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" Trieste. Storie Proprie e Guerre Altrui" il primo Libro di Piero Camber Oggi alla Svevo

Oggi, Lunedì (16 luglio 2012) alle ore 18.00 alla Libreria Svevo (Galleria Fenice – Trieste) si terrà la presentazione del libro “Trieste, storie proprie e guerre altrui. Piccola biografia in numeri di una città e del suo territorio” di Piero...

Oggi, Lunedì (16 luglio 2012) alle ore 18.00 alla Libreria Svevo (Galleria Fenice - Trieste) si terrà la presentazione del libro "Trieste, storie proprie e guerre altrui. Piccola biografia in numeri di una città e del suo territorio" di Piero Camber e Michele Scozzai.
Il libro sarà distribuito gratuitamente.

Presentazione & Abstract:
Alpino, consigliere regionale, direttore amministrativo (in aspettativa) della Sopraintendenza del Friuli Venezia Giulia, triestino doc (ci tiene a sottolinearlo) e, ora, anche autore. Si chiama «Trieste. Storie proprie e guerre altrui. Piccola biografia in numeri di una città e del suo territorio» l'opera prima di Piero Camber, scritta in collaborazione con il giornalista economico e scientifico Michele Scozzai.

Non si tratta del classico tomo da parcheggiare in libreria, ma di un agile e accurato lavoro, graficamente accattivante, da sfogliare e scoprire, ricco di numeri, considerazioni, pensieri, visioni e seducenti immagini.

«All'origine» spiega Camber «l'idea era di realizzare una sorta di annuario statistico su Trieste, con tutti i dati che fossimo riusciti a rintracciare.

Poi abbiamo preferito correggere la rotta, e concentrarci su pochi temi che abbiamo ritenuto centrali per la città: dal rigassificatore al turismo, dalla ferriera al Carso. Non si tratta di un libro di approfondimento, ma di un libro che offre spunti di riflessione, talvolta anche molto critici, ma sempre equidistanti, per dare modo al lettore di farsi una propria idea senza condizionamenti».

Edito dalla Fondazione per il benessere e la difesa del Carso e di Trieste, con il contributo della Regione, il volume affronta temi demografici ed economici, ha un'ampia sezione dedicata al rigassificatore e una alla Ferriera.

«Ad esempio sul rigassificatore» continua Camber «abbiamo evitato di prendere posizione: il lettore troverà le ragioni del sì e le ragioni del no, la possibile alternativa e un sondaggio che abbiamo realizzato nei Comuni di Trieste, Muggia e San Dorligo-Dolina, su un campione casuale di 200 persone.

Un piccolo campione, certo, ma in qualche modo significativo.
Il risultato? Ci aspettavamo una schiacciante maggioranza di contrari, invece più del 40% degli intervistati si è espresso a favore del progetto di Gas Natural.

È un dato che fa pensare, che deve far riflettere sia le istituzioni e sia la multinazionale spagnola. Va da sé che non sta a me, non certo in questa veste, tirare le conclusioni».

Il libro di Camber e Scozzai non è privo di qualche spunto ironico: nelle prime pagine dell'opera c'è una mappa stilizzata della città, dove s'incontrano l'inceneritore dei sensi di colpa e la spiaggetta della pigrizia, il muretto dell'auto-compassione e il fondale dei cervelli, la cittadella interpersonale della scienza e, più a largo, la fossa della demografia.

Lungo la corrente della speranza naviga invece una desolata scialuppa delle idee (alla deriva, come specificano gli autori). Trieste è «una città che esiste per sopravvivere» scrivono Camber e Scozzai nella prefazione, o, se si preferisce, «una città che sopravvive per esistere».

La città, si legge, appare sorprendentemente incapace si decidere, «issata sul pennone più alto della storia» e «predatrice di miti rimasti immancabilmente tali». È un territorio che lascia agli altri combattere la sua guerra, preferendo assistere e aspettare, vinto «dall'irrefutabilità dell'incertezza».

La conclusione è un invito a muoversi, ad agire, a scegliere: «Trieste è al crocicchio tra nemesi e redenzione, caduta e risveglio: esistono scelte che vanno fatte e non rimandate». Ora o mai più, insomma. Anche perché, si scopre sfogliando le pagine patinate del volume, la popolazione del capoluogo ha toccato nel 2012 il minimo da oltre un secolo a questa parte e neppure i flussi immigratori (a proposito, siamo la città più accogliente d'Italia) sono riusciti a equilibrare i saldi negativi.

