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Tra proteste di piazza e la terza ondata del virus: il racconto di un triestino di Hong Kong

Marzio Morgante è titolare di un celebre studio di commercialisti e vive sull'isola dal 2009. Raggiunto telefonicamente, ci ha raccontato gli ultimi sviluppi delle manifestazioni di piazza nate nel 2019 e la terza ondata di CoViD. Con uno sguardo alla sua Trieste

Marzio Morgante è triestino e dal 2009 vive ad Hong Kong dove è titolare dell’Asian Tax Advisor, studio di commercialisti che conta clienti in tutto il mondo e che aiuta le imprese intenzionate ad investire nel continente asiatico. La metropoli passata alla Cina nel 1997, dall’anno scorso è diventata il centro di un’accesa protesta contro il governo di Pechino che, dopo essere stata accantonata a causa della stretta imposta dalla diffusione del CoViD-19, nelle ultime settimane aveva ripreso vigore con nuove manifestazioni di strada. “Hong Kong è il ring dove la potenza cinese e quella statunitense si stanno battendo ma è difficile, a meno che le informazioni non provengano da piattaforme pressoché sconosciute agli europei, riuscire a leggere qualcosa di approfondito”.

La complessità della questione

Raggiunto telefonicamente da TriestePrima, Marzio ha raccontato la quotidianità della “sua” Hong Kong, quella che lo vede titolare di uno studio con dieci persone alle sue dipendenze e l’isola capace di provocare suggestioni dal fascino antico. “L’idea che mi sono fatto delle rivolte e della tensione è, innanzitutto, che la situazione non sia di facile lettura”. Per delimitarne i contorni, Marzio si affida ad un immaginario classico, quello per cui “mettere assieme tutte le tessere del puzzle, a meno che tu non sia ad alti livelli, è impossibile”.

L'inizio delle rivolte

I disordini ad Hong Kong nascono all’inizio dell’estate del 2019. L’ampio risalto che i media occidentali riservano alle proteste utilizza fiumi di inchiostro e fa salire alle stelle l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su un problema che, in prima analisi, ha motivazioni che affonderebbero le radici nei diritti civili. Le notizie fanno il giro del mondo e parlano di un “pugno di ferro del regime”, anche se Hong Kong è, secondo Marzio, solamente una “piazza di scontri” che rifletterebbe un problema “molto più vasto”.

I rapporti Cina-Hong Kong

“La partita è decisamente più complessa, a mio avviso. Nei rapporti tra Pechino ed Hong Kong si aggiungono quelli del governo cinese con Taiwan, e il supporto finanziario che i manifestanti avrebbero ricevuto a più riprese dagli Stati Uniti o dai tycoon locali”. Sullo sfondo delle proteste c’è la storia di un malvivente che a Taiwan uccide la propria fidanzata e si rifugia ad Hong Kong. A quel punto l’estradizione dell’omicida diventa motivo di una contrapposizione a tre, dove Taiwan rifiuta categoricamente di accordarsi con quella Pechino che non ha mai smesso di rivendicarne la sovranità. “Le proteste nascono in questo clima – racconta Marzio – e due milioni di persone scendono in piazza”.

La calma prima del virus

Da giugno a dicembre va quindi in scena un muro contro muro capace di innescare una spirale di violenza la quale, per fortuna, non causa numeri impressionanti di decessi. “Ci sono stati momenti di altissima tensione e per questo gran parte della popolazione, dopo una prima convinta adesione e complici le successive immagini di distruzione e devastazione, ha fatto marcia indietro”. All’inizio dell’anno poi arriva il virus e le proteste, che già da qualche settimana avevano subìto una sensibile riduzione, si spengono. “In realtà dal punto di vista dell’atteggiamento nei confronti del virus (anche in virtù dell’esperienza maturata con la Sars ndr), i residenti hanno iniziato ad usare tutti fin da subito le mascherine e a rispettare le norme anti-contagio” continua Marzio.

La terza ondata e la ripresa delle proteste

Ufficialmente Hong Kong in questi giorni vive la sua terza ondata di Coronavirus e dall’inizio dell’epidemia sono stati registrati solamente 1570 casi e otto decessi. Numeri che fanno impressione, se confrontati con la marea di contagi di altri Paesi e le scellerate politiche di Washington e Brasilia, solo per citare i due esempi più eclatanti.   L’ultimo exploit dei manifestanti è avvenuto nei primi giorni di luglio a causa della forzatura di cui si è reso responsabile il regime cinese in materia di controllo e repressione. Secondo l’accordo del 1984 tra Pechino e Londra, infatti, la Cina si era impegnata a riconoscere la prevalenza della Hong Kong Basic Law (sistema di diritto speciale ndr) fino al 2047. “Pechino ha forzato la mano facendo leva sui 23 anni passati dal lontano 1997 - racconta Marzio - e pochissimi manifestanti sono scesi nuovamente in piazza il primo giorno di luglio”.

La "rivolta" si sgonfia

Ironia della sorte, quel 1 luglio coincide con l’anniversario del ritorno dell’isola alla Cina e sotto all’ufficio di Marzio “c’erano più giornalisti che manifestanti”. La polizia, grazie al blitz, ha quindi mani libere per poter arrestare e di giudicare in maniera molto rapida. Le proteste non hanno più la forza finanziaria proveniente da conti correnti facoltosi e fanno fatica a salire nuovamente sulle barricate con quegli equipaggiamenti o facendo leva su precisi addestramenti a guerriglie urbane, modello “casa per casa”. Sullo sfondo delle proteste capaci di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, gli affari ad Hong Kong continuano as usual (come sempre ndr). “E’ una delle borse principali al mondo e nessuno ha intenzione di lasciare che l’isola sprofondi nell’anarchia. Pechino ha bisogno di mantenere questo gioiello finanziario così com’è, visto che, oltre a quello cinese, possiede sbocchi in mercati importanti come gli stessi Stati Uniti”.

L'importanza di Hong Kong

La partita per Hong Kong è quindi più grande di ciò che si possa immaginare e gli elementi che la compongono non sono neanche tutti visibili. Le proteste, il virus, i diritti civili, quelli sociali, la repressione e i gas lacrimogini, tutto deve trovare una sua precisa collocazione in un puzzle necessariamente globale. Non considerare la sua complessità rischia di banalizzare la questione. Per la Cina, per l’occidente ma soprattutto per l’intero mondo della finanza, Hong Kong possiede retroscena che nascondono molto di più.

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