arrivati all’ultima battaglia prima di raggiungere Mordor.

 

L'otre dei venti

Il vento ci tormenta; cala sotto i 5 nodi per poi rafforzarsi quasi a 30 spinto dalle solite tempeste, e onde contrarie. Con il buio l’occhio non aiuta più a prevedere i temporali e rende difficile preparare le vele ed il passaggio da 5 o 6 nodi a 25 o 30 nodi è troppo repentino ed irregolare. Infatti non tutti i temporali portano venti, dipende da che parte li prendiamo. A volte la pioggia scende senza un filo di vento.
Essere sorpresi con le vele piene di bolina stretta da venti superiori ai 20 nodi di vento può causare qualche problema anche perché non sai mai se il vento cresce fino a 20, 25, 30 o arriverà a velocità ancora maggiori.
Pr precauzione decidiamo che la notte riduciamo la randa sul primo terzarolo e il riavvolgiamo il genova fino a poco prima delle sartie se il vento sale a piu di 16 nodi reale. Issiamo anche la nostra terza vela il Volvo penta d75 q 1300giri/minuto; il basso consumo di 2litri all’ora. L’economia delle nostre riserve i diesel ci permette usarlo per circa 8 giorni di fila, e calcolando anche una media di appena 2,5nodi VMG CSE -verso la destinazione- dovremmo poter coprire circa 500miglia. È la nostra assicurazione. Assunto che il motore non ci tradisca.

Alle 10 di sera inizia il mio turno.

Il vento è costante sui 12 ed i 13 nodi, le onde sono abbastanza lunghe da non interferire troppo con la navigazione -a parte le solite quattro fucilate ogni 5 o 6 minuti che praticamente ci arrestano-, qualche punta di vento estemporanea raggiungere i 16, 17 nodi, ma è raro. Il Genova è pieno, la randa ridotta sul primo terzarolo, disattivo il pilota automatico che riesce a reggere l’andatura e ci porta costantemente fuori rotta di 30 gradi nord o sud. Al timone cerco di mantenere un angolo di vento apparente di circa 30gradi, fatta eccezione quando il vento sale sopra i 16 nodi quando scendere fino ai 25-26 gradi di vento apparente, cosi da alleggerire le vele dalla pressione del vento sena far andar in bandiera il fiocco.

Vista e considerata la situazione generale, veleggio molto piacevolmente fra gli 8 e i 9 sul mare e fra i 4 e 5 nodi SOG. Mi godo ogni miglia che percorriamo e lo smarco mentalmente dal totale che ancora ci separa da Langkawi. Infilo il telefono nel taschino sul petto e mi concedo persino un po’ di musica. E una serata magica e vivo uno di quei momenti catartici in cui ti sembra di essere graziato dalla sorte e ti senti felice perché la vita per 5 minuti non ti tormenta e ti lascia respirare. Accarezzo persino l’illusione di essere in controllo, di dominare gli elementi.

Neanche il tempo di concludere il pensiero e la canzone che con orrore il Genova si apre, il grillo alla base si apre e libera la vela, che inizia ad uscire dalla rotaia dello strallo di prua. Immediatamente orzo per togliere vento dal fiocco e do voce alle mie corde vocali.

“Matt!!! Matt!!!” lo chiamo con una certa urgenza ma senza isterismi, strappandolo dal quel raro sonno che in pochi minuti diventa già sogno e fase REM. Lo rapisco dalle profondità del onirico, con una voce che mi pare identica a quella di Forest Gump quando chiama Capitan Dan.

