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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Città contro la Pena di Morte, adesione del Comune di Trieste: ricco cartellone di eventi dedicati

A sostegno della “Giornata” - fissata simbolicamente nella data del 30 novembre in ricordo della prima abolizione della pena capitale nel mondo, il Comune ha stabilito la speciale illuminazione in color magenta del Passaggio Joyce (o “Ponte Curto”) sul Canale di Ponterosso, dal 27 novembre al 5 dicembre

Si sta concretizzando in questi giorni in una serie di significative iniziative l'adesione data dal Comune di Trieste alla Rete delle "Cities for life/Città per la Vita - Città contro la Pena di Morte" promossa a livello mondiale dalla Comunità di Sant'Egidio, e in particolare alla XIV Giornata Internazionale per l'abolizione della pena capitale indetta dalla stessa Sant'Egidio.

Adesione che, anche in linea con il sostegno espresso dall'ANCI (l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), è stata deliberata nelle scorse settimane dalla Giunta Municipale e quindi formalmente sottoscritta dal Sindaco Roberto Cosolini.

A sostegno della “Giornata” - fissata simbolicamente nella data del 30 novembre in ricordo della prima abolizione della pena capitale nel mondo, decisa nel 1786 dal Granducato di Toscana degli Asburgo Lorena, ma che in realtà si sviluppa più ampiamente in questo periodo -, il Comune ha stabilito la speciale illuminazione in color magenta del Passaggio Joyce (o “Ponte Curto”) sul Canale di Ponterosso, dal 27 novembre al 5 dicembre, quale “logo vivente” dell'adesione alla campagna contro la pena di morte, nonché organizzato un incontro con la stampa, svoltosi questo pomeriggio, con Curtis McCarty, testimone e diretto protagonista di una tra le più clamorose vicende del sistema giudiziario americano, del quale fortunosamente e per poco non è rimasto vittima.

 McCarty, che sta conducendo in questi giorni, assieme alla Sezione locale della Comunità di Sant'Egidio, un ciclo di incontri nelle scuole e con la cittadinanza, ha portato oggi con sé anche nella conferenza in Municipio tutto il peso della sua triste e drammatica esperienza ma anche un fortissimo messaggio di pace e di speranza in un mondo che sappia allontanare da sé, o almeno ridurre, ogni violenza.

Accompagnato da Emanuela Pascucci della Comunità di Sant'Egidio e introdotto dalla Vicesindaco e Assessore alla Pace e Diritti Umani Fabiana Martini, che entrambe hanno sottolineato l'importante ruolo che nell'iniziativa abolizionista possono giocare anche le Municipalità attraverso l'organizzazione e la diffusione di programmi educativi e culturali che mantengano viva l'attenzione su questo tema, l'ospite americano – che ha tra l'altro ricordato di essere già intervenuto per la prima volta quattro anni fa a Trieste, “una città che apprezzo molto” - ha rievocato non tanto la sua vicenda quanto piuttosto l'insieme di una situazione drammatica che coinvolge, ieri come oggi, gli Stati Uniti d'America in una sostanziale spirale di violenza che, avendo alla base – secondo McCarty – proprio l'esistenza della pena di morte, si diffonde e, anziché diminuirla, crea uno stato psicologico dove, fra le tristezze e le angosce delle famiglie sia delle vittime che dei condannati a morte, una violenza generale dilaga, chiama altra violenza, contribuisce alla diffusione dell'uso abnorme delle armi, condiziona la classe politica e singoli politici che, in veste di giustizieri, utilizzano il tema della pena di morte in chiave elettorale, e condiziona alfine lo stesso sistema giudiziario comportandone, oltre che costi altissimi di funzionamento, la sua palese disfunzione ove si pensi che allo stato attuale oltre 300.000 casi di violenze perpetrate ai danni di cittadini americani sono rimasti irrisolti.

