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“I am – Io sono", Luisa Menazzi Moretti alla 32esima rassegna Fvg Fotografia

Venti ritratti e altrettanti racconti di rifugiati e richiedenti asilo incontrati nel 2017, questo è il progetto socialmente ambizioso dell’autrice che ci fa conoscere persone vere

Venerdì 25 maggio alle 20.30 nella sala Kirschner di Palazzo Tadea a Spilimbergo, il CRAF (Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia) inaugurerà il programma della sua 32esima rassegna Friuli Venezia Giulia Fotografia con Luisa Menazzi Moretti. La fotografa friulana che nel 2016 ha raccontato la tragedia dei condannati nel braccio della morte in Texas attraverso il reportage “Dieci anni e ottantasette giorni”, presenterà il suo ultimo progetto “I am – Io sono”, prodotto da Fondazione Città della Pace per i Bambini Basilicata, Cooperativa Sociale Il Sicomoro, Arci Basilicata.

Venti ritratti e altrettanti racconti di rifugiati e richiedenti asilo incontrati nel 2017, questo è il progetto socialmente ambizioso dell’autrice che ci fa conoscere persone vere. “Io sono” è anche l’omonimo video e libro di Luisa Menazzi Moretti, curato assieme al coraggioso giornalista della Stampa Domenico Quirico per Giunti editore, vincitore del bronzo al premio One Eyeland 2018: «Ho incontrato persone arrivate nel nostro Paese alla ricerca di una vita migliore. Insieme a moltissime altre sbarcano e si confondono nell'indistinto afflusso di uomini e donne senza volto e senza storia – ha dichiarato l’autrice - Non sappiamo nulla di loro. Da dove vengono, chi sono? Li vediamo da lontano. In televisione, su internet, paiono tutti uguali. È difficile riuscire a concepire il loro essere innanzitutto persone prima che migranti». Provengono da Afghanistan, Pakistan, Siria, Nepal, Libia, Gambia, Nigeria, Senegal, Egitto, Congo, Mali, Costa d’Avorio, Eritrea ed Etiopia: «Ho cercato di immaginare attraverso le loro confidenze, la vita delle persone ritratte,molto spesso caratterizzata da tragici eventi – rimarca - e raccolto coraggiose speranze per il futuro. C’è ancora energia e luce nei loro occhi».

La storia di questi uomini e queste donne appartiene a ciascuno di noi, a quanti osserveranno i loro volti come testimoni parlanti di una storia non troppo lontana, si fermeranno a leggere le atrocità subite, la voglia di restare in Africa ma la necessità di fuggire per “sfuggire” alla violenza. Domestica, delle istituzioni, dei datori di lavoro: «Il titolo di questo progetto è semplice, facile per riflettere sul significato della parola identità – afferma – non lasciamo che i pregiudizi comuni possano sopprimere il loro legittimo desiderio di riscatto, i loro sogni irrealizzati potrebbero sbocciare proprio qui». Le fotografie del progetto sono già state esposte al Museo nazionale di Palazzo Lanfranchi a Matera, sino al 31 maggio al Museo archeologico provinciale di Potenza, infine dal 24 ottobre al 26 novembre potranno essere ammirate al Palazzo delle Arti (Pan) di Napoli.

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