Matt si sveglia, fra una “f” word e un’altra mentre riemerge nel mondo reale e dopo aver escluso che l’alyard del genova fosse rimasto aperto si precipita a recuperare un altro grillo di riserva e si precipita a prua legato alla life line ma scosso dalle onde che si infrangono a prua. L’operazione è sorprendentemente rapida, il genova è riattaccato alla base dello strallo e senza danni apparenti. Ripartiamo con il cuore in gola per il rischio che abbiamo corso di perdere la vela. Ci è andata bene, solamente una quarantina di centimetri di vela sono uscite dalla rotaia dello strallo, procediamo in queste condizioni fino al mattino, tenendo d’occhio la rottaia. Con la luce del mattino allentiamo l’alyard e risistemiamo la vela nella rotaia. Scampata bella sta notte.

L’alba è uno spettacolo.

 

Più ti avvicini, più ti allontani

Come sempre alle 6 di mattina inizia il mio turno. Prima cosa guardo la nostra posizione sulla mappa; le 4 ore passate a dormicchiare sotto lo spryhood non sembrano aver avuto un impatto significativo sul avanzamento del puntino che ci rappresenta. Siamo sempre piuttosto vicini alla costa Indonesia e siamo sempre incredibilmente lontani  dall’isola di Langkawi. Il vento è sui 6-7 nodi qualche punta di 8nodi. Ormai ho imparato a dominare la mia impetuosità e non spiego immediatamente tutte le vele al primo vento, come regola generale mi sono imposto di aspettare 10minuti prima di agire; se in questo lasso di tempo il vento si mantiene sui 7-8 nodi, apro il Genova.

Passati i dieci minuti di vento sufficiente -che mi consentono anche di essere più o meno sveglio, posiziono il genova e regolo la randa, ma neanche il tempo di godere dei benefici del soffio di Eolo che la vela si affloscia e inizia a sbattere costringendomi a riavvolgerlo. Rimango con la corrente bastarda e  l’onda irregolare  che ci portano ad una velocita che se continuiamo cosi arriviamo fra una settimana.

Non c'è nulla da fare, nella stanchezza vengo sopraffatto un senso di impotenza e frustrazione. La lentezza diventa così la protagonista della giornata, portandoci quasi all’esasperazione. Se in questo momento ci fosse qualcuno ad osservare la scena la scena converrebbe sicuramente sulla necessita di ricoverarmi in un centro di igiene mentale. Parlo solo, insulto il mare, il vento, e soprattutto la corrente, mi agito, vago da una parte all’altra della barca, mentre Matt dorme ignaro sotto coperta -dorme sul divano, con un caldo e soprattutto un’umidità che di mattina sembra la sacra sindone e la siluette del mio compagno di viaggio si vedere per ore sul divano. Fa rabbia perché nonostante tutto procediamo sempre sopra ai 5nodi sul mare, ma la velocità verso la destinazione fa poco di più di un nodo.

Nel frattempo sole lascia posto ad un fronte di nuvole scure cosi basse che sembrano quasi toccare l’apice dell’albero e che si innalzano cosi alte sul mare da costringere gli aerei a deviare la loro rotta per non farsi frullare dalle correnti ascensionali. Noi invece non possiamo evitare la tempesta, speriamo almeno faccia cambiare il vento. Qualunque cosa andrebbe bene, basta ci sia vento. Ma il primo vento intenso si smorza in qualche minuto lasciando spazio ad una pioggia intensa senza vento. Sotto il peso della pioggia il mare sembra una distesa di neve che lascia sopravvivere solamente le onde lunghe. Siamo all’interno di un sistema meteorologico piuttosto esteso; un grigio plumbeo indistinto senza inizio ne fine, nel quale non si riesce ad immaginare la posizione del sole.  Solo pioggia più o meno intensa, poco vento e una velocità che non ci lascia altra opzione che preparare il Natale in barca.

 

Sarà l'ultima notte?

Passano lunghe ora sotto la pioggia grigia, il poco vento gira e noi lo seguiamo come meglio possiamo. Com’è frustrante… passano le ore ma sembrano infinite.

Tardo pomeriggio il cielo a sud si schiarisce, siamo usciti dal grande sistema meteorologico e ci troviamo a sud di del maltempo che traccia una linea d’ombra, il regno delle tenebre poche decine mi miglia da noi.

