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Il virus complica la stagione calcistica, la Triestina dice sì allo stop della serie C

L'amministratore unico della società rossoalabardata è favorevole a fermare la stagione: “Troppe incognite per ripartire, sfruttiamo questa sosta forzata per dare sostanza alle riforme”

Le società di Serie C chiedono di fermare qui il campionato e la Triestina, con l'amministratore unico Mauro Milanese, non si discosta da questa posizione, che non è unanime ma sicuramente diffusa. Motivi etici, di salute ma anche di gestione dell'attività stessa, che rischierebbe, in caso di nuovi casi nel mondo del pallone, di compromettere anche la prossima stagione. In attesa di ripartire a luglio, Milanese propone di pensare a riformare seriamente la Serie C, riducendo i costi e innalzando i ricavi con un prodotto più appetibile per la tv a pagamento (Sky in particolare). Roberto Urizio di Citysport ha sentito  Milanese e di seguito riproponiamo l'intervista. 

Milanese, giusto fermarsi adesso?

“Ripartire a porte chiuse non avrebbe senso e poi ci sono troppe incognite. Quando si riparte? Se dovessimo tornare ad allenarci a maggio si giocherebbe per tutta l'estate, ma con quali restrizioni? Pensiamo a una squadra che va in trasferta, si ferma in autogrill e in ristorante e poi giocatori e staff ritornano dalle proprie famiglie. Mi sembra uno scenario troppo rischioso. E poi c'è una questione etica, di rispetto verso i tanti morti, soprattutto nelle zone più colpite dal virus. Senza dimenticare il fattore economico: i presidenti si trovano con aziende chiuse e con lavoratori in cassa integrazione e il calcio non può certo essere il loro pensiero principale; inoltre, se si tornasse a giocare, gli incassi sarebbero indubbiamente ridotti”.

La Lega Pro sta dalla parte delle società o preferirebbe finire la stagione?

“Va dato atto che la Lega Pro è stata la prima a fermarsi quando il coronavirus si è presentato. Ora a spingere per cercare di finire la stagione è soprattutto la Federazione, ed è in particolare la Serie A a voler giocare, ritengo principalmente per non perdere diritti televisivi”.

In caso di stop, si resterebbe con gli attuali organici o ci sarebbero promozioni e retrocessioni?

“Queste sono decisioni che spettano in primis al Consiglio federale, in accordo con la Lega. Per quanto mi riguarda ogni soluzione può andare bene. Quello che abbiamo chiesto in maniera prioritaria è invece lo sblocco delle fidejussioni per fare fronte alle spese: parliamo di una cifra che ammonta a un terzo del monte ingaggi, quindi di una somma che oscilla tra i 700 mila e il milione di euro”.

Intanto l'ipotesi di un Serie C Elite si fa strada.

“Credo che i mesi che passerebbero tra ora e l'inizio della prossima stagione consentirebbero di approntare le riforme di cui la Lega Pro ha assolutamente bisogno per ridurre i costi e aumentare gli introiti, considerato che mediamente i presidenti devono mettere di tasca proprio 2 milioni di euro all'anno. L'idea della Serie C di Elite mi è venuta in mente da un po', considerando che ci sono società che hanno diversi modi di operare, e quindi diversi costi: c'è chi pensa alla valorizzazione dei giovani, con i relativi premi, e chi spende per vincere. Faccio l'esempio del prestito di Luca Pizzul al Renate: la Triestina paga lo stipendio mentre i lombardi incassano 2000 euro per ogni sua presenza. Con una sorta di 'B2' con piazze importanti e di richiamo, si potrebbe costruire un prodotto appetibile anche per Sky e quindi aumentare le entrare per le società di Lega Pro”.

E come verrebbero scelte le “magnifiche 20”?

“Si potrebbero prevedere vari parametri, penso allo stadio, alla media spettatori e abbonati. Con una Serie C Elite composta da piazze importanti come Trieste, Bari, Padova e altre, non ci sarebbe nulla da invidiare alla Serie B dal punto di vista televisivo”.

E per quanto riguarda gli stipendi dei calciatori, quali sono le opzioni sul tavolo?

“L'ipotesi è quella di pagare una mensilità nel caso non si riprenda a giocare e due se invece il campionato si dovesse concludere. Vedremo come si svilupperanno le cose. In Australia, tanto per fare un esempio a noi vicino, i calciatori sono equiparati agli altri lavoratori dipendenti e quindi entrano in cassa integrazione a carico dello Stato”.

Quanto manca il campo a Mauro Milanese?

“È la cosa che mi piace di più al mondo e quindi inevitabilmente il calcio mi manca tantissimo. Ma in questo momento bisogna pensare prima di tutto alla salute dei nostri cari, poi a chi lavora e solo in un momento successivo allo sport. Per questo, nel decidere se proseguire il campionato, bisogna agire privilegiando l'etica, il rispetto delle vittime e la salute. Tornare a giocare comporterebbe più rischi che benefici”.

Roberto Urizio

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