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Cronaca

"Non sono sua figlia", a 46 anni decide di 'disconoscere' il padre adottivo

Dopo aver riconosciuto il vero padre dall'empatia e dai tratti somatici orientali, instaura con lui un vero rapporto filiale e si rivolge al Tribunale per disconoscere la paternità dell'uomo con cui ha sempre avuto un pessimo rapporto, e che era "costretta" a chiamare papà

All'età di 46 anni si rivolge al Tribunale per disconoscere la paternità dell'uomo che ha sempre dovuto chiamare papà, ma con cui non aveva né un legame biologico né un rapporto affettivo. La sentenza di 'disconoscimento' è stata recentemente pronunciata dal Tribunale in sede collegiale, così come prevede il codice di rito - stante l'importanza della materia trattata-, dal giudice istruttore la dottoressa Sabrina Cicero. La donna è stata patrocinata dall' avvocato Giovanna Augusta de'Manzano, mentre la madre è assistita dall'avvocato Maria Elisabetta Hoenig Pellegrini e il 'patrigno' dall'avvocato Alessandra Lovero, nessuno dei quali si è opposto alla domanda della 46enne.

La storia

Ricostruendo dall'inizio, la protagonista di questa storia viene riconosciuta dalla sola madre, di cui prende il cognome, e nei primi cinque anni di vita viene di fatto cresciuta dai nonni materni. Nel frattempo la mamma ha altri due bambini e, due anni dopo aver partorito il figlio più piccolo, sposa un uomo che riconosce i tre figli, dà loro il suo cognome e li porta tutti a vivere insieme. Trasferimento "forzoso e traumatico" per la figlia maggiore, che si ritrova, di fatto, a vivere con degli estranei. Il rapporto col nuovo 'papà' è pessimo e lei acconsente a chiamarlo così per mera cortesia. Questa persona si rivela anaffettiva e brusca, e, come dichiarato dalla figlia stessa, "spesso alzava le mani su di noi".

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Il vero padre

Intanto, dopo svariati anni, la famiglia riceve la visita di un “amico della mamma” da un paese lontano, con tratti somatici orientali, il quale instaura un'intesa immediata con la ragazza, che verso i 16 anni intuisce che si tratta del suo vero padre. Qualche tempo dopo la madre si separa dal marito e l'"amico" in questione si palesa alla famiglia dichiarando l'effettiva paternità. Da quel momento i due instaurano un rapporto intenso, ancora oggi la figlia va a trovarlo nel suo paese, anche accompagnata dai suoi bambini. Nulli i rapporti con il 'patrigno'.

La sentenza

Il cosiddetto 'disconoscimento di paternità' (che in questo caso è giuridicamente definito come 'impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità'), è un procedimento piuttosto raro, forse per il tabù che reca con sé, e a Trieste negli ultimi anni non sembra ci siano state molte domande giudiziali con questo oggetto. Così dichiara in merito l'avvocato della 46enne, Giovanna Augusta De Manzano: “Nella cultura di quarant'anni fa, concepire un figlio al di fuori del matrimonio era sicuramente uno stigma sociale, a cui le donne rimediavano come potevano, con i mezzi che avevano. Sono felice che la mia assistita ora possa, grazie all'intervento del Tribunale, sistemare una genealogia, farsi a breve riconoscere dal vero padre e recuperare pezzi di nuova identità. La Giustizia serve proprio a questo, cioè a risabilire equilibri che si sono in qualche modo rotti”

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