Tra disinformazione e propaganda: la guerra in Ucraina ai tempi dei social
Il conflitto scoppiato dopo l'invasione russa è il primo trasmesso e pubblicato live, in virtù della presenza sempre più ingombrante dei mezzi digitali. Come difendersi dagli errori e dalle falsità? Lucija Slavica l'ha chiesto a Tiziana Montalbano, responsabile della comunicazione di Parole O_stili
Da quando ha fatto la sua comparsa, l'umanità ha sempre subito i conflitti e li ha sempre raccontati. Dalla fine di febbraio tutto il mondo segue con il fiato sospeso la guerra scoppiata dopo l'invasione russa dell'Ucraina. Tra i protagonisti di questo conflitto ci sono certamente i social network. Ma quali sono i vantaggi e i rischi per gli utenti? L'abbiamo chiesto a Tiziana Montalbano, responsabile della comunicazione di Parole O_stili, manifesto per la buona comunicazione online e per quanto riguarda il monitoraggio dei comportamenti digitali.
• Nelle ultime settimane sono diventati un veicolo per documentare il conflitto. Quali sono i pro e i contro del loro utilizzo?
Questa è la prima guerra che viviamo attraverso il filtro e la mediazione dei social, uno strumento che diventa utile nel momento in cui il racconto della guerra si fa più ampio rispetto al passato. In questo caso infatti non abbiamo solo contenuti che arrivano dai giornalisti ma anche quelli generati dagli stessi cittadini ucraini. C'è però da sottolineare che questa ricchezza di informazioni può anche avere una valenza negativa.
Il sovraccarico di notizie e dettagli viene chiamato "infodemia". Diversamente da ciò che pensiamo, essere perennemente in contatto con una grande mole di informazioni non ci permette di avere un quadro completo. Leggere un titolo, un commento, un tweet o un post ci dà l'illusione di avere una visione generale della situazione, ma questa non può essere considerata vera e propria informazione perché, come ben sappiamo, gli argomenti sono molto più complessi e complicati.
L'altro grave problema da considerare è la disinformazione che in un contesto come quello della guerra, dove la propaganda è il motore di entrambe le parti, diventa molto pericolosa. Abbiamo perso la capacità di riconoscere nell'intermediario una credibilità e un ruolo. Negli ultimi anni è venuto a mancare il filtro importante dei giornalisti, degli analisti economici e, nel caso del Covid, di quelli sanitari. Con il web la sensazione è che chi produce contenuti abbia la verità in tasca. Un "l'ha detto la tv" potenzialmente infinito. Quello che possiamo fare è renderci conto che sono dei nostri pari. L'opinione ci può essere, lecita o meno, ma la conoscenza è tutt'altra cosa.
• L'età minima richiesta per l'iscrizione ad Instagram è tredici anni. In che maniera queste immagini possono influenzare i più giovani?
Le piattaforme social sono enormi e bellissime ma devono essere utilizzate nella maniera giusta. Per questo i genitori devono guidare i propri figli affinchè utilizzino i dispositivi digitali in modo consapevole. Con Parole O_stili abbiamo creato un format apposito per spiegare la guerra ai più piccoli, in quanto conoscerne il significato è il primo passo da fare. Tutti i materiali didattici che abbiamo creato si possono scaricare dal portale gratuito www.ancheioinsegno.it
• Che ruolo hanno gli/le influencer nella guerra e nella propaganda?
Gli influencer sono i nuovi intermediari: ci permettono di filtrare il mondo e di leggerlo attraverso la loro lente. Con queste persone creiamo una community e crediamo nella loro buonafede, qualsiasi cosa facciano e dicano. Ma sono persone e per questo possono sbagliare. L'etica dovrebbe impedire loro di andare oltre le proprie competenze. Nel manifesto di Parole O_stili si legge infatti: "anche il silenzio comunica". In questo preciso contesto, sia il presidente americano Joe Biden che quello russo, Vladimir Putin, hanno chiamato a raccolta gli influencer per raccontare la loro guerra, facendoli diventare una cassa di risonanza. Per chi volesse approfondire l'argomento, il ruolo e l'importanza della scelta degli influencer da seguire è l'argomento di un panel di approfondimento in programma il 30 aprile dal titolo "Creator, Talent, Influencer: dobbiamo stare ad ascoltarvi?"
• Le notizie riprese dai vari canali social - anche ufficiali - possono aumentare il rischio di fake news. Come riconoscerle e combatterle?
Bisogna fare una distinzione: mostrare il filmato di un videogioco al posto del reale bombardamento è un errore, mentre le fake news sono notizie create ad arte senza alcun fondamento. La scelta giusta da fare è far riferimento alle testate principali, quelle che hanno alle spalle storia e tradizione. Lo sconosciuto che su Youtube sa di per certo che c'è una cospirazione e annuncia frasi come "questo sui giornali non lo leggerete mai" fa disinformazione.
• Scorrendo social come Instagram, può capitarci di vedere immagini catastrofiche alternate a contenuti più leggeri. In che modo, secondo lei, questo può influire sulla nostra percezione del concetto di guerra?
In alcuni casi, se visualizziamo immagini forti intervallate da soggetti come gattini o ricette corriamo il rischio di normalizzare una cosa che normale non è. In altri c'è il rischio di mettere un muro tra l'utente e le scene di guerra: la nostra mente vuole proteggersi da emozioni dolorose perchè cerca di scappare da questo tipo di notizie. E' doveroso invece dare il giusto valore a ciò che sta accadendo. Questo tipo di dinamica fa parte dell'infodemia: non apriamo le notizie perché vogliamo leggerle ma semplicemente ce le troviamo ovunque. Siamo soggetti a stimoli esterni e, il più delle volte, non siamo noi a scegliere di riceverli.