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Cronaca

Giornata della memoria: a Miramare due dipinti del Parin

Il famoso ritrattista triestino realizzò i ritratti del re e della regina d’Italia ora esposti negli appartamenti del Duca. Morì nel campo di concentramento di Bergen Belsen

Tra le diverse iniziative legate al Giorno della Memoria che realizzerà la Comunità ebraica di Trieste, martedì 29 gennaio ci sarà l’installazione di 13 nuove Pietre d’inciampo - un inciampo metaforico che vuole provocare il ricordo e la riflessione in chi vi si imbatte camminando per la città - in nove siti cittadini. Tra queste, in via Torrebianca intorno alle 12, verrà posizionata quella che ricorda il pittore Gino Parin, che nacque a Trieste nel 1876 e morì nel campo di concentramento di Bergen Belsen nel 1944 e di cui Miramare conserva due pregevoli ritratti, del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e della regina d’Italia Elena di Montenegro, del 1930 e 1931.

Il "pittore delle belle donne"

Famoso come “pittore delle belle donne”, Parin si chiamava in realtà Federico Pollack e fu anche un disegnatore raffinato e di sorprendente abilità tecnica e creativa, nonché interprete sagace e originale del simbolismo belga e del linguaggio secessionista d’Oltralpe. Grazie a queste qualità, a conclusione della fortunata mostra personale a Palazzo Doria di Roma nel 1930, gli vennero commissionati i due dipinti che sono esposti nella sezione degli appartamenti del duca d’Aosta, nella stanza da letto della duchessa. Mentre la regina è ritratta seduta su una poltrona di velluto rosso – molto simile a quella che si trova nella Sala del trono del museo - il re, senza retorica e apparato, è effigiato a figura intera tagliata alle ginocchia in uniforme verde militare sulla quale si riconosce la placca dell’Ordine supremo della SS; sullo sfondo, secondo lo storico coevo Silvio Benco - si riconosce il parco di Miramare. La cornice del ritratto conteneva in precedenza un quadro raffigurante l’imperatrice Elisabetta d’Austria. Parin non ritrasse i sovrani dal vivo ma da riproduzioni fotografiche; lavorò per cinque mesi per 19 mila lire. Fatalmente, Vittorio Emanuele III, che tanto favorevolmente aveva ricevuto Parin in udienza, fu il responsabile, a causa della promulgazione delle leggi razziali nel 1938, dell’esclusione da ogni attività espositiva del pittore.

Gino Parin figlio di ebrei ashkenaziti, come Arturo Nathan, anche lui ucciso nella Shoah, era lontano dalla religione dei padri e tornò ad essere “ebreo” agli occhi dei persecutori che lo deportarono nel campo di concentramento della bassa Sassonia dove morì anche Anna Frank, tragico epilogo di un’esistenza incominciata sotto tutt’altro segno, nel clima di tolleranza e rispetto dei diritti civili maturato a Trieste nei due secoli precedenti e promosso dalla politica degli Asburgo.

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