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Cimolino (PD): «Pesca in sicurezza per tutelare flora e fauna marina, mozione in consiglio comunale»

Il consigliere comunale del Partito Democratico Tiziana Cimolino: "L'obiettivo è modificare il regolamento per arrivare a un annullamento dell'agente inquinante in una cultura largamente praticata e diffusissima a Trieste fin dall'Ottocento"

La molluschicoltura è una pratica particolarmente diffusa nel nostro Golfo, dove viene praticata nella parte costiera fin dalla metà dell'800, allora con impianti attrezzati su pali infissi nel fondale, oggi su filari sommersi sostenuti da galleggianti.

I moderni impianti di mitilicoltura, meglio conosciuti dai triestini con il termine pedocere, cioè allevamenti di cozze, sono costituiti da concessioni demaniali rettangolari delimitate da boe perimetrali all’interno delle quali si trovano diversi filari, lunghi da 100 a 120 metri e distanziati tra loro di circa 8 metri. Ogni filare è costituito da 10 o 11 galleggianti di materiale plastico (propilene o vetroresina) provvisti di maniglie sulle quali sono legate 2 o 3 ventie a seconda del tipo di galleggiante tramite corde sintetiche di polipropilene o poliestere lunghe mediamente 10 metri e con un diametro tra 20 e 26 mm. Le corde, poste orizzontalmente, in corrispondenza alla superficie, sono legate ai galleggianti tramite un nodo. Agli estremi del filare, vengono legate apposite cime a forma di V che servono a collegare il filare alla cima di ancoraggio. Sulle ventie vengono appese le reste (calze tubolari in propilene di diametro e misura delle maglie diverse dipendenti dalla taglia raggiunta dai mitili). La distanza tra le reste è mediamente di 40 cm., condizionata dalla loro lunghezza e peso, dall’abbondanza di prodotto, dalle condizione trofiche e climatiche del periodo.

Nel corso della campagna di pulizia delle spiagge di domenica 24 maggio 2015 promossa a Trieste dall'associazione Legambiente, i volontari hanno riscontrato una notevole presenza di resti di calze di polietilene tagliate, sia di punta che di mezzo disperse sulla spiaggia. Tale materiale, oltre a rappresentare un rifiuto estremamente dannoso dal punto di vista ecologico, in quanto come materiale plastico non può essere smaltito dall'ambiente in meno di 100 anni, risulta estremamente pericoloso per pesci e uccelli che per, colore forma e movimento in mare, possono scambiarlo per un qualcosa di appetibile rischiando l'avvelenamento o il soffocamento in caso di ingestione.

La riduzione dell'inquinamento marino con materiali plastici collegati alle tecniche per la cultura del mitilo è stata discussa in Commissione consiliare comunale e la proposta di utilizzare materiali non inquinanti che sarebbero anche più economici non solo dal lato della salvaguardia ambientale è oggetto di una mozione del consigliere comunale del Pd Tiziana Cimolino firmata anche da Annamaria Mozzi.

“L'obiettivo – spiega Cimolino - è modificare il regolamento per arrivare a un annullamento dell'agente inquinante in una cultura largamente praticata e diffusissima a Trieste fin dall'Ottocento. L'utilizzo della cotonina al posto delle calze in polietilene consentirebbe di risparmiare tempo e di preservare l'ambiente, evitando la dispersione in mare di reste usate che poi affondano - ricoprendo come un tappeto il fondale che così non “respira” - o vengono riversate sulla spiagge con danno sia per i turisti che per i bagnanti”.

L'Amministrazione comunale attraverso il competente Assessorato si è resa disponibile all'approfondimento della problematica organizzando degli incontri con i rappresentanti dei miticoltori e tutti gli attori del possibile cambiamento. Non appena verrà raggiunta un'adeguata conoscenza dell'argomento – riferisce Cimolino – porteremo in Consiglio la mozione.

Il problema è stato al centro di un incontro tra Legambiente, Associazione Bioest, Wwf, Italia Nostra e Trieste Sommersa Diving che si sono ripromessi di organizzare a breve un incontro pubblico per sensibilizzare la cittadinanza sull'argomento, suggerendo un approccio consapevole da parte di tutti i consumatori. “Cosa impedisce ai mitilicoltori di abbandonare le vecchie reste, si chiede Cimolino - conferendo anche un maggior valore alle loro produzioni, che agli occhi dei consumatori risulterebbero più rispettose dell'ambiente?”.

