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Trieste abbandonata, l'indagine sui 90 buchi neri in città e dintorni

Lo studio sarà al centro di un incontro pubblico promosso da "Un’altra città". Appuntamento venerdì 21 febbraio alle 18 al Teatro Miela

La Trieste dei “buchi neri” - i luoghi incompiuti della città che segnano il gap fra pianificazione urbanistica e realizzabilità delle opere previste, tangibili “contraddizioni” o “implosioni” nello sviluppo urbano – sarà al centro del nuovo incontro pubblico promosso dalla Rete civica Un’altra città e in particolare dal Tavolo qualità dell’ambiente urbano e Porto vecchio, che si è costituito un anno fa e ha promosso nel dicembre 2019 l’evento “Porto vecchio impresa collettiva”.

L'evento questo venerdì

Appuntamento venerdì 21 febbraio alle 18 al Teatro Miela di Trieste per discutere insieme de “I Buchi neri e le strategie di sviluppo della città”, con l’obiettivo di condividere un aggiornamento sullo stato delle cose e restituire i contenuti dei tavoli di lavoro di dicembre, vere e proprie strategie per lo sviluppo della città. Al rovescio delle strategie ci sono invece i “buchi neri”: aree che rendono evidente e tangibile il declino urbano e che sono state mappate dalla nuova pubblicazione promossa da "Un’altra città" e curata dall’architetto Roberto Dambrosi, “Buchi neri. Indagine sui luoghi incompiuti o abbandonati della città di Trieste”.

I 90 buchi neri

Lo screening di questo Rapporto 2020 si prefigura di grande rilevanza per qualsiasi serio dibattito sul futuro della città. Sono 90 i “buchi neri” censiti e schedati, e ogni giorno si trovano sotto gli occhi di tutti, a Trieste: dalla Caserma di via Rossetti a Palazzo Parisi, dalla Rotonda Pancera a Palazzo Kalister in Piazza Liberta’ e Palazzo Carciotti, passando per il Campo Profughi di Padriciano, Piazzale Gretta, l’ex Ippodromo e l’ex Aci, il palazzo delle Ferrovie, via Udine, l’Urban Center, l’Autopark Belvedere, il Tram di Opicina e decine di altri siti progettati e abbandonati a se stessi, o mai definitivamente realizzati e per i quali ad oggi manca qualsiasi prospettiva di riconversione/rigenerazione urbana.

L'elenco, oltre 850 mila metri quadrati

Un elenco sterminato di opere, edifici e progetti, fino a coprire una superficie di oltre 850mila metri quadrati “sottratti” all’utilizzo pubblico (pari per estensione all’area del Porto Vecchio), e sottratti anche al pubblico dibattito nell’ottica di una visione prospettica della città. Ma nel corso dell’incontro si parlerà ancora e soprattutto del Porto vecchio: “perché – spiegano i promotori - i Buchi neri di Trieste ne rappresentano l’altra faccia. Si può sperare che la città sappia affrontare la riqualificazione meglio di come sta trattando i tanti Buchi neri presenti nei suoi quartieri? E si può lavorare affinché la riqualificazione del Porto vecchio sia un’occasione per ri-pensare anche a quei buchi neri e per attivare un processo di rigenerazione urbana di cui benefici tutta la città, rioni popolari e periferici compresi?”. Spiega infatti Roberto Dambrosi che “dopo l’analisi sui Buchi Neri, possiamo trarre alcune conclusioni anche in ragione del rapporto che si puo’ prospettare tra i luoghi del declino urbano ed il più grande dei Buchi Neri, il Porto Vecchio”.

Il dossier

Il dossier sui Buchi Neri sarà illustrato proprio da Roberto Dambrosi con Anna Laura Govoni e un contributo metodologico di Giovanni Fraziano. Subito dopo si aprirà, con Riccardo Laterza e Gaia Novati, il resoconto sui tavoli di lavoro dedicati alle strategie per lo sviluppo della città. Dagli 8 tavoli di lavoro avviati a dicembre, con la riflessione di centinaia di cittadini, sono emerse tre direttrici: Porto Vecchio come laboratorio per la sostenibilità e la qualità della vita cittadina, anche in risposta alla crisi climatica, a una maggiore accessibilità, a spazi pubblici di qualità; in chiave dialettica fra Porto Vecchio e sviluppo economico e produttivo, in connessione con eccellenze cittadine come il sistema della ricerca e il mondo della cultura.

E infine con la visione di Porto Vecchio quale ponte verso l'Europa e il Mediterraneo, spazio che ospita occasioni di incontro, confronto e cooperazione con mondi vicini e lontani, per riportare la città al centro di un'area vasta collocata tra Mediterraneo, Mitteleuropa e Oriente.Tre linee guida di lavoro, per 3 domande precise che saranno rivolte all’amministrazione comunale:

Le domande

Cosa si è fatto e cosa si vorrà fare per rendere il Porto Vecchio un'area autosufficiente dal punto di vista energetico, ridurre al massimo la mobilità inquinante e la produzione di rifiuti, rispondere con efficacia agli effetti della crisi climatica come l'innalzamento del livello medio delle acque e l'aumento di fenomeni climatici estremi?

Cosa si è fatto e cosa si vorrà fare per garantire che gli investimenti pubblici e privati sul Porto Vecchio generino un'occupazione di qualità, stabile e adeguatamente remunerato, in grado di rispondere alle aspettative di tante triestine e tanti triestini oggi senza lavoro, così come delle molte e dei molti, soprattutto giovani, che in passato sono state/i costrette/i ad emigrare altrove?

Cosa si è fatto e cosa si vorrà fare per coinvolgere istituzioni, enti, associazioni e operatori privati nel disegno del futuro del Porto Vecchio, anche su una scala transfrontaliera, considerato che l'area in oggetto è totalmente sproporzionata rispetto alle dimensioni della città e potrà essere interamente recuperata solo nell'ottica di più forti relazioni tra Trieste e il suo entroterra naturale?

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