rotate-mobile
Giovedì, 28 Marzo 2024
Il progetto rivolto agli anziani

Strategie e percorsi per una domiciliarità inclusiva e partecipata: presentato il progetto in città

Presentata nei giorni scorsi la ricerca-azione promossa da Conferenza Basaglia in partnership con la Comunità di Sant'Egidio e Auser Territoriale Trieste e finanziata dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

«Noi anziani in Italia siamo ormai un grande popolo con una grande domanda: non essere abbandonati, lasciati soli, sradicati dalla nostra storia. Gli anziani sentono come una condanna il vivere gli ultimi anni della loro vita collocati in luoghi anonimi.» Così il settantaseienne mons. Vincenzo Paglia, presidente della Commissione per la riforma dell'assistenza alla popolazione anziana, al Presidente del Consiglio Mario Draghi, che gli ha chiesto di guidare un gruppo di lavoro a Palazzo Chigi per arrivare in due mesi a una legge delega che trasformi le politiche di assistenza agli anziani.

Un tema questo sempre più urgente, perché la vita si è allungata, ma è cresciuta anche la consapevolezza che non si invecchia tutti allo stesso modo: dipende dall'appartenenza sociale, dal reddito, dal tipo di lavoro svolto, dal contesto sociale e familiare.

Un tema particolarmente sentito a Trieste, città dove gli over 65 sono il 28,6% della popolazione e dove la pandemia ha evidenziato le criticità delle case di riposo, che in città offrono circa 3000 posti letto e che hanno registrato il 61% dei morti di Covid a Trieste e provincia nel 2020 (435 in tutto di cui 266 ospiti di case di riposo).

Le opportunità per gli anziani a Trieste

Per questo l'APS Copersamm-Conferenza per la Salute Permanente Mentale nel Mondo Franco Basaglia ha proposto e ottenuto di realizzare una ricerca-azione che ha indagato le opportunità che le persone anziane, specie se fragili e non autosufficienti, hanno a Trieste di rimanere nel loro contesto di vita, anche se non hanno una rete familiare e particolari disponibilità economiche. Quello che è emerso - dopo un anno di lavoro, tanti confronti con gli operatori sociali e sanitari e le associazioni e dopo aver ascoltato tante storie direttamente dalla voce dei protagonisti -, e che è stato presentato nei giorni scorsi prima agli addetti ai lavori e poi alla cittadinanza dalla psichiatra Giovanna Del Giudice, presidente di Copersamm, e dalla sociologa Margherita Bono, ricercatrice della Cooperativa sociale “La Collina”, è che la casa di riposo non è l'unica soluzione, anche se è la più semplice e spesso la prima nella nostra testa, che le persone stanno meglio a casa loro, perché la casa cura e rassicura, ma a patto di poter contare su un welfare comunitario che sostenga in particolare chi ha più difficoltà a chiedere aiuto e ad accedere ai servizi. Perché i servizi non mancano nel nostro territorio, ma spesso la strada per raggiungerli è piena di ostacoli, a partire dal fatto che i contributi economici per supportare chi resta a casa sono inferiori a quelli per l'assistenza nelle case di riposo. E non solo:

  • il servizio sociale del Comune per gli anziani è lontano dalla casa di molti anziani;
  • gli sportelli del Punto Unico Integrato anziani sono stati chiusi col Covid e non hanno ancora riaperto;
  • i servizi forniti dal Comune (assistenza domiciliare, pulizia, pasti), se non in casi di particolare urgenza, non vengono erogati prima della presentazione dell'ISEE, che richiede un iter complesso e tempi non immediati;
  • l'assistenza domiciliare copre poche ore a settimana;
  • richiedere, ottenere e rendicontare il FAP (un contributo regionale che aiuta a pagare l'assistenza in privato) è un'operazione complessa e anche organizzare l'assistenza non è facile;
  • molte pratiche burocratiche sono difficili e spesso basate su procedure online (la richiesta di riconoscimento dell'invalidità, lo SPID, il censimento per chi vive in una casa Ater).

Esistono tuttavia esperienze virtuose di domiciliarità inclusiva e partecipata, che la ricerca-azione ha messo in risalto, che dimostrano che restare a casa è possibile e che fanno di Trieste un laboratorio per sperimentare che l'assistenza a domicilio, oltre a prevenire il bisogno di cure e le ospedalizzazioni, conviene anche economicamente.

Queste esperienze, promosse dal servizio pubblico, dalla cooperazione sociale, dalle aziende pubbliche di servizi alla persona, in realtà riescono al momento ad offrire circa 75 posti, a fronte dei 3000 delle case di riposo, ma andrebbero potenziate e fatte conoscere, perché come ha affermato Isabella D'Eliso in rappresentanza della Comunità di Sant'Egidio «le convivenze rappresentano un'alternativa all'istituzionalizzazione e favoriscono valorizzandole le risorse informali del territorio (vicini, familiari, …). Per questo motivo la Comunità di Sant'Egidio sta progettando, in collaborazione con il Comune di Trieste, una piccola convivenza solidale tra persone anziane; si tratta di un progetto pilota, che tiene conto delle numerose esperienze analoghe attivate dalla Comunità in Italia e in altri Paesi, volto a promuovere ulteriori iniziative simili». A conclusione dell'evento di presentazione alla cittadinanza è intervenuta anche la prof. Nerina Dirindin, già direttrice generale del Ministero della Sanità e assessora alla Sanità della Regione Sardegna, ora componente della Commissione Paglia e della Commissione Turco, che ha apprezzato il metodo utilizzato dalla ricerca, sottolineando che «partire dall’ascolto non è usuale» e ha ricordato che «non basta avviare processi innovativi, bisogna prendersene cura, perché ci sono in tutta Italia rischi di regressione».

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Strategie e percorsi per una domiciliarità inclusiva e partecipata: presentato il progetto in città

TriestePrima è in caricamento