Va ricordata, a questo punto, quale è stata la drammatica storia di Curtis McCarty, condannato da una corte dell'Oklahoma e poi riconosciuto innocente dopo aver passato in carcere quasi 22 anni, di cui 19 nel braccio della morte, per un crimine mai commesso. Un ragazzo di buona famiglia poi caduto nella rete della droga e della criminalità, venendo a un dato momento a conoscere Pamela Willis, con un percorso simile al suo: famiglia benestante e vizio della droga. Una storia, quella dei due, che finirà male, perché Pamela verrà ammazzata nel suo appartamento e dal preciso momento in cui finirà la sua vita inizierà la tragedia di Curtis, accusato di averla uccisa.

Ma Curtis era solo un tossicodipendente, non un omicida: non era stato lui, ma in quel momento “serviva” un colpevole. Ed è così che venne condannato a morte con una falsificazione delle prove smascherata solo dopo quindici anni, nel 2000. E nonostante ciò, dal carcere Curtis McCarty uscirà fisicamente solo nel 2007, grazie all'impegno di “Innocence Project”, un gruppo che utilizza prove basate sul Dna per liberare persone dichiarate colpevoli di delitti che non hanno commesso. Da quel momento Curtis, oggi 52enne ma con tutte le tracce del suo calvario dipinte in volto, ha deciso di portare in giro per il mondo la sua storia, perché anche in paesi come l'Italia, dove la pena di morte non c’è, bisogna sapere cosa succede negli Usa e lottare per fare valere i diritti umani.

Tra gli auspici, le speranze e le necessità da lui indicate oggi, quella di una indispensabile riforma del sistema giudiziario americano che consenta una vera e umana rieducazione del colpevole in luogo della feroce e vendicativa punizione, una più netta distinzione fra i reati minori e   quelli più gravi, mentre viceversa si sta diffondendo purtroppo – ha detto – la tendenza a esasperare i giudizi e a colpire drasticamente chi ruba in un supermercato quanto chi commette un omicidio, quasi volendo metterli su uno stesso piano, in un'ottica di generale criminalizzazione e in un crescendo di durezza di giudizi.

E mentre servirebbe introdurre e sostenere una generalizzata capacità di dialogo, ad esempio anche tra le famiglie colpite da un reato grave e, se possibile, con quelle degli stessi colpevoli puniti, poichè entrambe stanno soffrendo, e ricercare qui il terreno per una possibile pacificazione, al contrario gli stessi Stati “si riempiono le mani di sangue”, con i politici corresponsabili. Dimenticando completamente che il vero obiettivo della giustizia pubblica dovrebbe essere quello di orientare le cose verso la maggior sicurezza e tranquillità dei cittadini, in una società pacifica. E non quello di esercitare una vendetta, tra l'altro senza rendersi conto che proprio così lo spirito e la prassi della violenza cresce a dismisura; e le cifre attuali della dilagante violenza negli USA, a cominciare proprio da quelli Stati dove è praticata la pena di morte, lo stanno a dimostrare.

“E' tuttavia importante, nel sostenere – come fa in America l'associazione “Journey of Hope” (Viaggi della Speranza) - anche le famiglie dei condannati a morte che spesso vivono esse stesse dei drammi paurosi fonte a loro volta di gravi nevrosi, diffondere inoltre e far conoscere questo problema, come fa efficacemente la Comunità di Sant'Egidio, in ogni luogo, poiché – ha concluso Curtis McCartyle cose possono cambiare, nel segno della speranza, e dobbiamo credere che qualcosa potrà cambiare anche per il superamento della pena di morte nel mondo intero!

Un linguaggio di speranza dunque, in definitiva per le sorti stesse dell'umanità, che poco prima era stato analogamente affermato anche da Emanuela Pascucci: ricordando come la Giornata Internazionale “Cities for life/Città per la Vita – Città contro la Pena di Morte” rappresenti la più grande mobilitazione abolizionista di livello mondiale comprendendo oggi circa 2000 città, tra le quali più di 78 capitali nei cinque continenti, la rappresentante di Sant'Egidio ha rimarcato come “necessiti porre fine a questi discorsi che, tra propositi di guerra, terrorismi e violenze di ogni tipo, ci spingono verso logiche di morte; e bisogni invece riaffermare una visione di vita e di misericordia, proprio in linea con quanto espresso da Papa Francesco anche tramite la proclamazione del Giubileo della Misericordia”.

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