Giorgio Montanini al Miela: vietato ai minori e politicamente scorretto
La “Stand up comedy” è quel tipo di satira corrosiva a cui si assiste nei locali pubblici e in rete, che non risparmia nessuno ed è molto in voga nelle grandi democrazie. Fa eccezione l'Italia, dove il genere è sbarcato da poco e la comicità di successo è quella da prima serata, quella dei tormentoni e dei costumi improbabili.
Giorgio Montanini è il primo dei pochi “stand up comedian” italiani, ormai da anni sugli schermi come volto della trasmissione “Nemo – Nessuno escluso” su Rai 2 e protagonista di “Nemico Pubblico” su Rai 3. Dopo i sold-out al teatro Brancaccio di Roma, al Nuovo di Milano e molti altri, il comico più “cattivo” del Bel Paese arriva a Trieste, stasera (sabato 25 marzo) alle 21 al Miela, ed è pronto a prendere di mira tutti, «senza mettersi al di sopra di nessuno». “Per quello che vale” è infatti il titolo dello spettacolo, perché il comico ha l’obbligo morale di non prendersi sul serio e di far satira su se stesso prima degli altri. «Quando il comico pontifica, quando il monologo diventa comizio politico, significa che qualcosa non funziona». Un riferimento a qualcuno in particolare? Sarà lui stesso a spiegarcelo.
Il tuo umorismo si addentra in territori dove nessun altro comico italiano si azzarderebbe. Mi viene in mente una tua battuta sull’abuso sessuale verso i disabili, che tuttavia nascondeva un messaggio sociale importante. Quanto è difficile restare sul filo del buon gusto all'interno di temi tanto delicati?
«È stata forse la mia battuta più contestata, ma in molti hanno capito che non era semplice “black humour”. Quello è un genere caro agli anglosassoni che sono tutti d’un pezzo e si sciolgono con la cattiveria verso il politicamente corretto. Io faccio satira, che è diverso, c’è sempre un sottotesto: o ti offendi fermandoti alla superficie o capisci la battuta e cogli il messaggio, entrambe le soluzioni vanno bene. In quell’occasione ho parlato di quando ero istruttore di nuoto, insegnavo a una ragazza con un ritardo mentale e tuttavia molto carina. Per fortuna le leggi italiane mi hanno impedito di fare sesso con lei, e dicendo questo intendo un'altra cosa: la natura umana è perversa e abbiamo bisogno dello stato di diritto che ci metta la museruola. Io mi includo nella pochezza umana, mi dò della bestia da solo perché il comico non deve pontificare al di sopra degli altri, come Grillo o la Guzzanti. La satira ha una funzione liberatoria, mostrando le mie brutture faccio sentire gli altri persone migliori. È stupido offendersi per le parole di un comico e non, ad esempio, per un discorso di Salvini».
Torniamo un momento a Grillo: mi sembra lui il tuo punto dolente.
«Grillo ha fatto qualcosa che, politicamente, è una bestemmia. Anche se non può candidarsi è di fatto un leader politico, che è culturalmente l’antitesi del comico. Il comico parla per sè stesso, esprime un’opinione, non fa propaganda e non crea consenso, se non ti piace quello che dice, ciao. Il politico fa l’esatto contrario: nel perseguire i suoi interessi studia una ricetta che possa andar bene a più persone possibili, dice che ti farà stare meglio per avere il tuo appoggio. Ma Grillo ha fatto di peggio: dopo essere diventato politico si è rimesso a fare il comico, che è un abominio culturale. Se tu utilizzi quello stesso stile confidenziale per fare propaganda politica usi gli strumenti della dittatura. È un’operazione di marketing che si può portare avanti solo avendo alle spalle un team di comunicatori che supera in astuzia quello di Berlusconi. Invito tutti i grillini in buona fede a lanciare un ultimatum al loro leader: “O smetti di fare il politico o smetti di fare il comico”. In ogni caso lo ringrazio perché fa spettacoli di “stand up comedy” e non li ha mai definiti tali, quindi ha permesso a me di essere (con orgoglio) il primo stand up comedian italiano ad avere rilevanza nazionale».
La satira, per definizione non concepisce il concetto di sacro, tutto può essere “dissacrato” pur di scuotere le coscienze. È un atteggiamento rischioso di questi tempi, mi riferisco a Charlie Hebdo. Credi che la satira debba porsi dei limiti?
«Solo l’uomo, non Dio, ammanta di sacralità le cose, e lo fa arbitrariamente in quanto creatura fallibile. L’uomo dev’essere libero di ridere e scherzare su quello che gli altri uomini considerano sacro. E quindi questi uomini non devo rompere i c#@!oni, come io non mi permetto di andare nei loro luoghi di culto a dir loro che la prima comunione è medievale. Magari lo penso, ma non lo dico. Ciò che è accaduto a Charlie Hebdo è frutto di follia, colpire un comico è la cosa più infame del mondo perché è l’artista più perdente e miserabile di tutti, non diventa mai un’icona, le fan non si strappano le mutande per lui perché sul palco è se stesso, in tutta la sua miseria. Questa follia non c’entra con la religione musulmana, è solo la frustrazione di un mondo esasperato, dove un po’ di visibilità dà un senso alla vita. Un tempo eravamo noi i loro “terroristi” e loro i più civilizzati, ora la questione si è ribaltata, anche anche per colpa delle guerre portate dall’occidente».
I tuoi spettacoli sono vietati ai minori di 18 anni, eppure hai avuto un grande successo televisivo anche in fascia protetta. Come concili la tua versione “esplicita” con quella riservata al grande pubblico?
«Vieto i miei spettacoli ai minori solo per non incorrere in qualche forma di denuncia, per evitare che un genitore usi il figlio come paravento per vendicarsi di una battuta che lo ha colpito nel vivo. Ma se un sedicenne ha voglia di venire ad ascoltarmi accompagnato da un adulto, ben venga. Nei miei monologhi a teatro io mi permetto di essere vero al 100% perché la gente viene da me volontariamente. La televisione è un’altra cosa: entri nelle case della gente, non invitato, e creare “scandalo” è una violenza, un atto egocentrico. Come il terrorismo».