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Cronaca

Monica Bellucci al Trieste Film Festival: «Avrei voluto fare l’ostetrica»

La diva del grande schermo racconta se stessa e la sua avventura "acrobatica" nel cinema balcanico: «Emir Kusturica? Un mago e un veggente»

Il Trieste Film Festival ha portato Monica Bellucci a Trieste per onorarla con l’ “Eastern Star Award”, un premio cinematografico per aver gettato un ponte culturale tra Europa dell’est e dell’ovest. Il suo “buongiorno” filtra inconfondibile in sala stampa: la voce di un’icona sexy ma anche di una vampira, una regina e una bond-girl, una voce che a inizio carriera, in un paio di occasioni è stata coperta dal doppiaggio. Poi l’abbiamo sentita crescere, affinarsi, fino a diventare potente e iconica come il corpo da cui proviene. E che, tuttavia, non smette di essere un gentilissimo sospiro.
Monica Bellucci saluta guardando tutti negli occhi, uno alla volta. La naturalezza è quella di chi fa gli onori di casa, non di chi vuole sedurre a tutti i costi. Eppure, giocoforza, lo fa.
Difficile immaginarla in panni diversi da quelli di una diva, eppure rivela un inaspettato piano B: «Se non avessi fatto l’attrice avrei di certo lavorato coi bambini. Forse sarei stata un’educatrice, o ancor meglio un’ostetrica».

Il film “On the milky road” di Emir Kusturica è la sua ultima fatica cinematografica, senza eufemismi: «Le riprese sono durate tre anni e mezzo, c’era bisogno di molto sole quindi si poteva girare solo tre mesi l’anno. Ho dovuto nuotare in acque gelide, correre a perdifiato e saltare da cinque metri, cose inadatte a chi, come me, non si dedica all’attività fisica (a malapena faccio un po’di ginnastica)».
Una storia di guerra in cui lo stesso Kusturica interpreta un lattaio che porta il rancio ai soldati sfidando le pallottole e incontra una donna che porta con sé grandi segreti. Monica recita in serbo, una delle tante  prove linguistiche della sua carriera: «All’inizio mi sembrava impossibile, ma Emir Kusturica ha un’energia quasi soprannaturale e mi ha spinto a tirar fuori delle risorse che non sapevo di avere. Io e lui interpretiamo due persone non più giovani che hanno perso interesse verso la vita, e poi l’amore rimette in moto grandi cose, il film è un inno alla speranza e alla forza vitale. Emir, come molti grandi registi è una sorta di mago o veggente, in grado di leggerti dentro cose che neanche sapevi di avere».
E Kusturica è solo l’ultimo dei “maghi” che hanno scritturato Monica: da Coppola a Tornatore, fino ai fratelli Wachowsky e a Mel Gibson. È stata una delle “bambole” sexy di Carlo Vanzina (“I mitici, colpo gobbo a Milano”) e poi la bambola ha preso vita, pronunciando (in più lingue) i copioni del grande cinema d’autore. Sorge una riflessione, che condivido con lei.

Monica, tu hai inferto un duro colpo all’idea di donna oggetto nell’immaginario collettivo, e questo perché sei un’icona di sensualità ma anche volto di grandi e complessi personaggi femminili. È per questo che sei ammirata sia dagli uomini che dalle donne? 
«Non saprei, non ho seguito un programma, mi sono limitata a scegliere film e registi in grado di emozionarmi e farmi sentire viva. Se adesso rappresento qualcosa per le donne è solo perchè altre donne hanno rappresentato qualcosa per me, come Rita Levi Montalcini o Anna Magnani. Donne che hanno parlato al mio cuore con il loro lavoro e la loro arte. Con la loro forza e il loro dolore mi hanno ispirato, sono quello che sono grazie a loro».

In un'intervista hai detto: “Il senso di colpa ci uccide, ma ci fa anche belli. Chi non ne ha è una persona pericolosa”. È la riflessione di qualcuno che si è calato in tutte le sfumature dell’animo umano, o almeno 52, come i film che hai interpretato. Ruoli eroici, comici e anche maledetti: quali ti emozionano di più?
«Tutto è interessante, dipende dal modo in cui lo si racconta. La commedia può essere di altissimo livello se raccontata in modo sarcastico e pungente, in Italia siamo padroni in questo senso. Tra un po’ uscirà la commedia “Mozart in the Jungle” dove interpreto una cantante d’opera fallita, riportata sulle scene da un giovane direttore d’orchestra (Gaél Garcia Bernal) che la aiuterà a superare la paura di vivere. Mi piacciono soprattutto le commedie che diventano metafora delle questioni tragiche della vita. Quando si ride della tragedia significa che il lavoro artistico è grande. L’arte è essenziale, rappresenta l’anima degli uomini, motivo per cui le dittature cercano di distruggerla».

Che tipo di ruoli, invece, ti annoiano? 
«Ah, non lo so (sorride, ndr). I film che non mi piacciono non li guardo, non li saprei descrivere».

Il sorriso di Monica Bellucci, quando vuole tenere il riserbo su qualcosa, ricorda una discreta tenda di velluto. Non sapremo mai se si è pentita di aver accettato un ruolo, e tutto sommato ci va bene così, perché il mistero e l’eleganza sono le discriminanti tra una qualunque celebrità e una delle ultime dive esistenti.
 

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