La mozione chiede a sindaco e Giunta comunale di valutare con i coltivatori locali la possibilità di modificare la scelta dei materiali in uso per le calze dei filari di mitili passando dal polietilene che prevede un degrado ambientale di più di 50 anni alla cotonina, materiale naturale, già in uso in altre regioni italiane, di provvedere a un monitoraggio dell'inquinamento ambientale da materiale di lavorazione per coltivazioni di mitili e pescicoltura e di informare e sensibilizzare i cittadini, anche in collaborazione con i coltivatori di mitili, sulla qualità del prodotto locale a km. 0 e sull'eventuale scelta di una pratica di lavorazione più rispettosa dell'ambiente.

In allegato la mozione

Mozione inquinamento ambientale coltura del mitilo

Considerato che la coltura del mitilo è attualmente diffusa lungo gran parte delle coste italiane: questo mollusco può essere considerato un prodotto fondamentale tra le risorse alimentari del mare perché rappresenta un alimento tradizionale ed ampiamente diffuso.

Ricordato che in termini documentali, la coltura di molluschi nel Golfo di Trieste è un fatto che risale per lo meno alla metà dell’800. Già allora a Zaule c’erano delle colture di mitili e di ostriche su pali, condotte da locali. Tenendo conto di questa realtà spontanea, la Società Austriaca di Pesca e Pescicoltura Marina organizzò su basi aziendali quest’attività spontanea: verso gli ultimi due decenni dell’800 prese origine quella che si può considerare la prima forma organizzata di coltura di mitili e ostriche del Golfo di Trieste.

Preso atto che l’impianto di mitilicoltura è costituito da concessioni demaniali rettangolari delimitate da boe perimetrali all’interno delle quali si trovano diversi filari, lunghi da 100 a 120 metri e distanziati tra loro di circa 8 metri. L’area della concessione è quindi quella corrispondente tra il primo e l’ultimo filare e viene calcolata in metri quadri.

Ogni filare è costituito da una serie di galleggianti di materiale plastico (Propilene o vetroresina) in numero di 10 o 11, provvisti di maniglie sulle quali sono legate le ventie,(due o tre, in relazione al tipo di galleggiante) tramite corde sintetiche di polipropilene o poliestere lunghe mediamente 10 metri e con un diametro variabile compreso dai 20 ai 26 mm. Le corde sono poste orizzontalmente, in corrispondenza alla superficie del mare, e sono legate ai galleggianti tramite un nodo che, a seconda del tipo di galleggiante, può essere di tipo “parlato” o “dell’ancora”. Lo spazio compreso tra due barili viene chiamato campo. Agli estremi del filare, sulle maniglie esterne del primo e ultimo fusto (chiamati capo testa), vengono legate delle apposite cime a forma di V che servono a collegare il filare alla cima di ancoraggio.

Sulle ventie vengono appese le reste, calze tubolari in propilene di diametro e misura delle maglie diverse e dipendenti dalla taglia raggiunta dai mitili. La distanza tra le reste è mediamente di 40 cm., condizionata dalla lunghezza e peso delle reste, dall’abbondanza di prodotto disponibile, dalle condizione trofiche e climatiche del periodo.

Riconosciuto che l''uso della cotonina al posto delle calze in polietilene consente di risparmiare tempo e di preservare l'ambiente, evitando la dispersione in mare di reste usate che poi affondano - ricoprendo come un tappeto il fondale "che non respira" - o vengono riversate sulla spiagge con danno per l'industria turistica ed i fruitori. Cosa impedisce ai mitilicoltori di abbandonare le vecchie reste dando anche un maggior valore alle loro produzioni, che agli occhi dei consumatori risulterebbero più rispettose dell'ambiente?

Verificato durante il momento di pulizia delle spiagge di domenica 24 maggio 2015 promosso a Trieste dall'associazione Legambiente , della notevole presenza di resti di calze di polietilene tagliate, sia di punta che di mezzo disperse sulla spiaggia

considerato che tale materiale per il colore forma e comportamento motorio in mare rappresenta un pericolo per pesci e uccelli che possono scambiarlo per qualcosa di appetibile e sulla spiaggia un rifiuto brutto e pericoloso

Si richiede al sindaco e all'assessore competente

- di valutare con i coltivatori locali la possibilità di modificare la scelta dei materiali in uso per le calze dei filari di mitili passando dal polietilene che prevede un degrado ambientale di più di 50 anni alla cotonina, materiale naturale, già in uso in altre regioni italiane

- di provvedere a richiedere agli uffici competenti il monitoraggio di un inquinamento ambientale da materiale di lavorazione per coltivazioni di mitili e pescicoltura

- di informare e sensibilizzare i cittadini , anche in collaborazione con i coltivatori di mitili del golfo sulla qualità del prodotto locale e sull'eventuale scelta di una pratica di lavorazione più rispettosa dell'ambiente in adozione a Trieste.

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