Un dato per tutti (e ce ne sono davvero tanti): dal 1956 a oggi, la città ha perso in media un abitante ogni 6 ore e 15 minuti.

Scriverlo fa quasi impressione, ma calcolatrice alla mano è proprio così. Non va meglio l'economia (abbiamo una bassissima propensione a investire e un indice di imprenditorialità che è quasi un terzo quello di Sondrio), ma siamo asburgici nel pagare le tasse (nessuna città fa meglio di noi).

Il Porto Vecchio è definito «la più autentica allegoria di una Trieste malata», «con le crepe che squarciano i muri dei vecchi magazzini in disuso e una concezione del tempo che si addice più all'astronomia che a una città che vuole tornare a vivere»: il primo progetto di riqualificazione dell'area, nota Camber, risale a 43 anni fa.

Tanta malinconia e foschi presagi, dunque? «No, non è questo il messaggio che intendo dare» precisa Camber.
«Il libro, pur nel rigore dei numeri, è una sorta di provocazione, un incoraggiamento a non lasciarci andare, perché così si muore, e si muore sul serio. Dobbiamo tutti - politica, istituzioni e cittadini - darci da fare per riconquistare Trieste, quella che la vecchia Democrazia Cristiana pianificava per 600mila abitanti, quella che un tempo era il settimo porto del mondo, quella Trieste produttrice di idee e tecnologia che avremmo voluto vedere fin dall'insediamento dei primi istituti di ricerca.

Occorre valorizzare il Carso, avere una strategia sulla cultura, dobbiamo passare da un turismo di destinazione (che per lo più stiamo subendo) a un turismo di motivazione, che potrebbe triplicare le presenze attuali. Il sapere deve essere trasformato in servizi, prodotti e conoscenze vendibili: nessuno nega l'importanza della ricerca di base, ma i tempi sono cambiati, e una scienza che dialoga quasi solo con se stessa, spiace dirlo, serve poco alla città e al suo tessuto imprenditoriale, che sta progressivamente scomparendo».

Il consigliere regionale insiste sulla necessità di imparare a ideare, progettare e realizzare, evitando la superficialità tipica dei nostri tempi e dei nostri luoghi, quella che in quarta di copertina il consigliere definisce «il bar sport della modernità approssimativa». Decidere con consapevolezza, chiosa Camber, è fondamentale, soprattutto per una classe politica che oggi più che mai deve recuperare (dimostrando di averne sul serio, e non solo a parole) credibilità e prestigio.

« È impressionante la mole di dati che siamo riusciti a raccogliere su Trieste» aggiunge Camber «molti dei quali completamente inediti: avremmo davvero potuto raccontare Trieste in numeri, ma ci sarebbero servite centinaia di pagine.

Purtroppo siamo stati costretti a scartare una quantità inimmaginabile di informazioni. Ora il desiderio è di non fermarsi qui: questo, come ho detto, è un invito, un incentivo a fare, un primo passo, non certo un segnale di resa. Stiamo pensando di realizzare un sito, o una pagina Facebook, dove continuare l'opera, e strutturare un gruppo di lavoro, giovane e non certo virtuale, che dialoghi con le istituzioni e cominci a realizzare progetti d'insieme piccoli ma concreti.

Penso al turismo o alla cultura, ma anche al biotech, che ha dato veramente poco al territorio, nonostante le grandi potenzialità e i grandi investimenti». «Sono convinto» conclude Scozzai, che ha anche curato la grafica del volume «che intorno a Piero si possa raccogliere una squadra di valore, e si possa proporre un progetto che non rimanga tale, come è quasi sempre successo a Trieste, ma che possa trovare sbocchi e terreno fertile per essere realizzato.

I finanziamenti? Francamente sono l'aspetto che mi preoccupa di meno. Se le idee sono buone, i soldi arrivano, basta sapere dove cercarli. L'importante è che ci sia condivisione o, come diceva un grande triestino, che ci sia amore. Amore per la propria città, per la propria gente (a prescindere dal colore politico), per il proprio lavoro: è questo il motore che ci deve tenere vivi, anche in questo momento di grande e legittima disforia».






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