Non bisogna soccombere al tedio e alla lentezza, ci vuole azione al costo di inventarsela. Le previsioni dicono che il vento dovrebbe riprendere a soffiare a breve, dobbiamo essere pronti ad usarlo al meglio. Un whiskey giapponese per ingranare e si parte, non staremo a guardare questa sera, mancano ancora una ottantina di miglia e noi ce le guadagneremo.

Con il calar della sera, il vento inizia a soffiare, come c’attendavamo, era ora!!!

Una decina di nodi da est, 90 gradi; iniziamo a bordeggiare, e sul bordo nord davanti a noi si para subito una nube bassa nera e minacciosa, che scarica cosi tanta acqua da far paura.

Eh che cavolo ci siamo appena asciugati un pochino.

 Ma dobbiamo proprio infilarci sotto quella nuvola ed il fronte nord? “ – Fab

No way to escape, see how fast they move – Matt

Well we can still try, wouldn’t hurt trying!!

OK, lets try.

Viviamo la piccola illusione di prendere il destino nelle nostre mani invece di subire passivamente gli eventi e

viriamo velocemente verso il cielo luminoso serale passando sul bordo verso sud. Scivoliamo velocemente sul mare a quasi dieci nodi con un vendo che ora è salito a 13-15 nodi. Sorpresa il temporale ci pasa a fianco a nord mentre noi veleggiamo verso il bel tempo ed evitiamo il temporale mentre scende la notte.  Una piccola soddifsazione che ci rida morale e ci regala l’ottimismo di raggiungere Langkawi dove Andreea ci aspetta ormai da 4 giorni impaziente di rivedere il suo marinaio.

Bordo dopo bordo entriamo in una notte secca senza pioggia e dopo molto tempo riconquistiamo un’andatura decente che ci permette di contrastare la dannata corrente.

Sto al timone mentre Matt riposa sotto lo spyhood per non lasciare che l’autopilota difettoso ci faccia perdere tempo uscendo dal vento.

Che piacevole sensazione, durante tutta la navigazione i momenti più belli li ho vissuti di notte, accompagno da a volte da delfini spesso dalle stelle nel buoi che ti regala un’intimità solitaria in cui il mare sembra essere più vicino, la natura tua complice, gli astri tuoi amici e la luna tua amante. Sarà di questo passo l’ultima cavalcata notturna prima del nostro arrivo, e me la godo forse un po’ di più pensando a quanto mi mancherà tutto questo quando tornerò a Itaka, ops a Trieste.

Con la barca sbandata di dritta continuo la cavalcata solitaria, quando improvvisamente e senza preavviso, out of the blue, vedo il genova slabbrare, allentarsi e scendere mentre il vento tira a 15nodi. La scena si ripete: Matt!! Matt!! La voce di Forest Gump esce di nuovo.

Matt si alza. Ricontrolla la drizza del genoa ma niente da fare, mi rendo conto che si e strappata l’asola che tiene su il fiocco che sta ora scendendo lentamente. Porto rapidamente la prua nel vento, per fortuna non sta scendendo e si è arrestato dopo un metro e mezzo. Corro a prua e cerchiamo di riavvolgerlo, ma la vela mal organizzata e in bandiera blocca l’avvolgifiocco e diventa troppo pesante. Perdiamo anche un bozzello di poppa per la troppa tensione sulla cima dell’avvolgifiocco. Bisogna evitare che il Genova vada a finire in acqua, lo assicuriamo al bozzello del Gennaker.

