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Teatro

"Il Trovatore" al Verdi: la soprano Marily Santoro racconta la sua Leonora e le eroine del melodramma

La giovane cantante reggina ci parla dell'avvincente dramma verdiano, dei ruoli che l'hanno portata in giro per il mondo e dei grandi incontri della sua vita, tra cui l'intramontabile Raina Kabaivanska

Il Trovatore di Giuseppe Verdi, una delle opere più amate e attese della stagione, sarà in scena al teatro Verdi dal 19 al 27 gennaio. Una storia ad ambientazione medievale fatta di superstizione, stregoneria, vendetta e un amore epico che non si piega neanche davanti al destino peggiore. Con il Rigoletto (che ha aperto la precedente stagione lirica) e La Traviata (che chiuderà quella presente), Il Trovatore è parte della “Trilogia popolare” il momento più alto della carriera artistica di Verdi.

Al centro della vicenda, la travagliata passione tra il cantastorie gitano Manrico e la nobildonna Leonora, l’uno coinvolto nelle brame vendicative della madre, l’altra pretesa con la forza dal dispotico conte di Luna. E, come il melodramma spesso ci mostra, le differenze sociali si annullano nella tragedia, e vedremo bruciare nello stesso calderone i traumi familiari degli zingari e quelli dei nobili.

Nel ruolo di Leonora ammireremo il giovane soprano reggino Marily Santoro, che debutta nel ruolo. Ha avuto una formazione d’eccellenza con nomi quali Renato Bruson, Giovanna Casolla e soprattutto Raina Kabaivanska, con la quale studia attualmente a Modena, beneficiando della sua borsa di studio dell’Nbu (Nuova università bulgara). Tra le esperienze più importanti della sua carriera l’interpretazione di Violetta ne “La Traviata” al teatro Goldoni di Livorno, e la sua Turandot è stata apprezzata in tutta Italia e anche a Sofia, dove ha cantato anche nel ruolo di Norma. A breve la attende una tournée in Oman, sempre come Turandot, ma adesso, a una settimana dalla prima del Trovatore a Trieste, le chiediamo di calarsi nei panni della sua Leonora, e di descriverla.

«C’è tutto in questa donna, in lei vediamo come l’amore muove la storia. Si trova in mezzo a due uomini che la amano in maniera completamente diversa: da una parte la purezza dell’amore saldo e sicuro di Manrico, dall’altra la passione carnale del conte, che la vuole a tutti i costi. Lei viene costretta a una scelta fortissima e dimostra di essere una donna che non si lascia subire ma prende le redini della storia, o almeno tenta. Poi Manrico farà la sua scelta, perché la vita è sempre una questione di scelte».

Quale momento la emoziona di più?
«Quello del supplizio nella torre, quando lei canta “d’amor su l’ali rosee”, un'aria in cui esce quel sentimento puro di Leonora ragazza. E poi il miserere e la cabaletta, in cui realizza che per questo amore è pronta a morire».

Su che repertorio si è formata?
«Ho studiato inizialmente come soprano lirico – leggero e mi sono costruita su Donizetti e Bellini, questo mi ha aiutata a mantenere la voce agile e in una posizione molto comoda, che è il canto sul fiato del belcanto.  Poi ho trovato la corretta classificazione che è “Soprano lirico pieno con agilità”».

Eppure è stata più volte Turandot
«Quella è stata una parentesi fuori repertorio, una rivisitazione molto particolare perché il personaggio ha una vocalità ibrida che si presta a diverse interpretazioni. La prima Turandot in assoluto è stata Rosa Raisa, che cantava anche nel ruolo di Donna Elvira (nel Don Giovanni di Mozart, ndr) e Norma. Noi siamo abituati a sentirla cantare da soprani drammatici, come la Dimitrova, ma ricordiamo dei casi in cui i ruoli drammatici vengono interpretati con successo da voci di altro genere. Ad esempio Birgit Nilsson fu una grande donna Anna (ancora Don Giovanni, ndr). Io ho affrontato Turandot con la mia voce ed è stato un episodio fuori repertorio per rileggere un ruolo sotto una chiave differente, come Karajan fece con la Ricciarelli, che pur avento una vocalità non tagliata sul personaggio è rimsta comunque una Turandot di riferimento, molto lirica, anche perché il personaggio è di fatto una bimba, e agisce con crudeltà perché è stata ferita. Ho affrontato questa sfida con questa idea: chi fa paura non ha bisogno di gridare, e il belcanto legato conferisce nobiltà e freddezza».

Lei ha conosciuto grandi personalità della lirica, chi di questi le ha lasciato il ricordo più vivo o l’insegnamento più grande?
«Non posso non citare Raina Kabaivanska, la mia attuale insegnante, quella che mi ha dato  e mi sta dando tanto a livello umano e didattico, è stata una grande fortuna, uno dei tanti "incontri del destino" che ho avuto, e che mi ha instradato sul giusto modo di costruire la carriera e preparare i ruoli. Raina è una persona che ti cambia la vita nel momento in cui la conosci. Ho avuto anche il privilegio di conoscere Renato Bruson e la compianta Daniela Dessì: tutti hanno in comune una grande umiltà e una gran passione e dedizione verso il lavoro e la vita. Da una parte il palcoscenico dall’altra tutto il resto: è una grande lezione per me».

Quando ha capito che avrebbe fatto questo mestiere?
«Da subito, dalla prima lezione di canto. A quattro anni suonavo a orecchio e i miei genitori mi hanno comprato un pianoforte, su cui ho continuato a studiare. Il canto lo vedevo come un gioco, prima le canzoni da bimba e poi la musica leggera, poi all’esame di quinto anno di pianoforte mi serviva il diploma di solfeggio e durante i solfeggi cantati la mia insegnante mi ha incoraggiato a studiare canto. Al momento mi sembrava una prospettiva molto lontana: ero concentrata sul pianoforte e volevo studiare lettere moderne, ma sotto "ricatto" l’insegnante di solfeggio ha minacciato di non farmi passare l’esame se non avessi fatto domanda d’ammissione al corso di canto. Ho onorato la promessa e mi hanno ammesso seconda in graduatoria. Da lì ho capito cosa volevo fare: è stato un colpo di fulmine».

Ha studiato e lavorato in molte città d’Italia, qual’è la sua prima impressione su Trieste?
«L’ho trovata carinissima, elegante e accogliente, anche perché subisco il fascino delle città di mare essendo nata a Reggio Calabria».

Quali sono i suoi obbiettivi per il futuro?
«Continuare a cantare, come e dove non spetta a me dirlo. Preferisco costruire bene il mio presente per poi fermarmi a guardare, magari dopo sette anni, il percorso che ho fatto. Ho la tendenza a rimanere con i piedi per terra».

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