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Cronaca

Trieste città "chiusa": tra lavoro, spesa e cure urgenti c'è anche chi "vaga" senza meta

Dopo cinque giorni di "chiusura", la maggioranza della popolazione triestina segue i dettami del decreto anche se esiste ancora una minoranza di persone che per svariati motivi, passano molto tempo fuori casa

Giovedì 12 marzo il centro di Trieste si presentava semivuoto. Le saracinesche degli esercizi commerciali abbassate ed il tutto sommato evidente rispetto del decreto che chiede agli italiani di uscire di casa solo per motivi di lavoro, per prestazioni sanitarie urgenti e per recarsi ad acquistare beni di prima necessità, si protrae da ormai cinque giorni, alternando momenti di surreale silenzio a qualche capannello di persone che si incontrano nei punti più diversi della città. 

Fedriga: "Ginnastica in salotto"

Nonostante il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga abbia incassato il giudizio positivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in visita negli scorsi giorni a Palmanova, (“siete una regione virtuosa, bene le misure messe in campo”), ha comunque invitato tutti i corregionali a rimanere a casa in nome della "ginnastica in salotto" e  della "passeggiata in corridoio”. 

Macchinette del caffè aperte e un silenzio disarmante: viaggio nel "deserto" triestino (prima puntata)

La maggioranza obbedisce, altri no

Ma se da un lato la maggioranza della popolazione obbedisce al decreto, ce n’è un’altra che sembra particolarmente attratta dal silenzio urbano o dal sentirsi in dovere di uscire di casa, anche in assenza di quelle "indifferibili necessità". Sul lungomare di Barcola c’è spazio per il jogging, una pausa sulla panchina o per portare a passeggio il cane; davanti al molo g un kayakista pagaia ad un centinaio di metri da un’imbarcazione di pescatori.

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Le “comprovate esigenze” di cui parla il decreto – almeno per quanto riguarda il kayak – sembrano stridere davanti alla richiesta del premier Giuseppe Conte di impegnarsi tutti per affrontare l’emergenza che ormai dall’inizio di marzo ha di fatto trasformato l’Italia nel secondo focolaio mondiale del Covid-19, con oltre 25 mila casi accertati e quasi 2000 decessi legati al virus.

"Sugli autobus soprattutto anziani"

“Salgono in molte persone sugli autobus – racconta una coppia di conducenti della Trieste Trasporti – ce ne potrebbero essere molte di meno. Evidentemente la gente non capisce”. Secondo i due autisti (a tutti gli effetti parte di quella prima linea del fronte) a spostarsi sono “soprattutto gli anziani, quelli che dovrebbero starsene a casa. Lavorare in questa situazione è pesante”. Il trasporto pubblico locale che dipende dalle decisioni della Regione, nei primi giorni dell’emergenza ha toccato punte di affluenza che oscillavano tra il 35 ed il 40 per cento in meno. Su questi numeri pesa come un macigno l’assenza dei giovani che vanno a scuola e degli universitari; durante il weekend la soglia di affluenza è arrivata a toccare il meno 60 per cento. La decisione di ridurre gli orari e di sospendere alcune linee potrebbe essere solamente il preludio ad un blocco totale, come già deciso in altri paesi.

Cosa dice il decreto, leggi la notizia

La Polizia in piazza Unità: "Grande senso di responsabilità"

“Qua chiudiamo comunque alle 18:30 – racconta un dipendente del Comune di Trieste – adesso vedremo cosa decideranno nei prossimi giorni”. Si discute delle scelte britanniche di tentare la strada dell’immunità di gregge e dei casi in Slovenia. “Ho tanti amici in giro, anche in Lombardia. La situazione lì sembra essere molto grave. Chissà cosa diremo tra qualche anno”. Si sta a qualche metro di distanza ed il silenzio di piazza Unità viene rotto solamente dal passaggio di un camioncino dell’Acegas e dal motore di una jeep della Polizia di Stato. “Tutto tranquillo oggi – racconta un agente – siamo qui per controlli diversi ma dobbiamo dire che il senso di responsabilità dei triestini è reale”. (la foto seguente non sembra dimostrarlo)

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La Slovenia chiude tutto: stretta a bar, ristoranti e trasporto pubblico

Una Trieste svuotata

Da Barcola a Valmaura, passando per un campo San Giacomo che vede una ventina di persone sedute sulle panchine dello spazio antistante la chiesa, l’immagine ricorrente è di una Trieste svuotata e normalizzata. La gente impara a fare la fila, c’è chi fissa l’orizzonte e chi invece, senza il bar o l’osteria sotto casa, sembra smarrito. È questa l’altra faccia della socialità. In tempi in cui l’imperativo è "restare a casa", c’è chi quelle quattro mura le sopporta a fatica o non vuole viverle. 

C'è chi una casa non ce l'ha

In tutto questo c’è chi una casa non ce l’ha, costretto a vivere ai margini della società e che oggi si ritrova, inconsapevolmente, ad essere spettatore in prima fila di una crisi senza precedenti. La zona della stazione è da sempre – il virus non ha cambiato niente – il ritrovo di chi non ha niente, di chi si muove tra i sacchi della spazzatura, qualche momento di euforica alterazione e il giaciglio sull’asfalto. 

Nessuna certezza per il picco, solo ipotesi

"Seguire la competenza aiuterà, girar a svodo no"

Se è vero che l’Italia è in lock down, come viene definita dai giornali britannici, e non succedeva dai tempi della Seconda guerra mondiale, le persone sembrano continuare a vivere la propria vita, a volte con preoccupazione, in altri casi come se nulla fosse. Nessuno, neanche tra i potenti, osa prevedere una fine perché loro stessi non hanno elementi per poterlo sostenere o forse perché il coronavirus ha prodotto un’arma dalla quale l’uomo non è mai stato in grado di difendersi. L’incertezza fa sì che la coscienza dell'uomo (in questo i triestini non godono di alcun privilegio, né di deroghe particolari) arrivi a sdoppiarsi, creando dubbi ed interrogativi facilmente risolvibili. 

Seguire i dettami della competenza infatti può alleggerire il momento. “Girar a svodo” no. [continua]

Leggi la terza puntata: la Polizia Locale sgombera il parco di villa Revoltella

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