Se il buoi non ci aiuta per nulla, il miracolo avviene quando il vento da 18 nodi scende fino a 4-5nodi. Abbiamo il tempo di srotolare il Genova e riavvolgerlo accompagnandolo con attenzione sopra l’avvolgifiocco. Non è un operazione facile, e dobbiamo rifarla più volte ma alla fine con grande difficulta riusciamo a riportare il Genova in sicurezza attorno allo strallo di prua. Anche pochi metri quadrati di vela con un vento assolutamente moderato generano una forza che non è controllabile dalla forza di un uomo. Con un po di fortuna e un po di prontezza completiamo con successo l’operazione e lego la vela in due punti per non farlo riaprire mentre Matt usando la drizza del Gennaker lo avvolge e lo assicura in modo non si apra durante la notte che ci aspetta.

Solo ad operazione finita sento le gambe che tremano, un po per lo sforzo, un po per lo stress di una situazione avrebbe potuto sfociare un disastro irreparabile.

Come per opera divina, appena risistemato il fiocco il vento ritorna a soffiare sui 15nodi. Abbiamo una sola vela, che dobbiamo usare con grande cautela; anche se il vento di norma non lo richiede riduciamo la vela sul primo terzarolo e procediamo a vela/motore. Rimpiangiamo il vento che non possiamo usare appieno, ma siamo ancora in corsa e dobbiamo finire in bellezza; 6nodi sul mare restano comunque un progresso significativo verso Mordor.

Il resto della notte ci regala poco sonno, non vogliamo altre soprese, stiamo a turno al timone fino alle prime luci del giorno.

 

Ultimi bordi

Durante la notte l’autopilota ci ha lasciato dormire davvero poco; ci siamo alternati al timone anche se di vento ce n’è davvero poco. A tarda notte intravvediamo finalmente i bagliori dietro l’orizzonte, Ko Adang e Ko Lipe sulla sinistra e di fronte, più tenue perché più lontane le luci di Langkawi. Dobbiamo risalirle la corrente come si risale il vento, bordeggiando. È uno stillicidio, mancano ormai solo 45miglia, ma l’avanzata è lenta, lentissima. Ma inesorabile… prima o poi arriveremo. Con le prime luci del giorno, i bagliori che ci regalavano la vicinanza della meta scompaiono e la vista ci regala di nuovo una distesa d’acqua senza interruzione. Le isole sono scomparse.

Un grande cambiamento si profila, invece dei giorni iniziamo a contare le ore che ci separano dalla meta e possiamo programmare lo sbarco a terra. Andreea questa mattina si recherà sul isola di Rebak dove si trova la marina; il problema è che dopo le ore 17 non ci sarà più possibile entrare in porto perché la marina chiude. Se non arriviamo prima di quell’ora, dovremo calare l’ancora e restare alla rada, niente grande cena e festeggiamenti al ristorante quindi, ed inoltre siccome il winch dell’ancora non funziona, si prospetta del lavoro manuale.  Inoltre Dio solo sa dove andrà a dormire Andreea visto che ha disdetto l’albergo.

E' davvero frustrante, siamo cosi vicini ma questa andatura -meno di due nodi VMG SE- non ce la faremo ad arrivare in tempo. Matt al timone le prova tutte, ma non c’è molto da fare, corrente e onde ci dominano e più che portare il motore a 1500giri non possiamo fare.

Tarda mattinata. Andreea lascia il suo albergo e raggiunge il jetty che porta all’isola di Rebak; scommette sul nostro arrivo in tempo ma incontra le prime difficoltà quando non vogliono nemmeno farla salire sulla navetta che collega Langkawi a Rebak perché l’isola è riservata agli ospiti del resort e agli equipaggi delle barche ormeggiate in marina.

Siamo in contatto email via satellitare -che non è la maniera più fluida per comunicare. La direttrice della marina non sembra essere una persona di grandissima disponibilità ma nonostante tutto alle 12 Andreea riesce a mettere piede sull’isola per essere relegata nella zona bar da cui non si può spostare per ragioni di sicurezza. Siccome noi non riusciremo mai ad arrivare entro le 5 le consiglio di trovare un nascondiglio, magari nascondirsi in bagno o in qualche magazzino, quando arriviamo organizziamo uno sbarco illegale per salvare mia donna.

