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Cronaca

"Mister te sarà ti, mona", 40 anni senza Nereo Rocco

Il 20 febbraio 1979 se ne andava una delle figure più grandi del calcio italiano del Novecento. "El paron" portò il Milan a vincere tutto e disegnò traiettorie calcistiche, di psicologia sportiva e di umanità che moltissimi allenatori ripresero nelle loro carriere. Questa sera a Trieste la messa in ricordo

“Mister te sarà ti”, “Che vinca il migliore, speremo de no” e molte altre espressioni sono diventate patrimonio degli appassionati di storia del calcio italiano. Le frasi sono del grande allenatore triestino Nereo Rocco, di cui oggi 20 febbraio ricorre il quarantesimo anniversario della morte.

"Ciò mone, xe solo futbol"

“El paron”, come venne soprannominato Rocco – le cui origini famigliari erano austriache, il cognome infatti venne italianizzato durante il fascismo ndr – ha segnato l’epopea del Novecento calcistico in Italia. Buon giocatore da giovane (riuscì a vestire anche la maglia della Nazionale A negli anni Trenta ndr) una volta appesi i “tretter” al chiodo scrisse tra le pagine più suggestive del “futbol” a cavallo tra la fine degli anni Quaranta e la metà dei Settanta.

Sul Rocco allenatore

Allenatore per tre decenni, Rocco fu amato dai propri giocatori, dai giornalisti e dai tifosi. Condusse magistralmente la Triestina al secondo posto in serie A nel lontano 1947-1948 (davanti il Grande Torino vinse agevolmente senza grandi problemi, un po’ come la Juve di oggi ndr) e rivitalizzò il calcio di provincia a Padova, prima di fare il grande salto al Milan.

È qui che Nereo disegna le traiettorie migliori della parabola poetica del calcio di Rivera e soci. Prende giocatori che tutti danno per finiti, li coccola e regala seconde giovinezze a tanti interpreti. Vince praticamente tutto: è il primo allenatore a portare la Coppa dei Campioni in Italia con la vittoria rossonera sul Benfica di Eusebio a Wembley nel 1963, la rivince demolendo l’Ajax di un giovanissimo Johann Cruijff nel 1969, conquistò due Coppe delle Coppe nel 1968 e nel 1973 e si laureò campione del mondo per club, vincendo la Coppa Intercontinentale dopo la battaglia contro l’Estudiantes nel 1969.

Il calcio dell'epoca: nessuno come lui

Le interviste con i giornalisti rimangono sospese in un’atmosfera trasognante, sicuramente d’altri tempi. Il calcio era diverso all’epoca, ma certamente alcuni registri espressivi e di relazione oggi sembrerebbero fuori luogo. Ed invece, per quello che è stato scritto e raccontato sulla sua figura, Nereo Rocco ha “illuminato” il calcio soprattutto grazie ad un’autenticità senza eguali.

Negli anni al Milan voleva le famiglie vicine alla squadra, affidando, nei primi anni della sua permanenza lombarda, la squadra al triestino Cesare “Cece” Maldini. Fu proprio “el mulo de Servola” ad alzare la prima Coppa dei Campioni della storia del calcio italiano. L’immagine che li ritrae sulla tribuna del tempio del calcio inglese del nord-ovest di Londra segna definitivamente un’epoca. Rocco morì in una stanza dell’ospedale Maggiore di Trieste la sera di 40 anni fa esatti. Il dottor Monti lo assistette – facendosi mandare “in mona” – fino all’ultimo respiro. Gianni Rivera fu amico fraterno del "Paron", così come buona parte dei giocatori che ebbe la fortuna di allenare. 

La messa in ricordo del "Paron"

A quarant'anni dalla sua scomparsa, Nereo Rocco verrà ricordato questa sera alle ore 19.00, con un a messa officiata da don Ettore Malnati nella Chiesa Cattolica Parrocchiale Nostra Signora della Provvidenza e di Sion, in via Don Minzoni a Trieste. L'U.S. Triestina Calcio 1918 parteciperà alla cerimonia con una delegazione.

Il ricordo sui social

Sono stati moltissimi i ricordi, le dimostrazioni d’affetto che anche sui social sono comparse nella ricorrenza di oggi. Abbiamo scelto una delle più toccanti, quella di Marino Bartoletti, uno dei più grandi giornalisti sportivi di questo paese.

“Mi vanto di essere stato suo amico (col rispetto con cui potevo usare la parola “amicizia” verso una persona che aveva l’esatta età di mio padre). Mi di avergli voluto molto bene. Non posso vantarmi, perché è stata solo fortuna, di averlo potuto frequentare, assaporare, ammirare, vivere per giorni e giorni, per anni e anni. Nel momento più bello della mia carriera professionale. E chi non avuto la gioia di vivere quei tempi di umanità applicata al calcio non potrà mai capire”.

“In un mondo in cui tutti pensavano (e pensano sempre più) di aver inventato il calcio, lui, da giovane allenatore all’esordio in panchina issò al secondo posto in campionato alle spalle del Grande Torino la sua Triestina appena ripescata dalla retrocessione. È stato un maestro di psicologia facendo finta di non esserlo. Al di là dei suoi meriti tattici certificati dalla pietra della leggenda, ha se non inventato certamente portato alla perfezione il concetto di “spogliatoio”
La definizione “maestro di vita” sta a pennello a pochi come a lui. Maestro di tutti. Una volta ebbi la stupidità, per colpa di un collega perfido che amava seminare zizzania, di alzare la voce per replicargli. Avevo ventotto anni. Mi venne vicino: mi diede uno scappellotto e poi mi abbracciò. Fu una delle più grandi lezioni che abbia ricevuto in vita mia. Una vita, ripeto, resa fortunata dal fatto stesso di aver incontrato un Uomo così.  Ero con Gianni Brera, più suo fratello che suo amico, il giorno in cui gli venne chiesto di scrivere il pezzo sulla sua morte. Strinse la mascella: si buttò sul carrello della “Lettera 22” stritolando il sigaro toscano: “E’ morto Nereo Rocco e io non debbo nemmeno pensare di poter piangere. I miei sentimenti non contano. Tanto più sarò suo amico, quanto meglio riuscirò a ricordarlo senza frapporre l’amicizia fra me e il mio lavoro insolente. Addio Nereo, ti sia lieve la terra”  

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