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Cronaca

La protesta notturna dei pendolari di Fincantieri, quella classe operaia dimenticata da tutti

Alle prime luci dell'alba di ieri era andata in scena una vera e propria protesta. Questa mattina la scena si è ripetuta, con alcuni operai che hanno bloccato per qualche minuto un autobus fino all'arrivo del secondo. Nel reportage firmato da Nicolò Giraldi il perché della protesta e perché la loro storia meriterebbe molto più spazio

Dopo la protesta messa in scena dai lavoratori di Fincantieri all'interno della stazione a Trieste a causa dei pochi autobus messi a disposizione dall'Apt, questa mattina la scena dentro al Silos si è ripetuta quasi uguale a ieri, fino a quando non è arrivato il secondo mezzo. Prima della partenza, alcuni lavoratori pendolari che come ogni mattina prendono l'autobus per recarsi sul posto di lavoro a Monfalcone, avevano nuovamente protestato per le condizioni di trasporto. "Siamo umani, non siamo animali" avevano denunciato ieri 17 agosto, quando per calmare la situazione erano dovute intervenire le forze dell'ordine. Il problema, secondo i lavoratori (la maggior parte è straniera e di origine africana) e secondo quanto osservato di persona dall'autore dell'articolo alle prime luci dell'alba di oggi 18 agosto, è quello relativo agli autobus che trasportano i pendolari e ad ulteriori questioni di natura logistica. 

La capienza: in zona bianca fino all'80 per cento, ma chi rispetta le norme?

L'autobus parte dal Silos alle 4:40 ma prima di arrivare in stazione fa una sosta in piazza Oberdan dove, di fronte alla sala Tessitori della Regione Friuli Venezia Giulia, fa salire a bordo già decine di lavoratori. Quando arriva al Silos, qualche minuto in ritardo, quasi tutte le sedute sono occupate. Dal finestrino si vedono operai costretti a stare seduti in mezzo allo stretto corridoio, qualcuno guarda fuori, altri sonnecchiano cercando di rubare alla giornata lavorativa ancora qualche decina di minuti. Il limite della capienza dei mezzi di trasporto pubblico in zona bianca è dell'80 per cento ma in questi casi, al di là dei numeri, le regole non sembrano mai troppo chiare, con evidenti differenze tra le normative e la realtà quotidiana. Se per qualche motivo si creano dei ritardi e non tutti riescono a salire a bordo, allora gli operai rischiano di timbrare oltre l'orario di inizio. E' una questione anche e soprattutto di soldi.    

La protesta di ieri in scena anche questa mattina

Alla protesta di ieri è seguito un accenno anche stamattina, con le porte del mezzo in partenza alle 4:40 che sono state bloccate, nella chiusura, da alcuni pendolari. "Se non arriva un altro autobus stiamo qui fino a mezzogiorno" ha detto un operaio. Ci sono stati attimi di tensione anche tra stessi pendolari. "Vai via" ha urlato più volte un operaio al conducente il cui atteggiamento, secondo quanto sostenuto dai pendolari, sarebbe una delle cause della protesta. Questa mattina c'è stata più di una discussione tra le parti. "L'azienda è informata" ha detto l'autista ad uno degli operai, come a sostenere il fatto che non è lui il responsabile di ciò che accade. Poco dopo è giunto l'autista del secondo mezzo, pronto a far salire a bordo la parte di pendolari che era rimasta fuori dal primo autobus. "Entrare col doppio (autobus a due piani) dentro al Silos non è possibile, quindi il problema è solo quello, nient'altro" queste le sue parole. 

La classe operaia che fa lavori che nessuno vuole più fare

Nonostante la situazione si sia calmata dopo pochi minuti, le immagini raccolte da TriestePrima tra ieri e questa mattina raccontano dell'ennesimo mondo sommerso che esiste nel capoluogo giuliano. Dopo le prime sferzate di vento registrate in questi giorni l'aria alle 5 del mattino è il preludio dell'atteso cambio di temperatura stagionale. L'estate va verso la sua chiusura e cadono le prime foglie. A quell'ora in giro ci sono solo loro, una classe operaia che si sveglia quando la maggior parte della gente dorme nel proprio letto e che fa quei lavori che ormai nessuno vuole più fare. Arrivano in stazione a piedi, in bicicletta, portano uno zaino sulle spalle e alle cinghie allacciano un caschetto da cantiere. Sono invisibili, fantasmi che nessuno considera e che per far valere i propri diritti sono costretti a registrare i video con uno smartphone. Li inviano ai giornali e sperano che qualcuno - noi l'abbiamo fatto - raccolga il loro appello. "Pretendiamo rispetto" ripetono. 

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