È quasi l’una quando le montagne di Mordor appaiono all’orizzonte, TERRA!!!

E' tempo di un brindisi con l’ultimo whiskey, anche perché d’improvviso, probabilmente scompaiono onde e corrente e la nostra rotta può procedere direttamente verso Andreeina senza più essere costretti a bordeggiare. I 4,5nodi dovrebbero portarci alla marina poco prima delle 5,  viviamo la certezza di farcela e finalmente possiamo goderci la tanto agognata cavalcata finale, anche se non cosi gloriosa come avrebbe potuto essere perché privati del vento ammainammo le vele e procediamo a motore mentre il Genova arrotolato come un salame testimonia delle nostre nottate e non ci fa onore -Matt se ne vergogna parecchio, ed insiste di togliere la vela prima di entrare in marina, ma l’operazione è rischiosa in mare e lo convinco ad aspettare la terra ferma. Davanti a noi terra finalmente, e non i deserti di privazione del Sudan la desolazione di Suakin lo squallore del Gibuti o l’isolamento di Sokotra. Davanti a noi si delinea un isola salgariana, coperta da rigogliose foreste, che si calano fino a spiagge di sabbia dorata fra scogli e grotte. In lontananza con il binocolo intravvedo degli alberi bianchi: altre barche a vela, non siamo soli, non siamo più soli.

Issiamo la bandiera di cortesia malesiana, mentre ci pregustiamo terra, il cibo, la cultura, la gente -ma soprattutto il cibo, negli ultimi giorni non abbiamo mangiato praticamente nulla.

Alle 4:40 arriviamo all’ingresso della marina, ci prepariamo trasformandoci da selvaggi a uomini bianchi civilizzati: vestiamo con pantaloni lunghi e camicia bianca, siamo lavati, profumati e sbarbati, quasi presentabili.

Ecco ci siamo, un canale si apre fra le pareti della montagna in una fitta giungla per condurci fino alla grande marina Rebak. Cerchiamo l’area D, posizione 5, mentre i miei occhi scrutano i moli alla ricerca di una ragazza bellissima dai tratti delicati ed esotici.

Eccola poco più in la che ci fa dei cenni con la mano con la delicatezza ed eleganza che le appartengono, mentre entriamo con garbo nel porto. Ultima manovra, entriamo di prua -cosi da avere un po di intimità a poppa quando staremo in barca. Assicuriamo la barca rapidamente e salto sul finger per riabbracciare Andreea, che emozione. Sono ancora scompensato ma già mi sto recuperando.

Sono le 4:55, dopo 18giorni di navigazione arriviamo 5minuti prima della chiusura della marina e ultimo giorni di prenotazione dell’albergo di Andreea. Precisi.

Aver raggiunto la nostra meta è un grandissimo sollievo gioia e soddisfazione. Ci abbracciamo e baciamo. Anche Matt nel suo selfcontrol inglese partecipa della gioia che qualcuno sia venuto ad attenderci, qualcuno con cui condividere la nostra piccola fresca esperienza le nostre sensazioni emozioni e la nostra fame profonda. E una gioa calda che ci sembra di meritare celebrata con un brindisi con l’ultima bottiglia greca di vino rosso che avevamo lasciato per quest’occasione.

Per cena il ristorante della marina propone un buffet. “They will regret, I ll eat it all…” scherza Matt che si propone di recuperare 7 giorni di digiuno in una serata. Ci vorranno diversi giorni per riempire le nostre pance vuote, il cibo non ha mai avuto un sapore cosi buono, qualunque cosa mangiamo.

Ora ci aspettano due giorni per risistemare Nemesis, non ci sono problemi trascendentali ma il lavoro non manca. Bisogna adesso (ri)traformala da una barca a vela oceanica ad un luxury yacht per girare le isole della Malaysia e Thailand!

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