Il Verdi chiude la stagione con "Tosca" e presenta la prossima con un concerto gratuito. Intervista al maestro Carminati
Il Verdi chiude la stagione lirica 2016-2017, e sta per offrire al suo pubblico uno sfizioso assaggio della prossima. Un pubblico che è cresciuto nell’ultimo anno, lungo una carrellata di spettacoli dai titoli di grande richiamo: da “Il flauto magico”, passando per “Cavalleria Rusticana”, fino a quello che si preannuncia un gran finale: “Tosca”, di Gacomo Puccini, in scena dal 9 al 17 giugno. Un capolavoro che non ha bisogno di presentazioni, dove i giochi di potere e i mutamenti politici del 1800 travolgono un’appassionata storia d’amore, fino a tramutarla in un tragico omicidio-suicidio.
La prima, venerdì 9 giugno alle 20:30, sarà preceduta da un altro imperdibile evento: giovedì 8 giugno alle 18, il concerto di presentazione della stagione 2017-2018. Un’esibizione a ingresso libero e con un programma a sorpresa, fatto di brani tratti dalle opere in programma nella stagione a venire. Entrambi gli eventi saranno affidati alla direzione del maestro Fabrizio Maria Carminati, nuovamente ospite e protagonista al Verdi, con una vasta e precoce carriera alle spalle e lunghe collaborazioni con teatri italiani ed esteri. Tra questi il Teatro Regio di Torino, il Teatro Donizetti di Bergamo, la Fondazione Arena di Verona, e l’Opéra de Marseille.
Sarà lui stesso a parlarci di Tosca, all’antivigilia della prima.
Qual’è la scena che più la emoziona in questo melodramma storico e perché?
«Impossibile dirlo: sono tante. Tosca è una carrellata cinematografica, è come assistere a un thriller, tutti i momenti sono calcolati con tale attenzione e rigore che si resta incollati dalla prima battuta all’ultima. Amo i momenti di lirismo come “E lucean le stelle”, “Vissi d’Arte”, il duetto del primo atto e il finale. Sono momenti intimi che sono piccoli flash di belcanto immersi in un intenso susseguirsi di vicende. I tempi sono serrati da quando appare Angelotti: i metronomi stabiliti da Puccini sono molto precisi e danno la misura della pulsione dell’evento: lo stato di ansia e di smarrimento di Cavaradossi e del fuggiasco: in quel duetto è chiaro che l’amicizia è l’unica possibilità per loro. E poi l’ingresso di Tosca, la gelosia, l’amore e il gioco della cantoria spezzato dall’ingresso del despota Scarpia. Tutto, in quest’opera mi fa sentire come se fossi al cinema».
In musica c’è un periodo storico o un’area geografica che le sta più a cuore?
«Il periodo è proprio quello di Puccini, anche se io sono definito un “belcantista” in Italia, il che mi fa molto piacere ma all’estero dirigo unicamente Puccini, il verismo e il novecento italiano. L’Opera si è evoluta prendendo tutta l’esperienza del passato proprio nel periodo pucciniano e post-pucciniano: facendo tesoro della grande esperienza ottocentesca del Belcanto (Rossini, Donizetti, Bellini e Verdi), si è sviluppata fino a produrre capolavori come “Tosca, “Bohème”, “Cavalleria”, “Pagliacci” e quelle grandi opere del novecento che comprendono anche Pizzetti e Zandonai, questi ultimi poco rappresentati ed è un peccato: è il male dell’Italia».
Ricorda un momento importante in cui ha sentito che la sua carriera stava iniziando sul serio?
«È stato proprio il rocambolesco debutto con Bohème (1992, Teatro Regio di Torino, ndr.), sono stato buttato sul podio senza aver fatto un minuto di prova e lì ho capito che dovevo dimenticare tutta la preparazione che avevo accumulato come sostituto pianista, accompagnatore e preparatore di cantanti, per iniziare l’esperienza di direttore d’orchestra. Ho sempre avuto questo desiderio ma credevo che la gavetta sarebbe stata più lunga. Ho comunque avuto la fortuna di assistere grandi nomi come Arena, Oren, Gavazzeni e sopratutto Campanella, a cui devo moltissimo».
Nel suo percorso artistico ha incontrato grandissimi interpreti, chi l’ha colpita dipiù?
«Alfredo Kraus, un artista dall’altissima professionalità. Ho lavorato con lui fino ai suoi 70 anni e oltre, abbiamo fatto una “Lucia di Lammermoor” a Siviglia e moltissimi altri concerti, fino all’ultima parte della sua carriera. Un signore d’altri tempi che ha mantenuto intatto il suo repertorio dagli esordi agli ultimi giorni della sua vita per la massima cura del suo organo vocale. Ha condotto una vita regolare che gli ha permesso di mantenere intatte le sue capacità, ricordo quei lunghissimi vocalizzi prima di entrare in scena, raramente ne ho sentiti di simili. Il mio ricordo va anche alla sua grande affabilità al suo carisma e alla sua semplicità nell’approccio con il pubblico e il prossimo».
Un momento della sua carriera in cui sente di aver dato il massimo. Cosa stava dirigendo?
«Tutti gli otto anni in cui ho lavorato (alacremente) a Marsiglia come primo direttore ospite. Ero atteso come interprete italiano (soprannominato “l’Italien”) ed è stato lì che ho debuttato in titoli come “La Gioconda”, “Tosca”, “Bohéme”, “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci”. Sono stati anni bellissimi perché Marsiglia è molto attenta al repertorio italiano, la chiamano la “Parma francese”. Chiaramente l’esperienza Torinese (di quasi 20 anni) è stata importantissima e da qualche anno ho anche una passione per Trieste, sia la città che il teatro, a cui sono molto legato e che sta lavorando con impegno nonostante le fatiche e il momento difficile».
A questo link gli interpreti e gli orari delle sei recite di Tosca.