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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

San Daniele "taroccati", l'ombra dello scandalo sul Friuli Venezia Giulia

Le indagini preliminari portate avanti dalla Procura di Pordenone si sono concluse. Le persone indagate sono 62, frutto di truffe, soffiate, mancati controlli, omesse denunce, intercettazioni e confessioni. Centinaia di migliaia di prosciutti sarebbero stati falsificati per un valore di 27 milioni di euro

La Procura della Repubblica di Pordenone ha chiuso le indagini preliminari relative alla nota inchiesta sui prosciutti Dop tarocchi. Le accuse sono gravissime e tra i tanti indagati si trovano anche diverse persone con ruoli pubblici, incarichi prestigiosi o di controllo. L'indagine parla di oltre 270mila prosciutti falsificati l'anno (del valore di circa 27 milioni di euro), ovvero del 10% dell'intera produzione annuale di cosce San Daniele, e di un sistema che perdurava molto probabilmente da circa 10 anni. L’indagine sul San Daniele è stata condotta parallelamente a quella di Torino su un altro celebre crudo, ovvero quello di Parma, e che ha fatto emergere medesime ipotesi di reato. Va ricordato, inoltre, che le condotte contestate riguardano anche la commercializzazione di carne di suino con la certificazione di qualità regionale “Aqua”, il cui disciplinare di produzione è analogo a quello del prosciutto di San Daniele.

L'indagine

L'indagine era partita prendendo in considerazione una serie reati e truffe. Tra queste troviamo: costituzione di un’associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio di prodotti agroalimentari Dop (Denominazione di Origine Protetta), alla contraffazione della denominazione protetta “prosciutto di San Daniele”, alla commissione di reati di natura fiscale ed ambientale, alla truffa finalizzata ad ottenere  920.000 euro di contributi pubblici (dal Piano di Sviluppo Rurale della Comunità Europea ad esempio), plurime condotte di frode e contraffazione, reati di falso in atto pubblico, rivelazione di notizie riservate attinenti alle indagini e omesse denuncie del reato di frode in commercio.

L'accusa

Sono stati immessi in commercio prosciutti a denominazione protetta San Daniele che non potevano fregiarsi di tale denominazione perché tratti da suini allevati e macellati in violazione di molteplici parametri previsti dal disciplinare di produzione. Nello specifico o erano appartenenti ad una genetica non ammessa (il Duroc danese); o alimentati con prodotti non ammessi (scarti della produzione industriale del pane, della pasta, della pizza, dell’industria dolciaria); o macellati prima dell'età minima prevista; o con un peso medio vivo per partita superiore al massimo ammesso; o con carcasse aventi un indice di massa magra superiore al massimo ammesso. 

Gli accusati 

I reati sono stati contestati a ben 62 persone, tra queste troviamo i legali responsabili e gli impiegati del macello di Aviano allevatori; i legali responsabili di due prosciuttifici; un rappresentante di commercio del settore suinicolo; un veterinario libero professionista; quattro veterinari dipendenti del Servizio Sanitario regionale (uno indagato per concorso nella frode alimentare; uno per falso in atto pubblico, due per avere rivelato notizie riservate), un ufficiale dei carabinieri accusato di avere rivelato notizie riservate; due ispettori del Consorzio di Tutela del Prosciutto di San Daniele per omessa denuncia in relazione ad una partita di prosciutti immessa in commercio da una delle imprese coinvolte con la data di inizio stagionatura alterata al fine di fare apparire una stagionatura superiore rispetto a quella reale; i responsabili degli organismi di controllo incaricati della vigilanza sulla filiera del San Daniele; e 25 imprese, tra cui la società titolare del macello di Aviano, due prosciuttifici, alcune imprese di allevamento e i due organismi di controllo Ineq ed Ipq in relazione alla responsabilità amministrativa derivante dai reati commessi dai legali responsabili e dirigenti .  Per competenza territoriale, sono state stralciate ad altre Procure della Repubblica le posizioni di ulteriori 13 persone (allevatori ed un commerciante) e 3 imprese di allevamento.  

Le indagini

Le indagini sono partite nell’estate del 2016 sotto la supervisione della Procura di Pordenone, dei funzionari dell’Icqrf Nord Est di Udine e dei militari del Nas di Udine. Il lavoro portato avanti per due anni ha permesso di raccogliere oltre 180 testimonianze, tra cui 10 confessorie, oltre a molteplici prove, tra cui numerose intercettazioni telefoniche, telematiche d ambientali, oltre all'analisi di centinaia di campioni di sangue e di prosciutti. 

Il sequestro

I puntuali elementi raccolti hanno portato all’emissione di decreti di sequestro per circa 270.000 prosciutti, per un valore di circa 27 milioni di euro. La maggior parte di tali prosciutti all’atto dell’esecuzione dei provvedimenti cautelari era stata però già commercializzata, quindi sono stati materialmente sequestrati solo i prosciuttifici in fase di stagionatura, ovvero circa 80.000. Poi, il sequestro è stato revocato previa preliminare eliminazione dei marchi identificativi della Dop.

Sospensioni

Ai responsabili degli organismi di controllo vengono contestati le omesse verifiche  in ordine alle molteplici e puntuali segnalazioni che a loro sono pervenute nell'arco di una decade. Sulla di questo e delle risultanze investigative dell’Icqrf, il Ministero delle Politiche Agricole nello scorso mese di maggio ha adottato a carico dei due organismi di controllo dei provvedimenti di sospensione con l’irrogazione di sanzioni amministrative per un importo complessivo di circa 100mila euro.


 

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