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Andrea Chénier al Verdi: la rivoluzione francese diventa composta ed elegante

La scelta registica di smussare gli spigoli in una storia che ferisce risulta alla fine vincente. Buone prove per l'orchestra e il trittico di personaggi principali

La rivoluzione francese va in scena al Verdi in abito elegante e patinato. Alla prima di Andrea Chénier, andata in scena al Verdi venerdì 17 maggio, la vicenda ambientata in Francia alla fine del 700 è stata rappresentata senza teste mozzate e abiti logori, con una scenografia (firmata da William Orlandi) di architetture maestose e a tratti abbozzate come uno schizzo preparatorio, quasi a voler proiettare i fatti cruenti di quegli anni in una dimensione astratta e composta. Un allestimento del Teatro di Maribor, realizzato a Trieste con la regia di Sarah Schinasi, mentre il maestro Fabrizio Maria Carminati ha diretto l'orchestra del Teatro Verdi. Come sempre, la direzione del coro è stata affidata al maestro Francesca Tosi. 

La scelta di smussare gli spigoli di una storia che ferisce, se in un primo momento spiazza e delude, risulta alla fine vincente perché evidenzia quanto la musica di Umberto Giordano e le parole di Luigi Illica non abbiano bisogno di aiuto per sconvolgere e inquietare. Nel secondo atto, a evocare la ghigliottina basta un effetto sonoro e un breve passaggio di lenzuola insanguinate sullo sfondo, mentre i contrabbassi e i violoncelli, con una banale sequenza di tre note ripetute, ricreano fedelmente l'odore della morte.

Sfumata anche alla satira sulla nobiltà, che in genere si esplica nel primo atto: niente trucco pesante e abiti ridicoli per la Contessa e i suoi invitati (mirabilmente abbigliati da Jesus Ruiz), e gran misura anche nei movimenti di scena. L'affettazione e la superficialità sono lasciati ancora una volta alla sola musica e ai versi di Illica, come nella malinconica “O pastorelle addio”, sardonico e mieloso canto del cigno di un'aristocrazia che si avvia alla mattanza.

Come ha affermato la stessa regista, l'accento è stato volutamente posto non sulla violenza del contesto ma sul messaggio umanista di amore e speranza veicolato dalle parole del poeta che dà il titolo al dramma. Amore che alla fine trionfa anche nella storia: l'antagonista Carlo Gérard si ricrede e si redime di fronte al puro sentimento di Maddalena per il rivale Chénier. Alla fine Gérard cercherà di salvarlo e, anche se non ci riuscirà, Maddalena si avvierà con l'amato al patibolo, prendendo il posto di un'altra prigioniera, che ritroverà la libertà.

Buona la performance del trittico principale: l'Andrea Chénier di Kristian Benedikt, che ha raggiunto l'apice nel terzo atto con “Sì, fui soldato”, l'incisivo Carlo Gérard di Devid Cecconi e la Maddalena di Coigny di Svetla Vassileva, che è stata all'altezza dell'aria più famosa, “La mamma morta”.

Buone prove anche per Isabel De Paoli (una struggente Madelon), Anna Evtekhova (l'affettata Contessa di Coigny), Albane Carrère (La mulatta Bersi, non perfetta nel registro basso), Francesco Musinu (Roucher), Gianni Giuga (Pietro Fléville/Il sanculotto Mathieu), Giuliano Pelizon (Schmidt /ll Maestro di casa), Giovanni Palumbo (Fouquier Tinville) e Francesco Paccorini (Dumas). Tra i comprimari si è distinta la squillante e penetrante voce di Saverio Pugliese nel doppio ruolo della spia (l'”Incredibile”) e in quello dell'abate poeta.

Infine, il maestro Carminati ha impeccabilmente diretto l'orchestra del Teatro Verdi in una performance che ha suscitato sensazioni forti in un allestimento "delicato".

Le rappresentazioni:

Domenica 19.05.2019 ore 16:00 TURNO D

Martedì 21.05.2019 ore 20:30 TURNO C

Giovedì 23.05.2019 ore 20:30 TURNO E

Sabato 25.05.2019 ore 20:30 TURNO B

Domenica 26.05.2019 ore 16:00 TURNO S

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