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La crisi industriale

Piano per salvare la fabbrica ma Flex tira dritto: 280 posti di lavoro sempre più in bilico

Si è svolto oggi il tavolo ministeriale dal quale è emersa la volontà aziendale di andare avanti con gli esuberi, mentre la Regione chiede il piano industriale così da poter attingere a risorse utili a scongiurare lo smantellamento dello stabilimento. Il futuro è sempre più in bilico

Il Ministero dello Sviluppo Economico e la Regione Friuli Venezia Giulia respingono ogni ipotesi di esubero "prima di un confronto" con l'azienda. Il futuro taglio di 280 posti di lavoro da parte della Flextronics ha prodotto un terremoto non solo sindacale. La politica, incalzata dalle parti sociali, ha da poco concluso il tavolo ministeriale da cui, secondo le prime indiscrezioni trapelate, emergerebbe la precisa volontà istituzionale di individuare la soluzione. Dopo la manifestazione di piazza di lunedì 16 maggio - e la riunione avuta tra i delegati sindacali e il prefetto Annunziato Vardè -, la vicenda si è spostata a Roma. Da quanto si apprende, giovedì 19 maggio alle 14:30 andrà in scena il secondo tavolo, questa volta con la partecipazione anche dei sindacati. 

La volontà aziendale

Alla riunione sarà presente anche oltre all'azienda, anche Confindustria Alto Adriatico. L'assessore regionale al Lavoro Alessia Rosolen è covninta che per risolvere la crisi di Flex ci voglia "un serio piano industriale per lo stabilimento di Trieste, senza il quale l'affermata centralità del sito diventa un'idea per tentare di coprire ciò che si configura come una delocalizzazione legata a mere ragioni di risparmio dei costi". Alla riunione di oggi era presente anche Sergio Emidio Bini, assessore regionale alle Attività Produttive, e gli stessi rappresentanti dell'azienda che "nei giorni scorsi ha annunciato di voler cessare i contratti in essere" per 280 persone. 

Senza piano industriale nessun futuro

"Senza un piano industriale - così la Rosolen - per la Regione non è possibile entrare nel merito del numero di eccedenze, a meno che non le si voglia affrontare come meri centri di costo da ridurre. Trattandosi di persone, la Regione si attendeva da parte della proprietà un'apertura che anche oggi non è stata rilevata; ciò che più fortemente è emerso, invece, è l'assenza di un piano industriale senza il quale non è possibile pensare di poter attingere a risorse regionali o del Pnrr. Solo una volta presentato un piano industriale, sarà possibile per le Istituzioni centrali e territoriali, Confindustria e Organizzazioni sindacali avviare un Tavolo che salvaguardi l'operatività del sito giuliano e i relativi livelli occupazionali dal momento che gli esuberi prospettati ridurrebbero di oltre la metà la forza lavoro ad oggi presente nello stabilimento". 

Numeri drammatici

Nessun confronto "trasparente" da parte dell'azienda che avrebbe tenuto l'amministrazione regionale all'oscuro della "drammaticità dei numeri" fino all'ultimo incontro. "Non si spiega la scelta della delocalizzazione spinta - così Bini - Le istituzioni, che in questi anni di pandemia hanno sempre sostenuto il mondo dell'impresa, per poter intervenire concretamente hanno la necessità di conoscere i reali piani di sviluppo dell'azienda nel territorio".

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