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Cronaca

Garante dei Detenuti di Trieste: «non Accetto la "Doppia" Pena del Diritto Negato»

Ecco la relazione completa di Rossana Palci Il 29 ottobre 2012 sono stata eletta dal Consiglio Comunale di Trieste, Garante dei Diritti dei Detenuti, il primo per la città di Trieste. Ad un anno di distanza sono qui a parlare del percorso...

Ecco la relazione completa di Rossana Palci

Il 29 ottobre 2012 sono stata eletta dal Consiglio Comunale di Trieste, Garante dei Diritti dei Detenuti, il primo per la città di Trieste. Ad un anno di distanza sono qui a parlare del percorso intrapreso e delle tante sfaccettature di questo ruolo quanto mai variegato e permeato dall'umanità delle tante persone che ho incontrato, siano esse detenute che operatori del settore pubblico e/o del privato sociale, che per essi lavorano.

Un ruolo nuovo per la città, quindi tutto da definire, strutturare, calibrare, sperimentare: da una parte ciò comportava una sfida e tanti interrogativi, dall'altra però mi metteva nella condizione di poter impostare un lavoro sulle mie capacità, sulle mie esperienze pregresse, con il confronto delle persone che già nel passato avevano condiviso l'esperienza penitenziaria. Perché di questo si tratta, di un'esperienza umana, di un contatto costante con la sofferenza, a dare voce alle persone che voce più non hanno e che , molto spesso, non hanno neanche più la forza di comunicare la "lamentela" e la richiesta?

Ho sempre considerato la pena una giusta retribuzione ed un corretto risarcimento sociale, oltre al necessario e fondamentale deterrente preventivo, ma non ho mai accettato la "doppia" pena del diritto negato, dell'impossibilità a vivere degnamente un percorso detentivo, di non sentirsi persona anche dietro le sbarre. Questa non è rieducazione e reinserimento? Ed è questo che invece la Costituzione prevede: un percorso risocializzante affinché la persona venga messa nella condizione di riparare, di risarcire, di poter tornare nella società con nuovi strumenti ed una diversa capacità personale nel rapporto con gli altri e con la stessa legalità.

Quanto avviene nelle nostre carceri purtroppo lo sappiamo, lo sa la Corte Europea, lo sanno i nostri politici ed i nostri amministratori, lo sa il Presidente della Repubblica, con riferimento a quanto egli ha scritto nel messaggio inviato al Parlamento lo scorso 8 ottobre. Credo nella capacità del singolo di rialzarsi, di poter ripartire se messo nelle condizioni umane, economiche, culturali e professionali di farlo e sono molte le mie personali esperienze che hanno visto realizzarsi tutto ciò.

I numeri però parlano chiaro: si è sempre investito moltissimo sulla "sicurezza" in carcere e meno sulla vera volontà di rieducare. L'arresto e la condanna a significare sì una giusta punizione per il reato commesso ma non sempre si è voluto poi approfondire quanto la persona detenuta è chiamata ad attivarsi nella quotidianità detentiva per il proprio recupero e quali strumenti possiamo offrire durante la permanenza in carcere.

Il dettato costituzionale parla chiaramente della rieducazione e del reinserimento ma non parla dell'impotenza di poterlo realizzare a causa dei numeri che da sempre caratterizzano le Aree Educative dei nostri penitenziari. La Legge Gozzini ha avviato la riforma dei nostri istituti carcerari ma a livello nazionale non si è voluto affrontare il tema della vera rieducazione: ne è un esempio la regolare assunzione negli anni di personale della Polizia Penitenziaria a fronte di un ridotto numero di personale Educativo.

In media ogni istituto penitenziario ha un numero di due, tre, forse a volte quattro Educatori.. ricordo a tutti che l'Educatore è il motore dell'osservazione scientifica della personalità, redige il documento di sintesi per la Magistratura ed il Tribunale di Sorveglianza, effettua il colloquio di primo ingresso degli arrestati per una valutazione iniziale sulla permanenza detentiva, organizza le attività ricreative, culturali, istruttive e di formazione professionale. In media ogni Educatore dovrebbe essere in grado di poter seguire personalmente 80-90 detenuti oltre ad organizzare quanto sopra esposto..

Fin dall'inizio dell'attività di Garante sono stati tracciati due percorsi che inevitabilmente si sono intersecati: da una parte il lavoro con i Servizi, con le Istituzioni, gli Uffici che gravitano sul mondo giudiziario e strettamente carcerario, dall'altra l'ascolto del singolo detenuto e la ricerca costante per verificare se la richiesta d'aiuto era plausibile, reale e, ove attendibile, l'attivazione concreta per la possibile risoluzione del problema.

Devo fin d'ora pubblicamente dire che il lavoro degli Operatori penitenziari dell'Area Sicurezza e dell'Area Educativa risulta encomiabile: sotto ogni punto di vista hanno voluto e saputo collaborare con competenza ogni volta che la scrivente abbia richiesto informazioni e chiarimenti. In situazioni più critiche abbiamo potuto confrontarci - ognuno dal proprio punto di vista professionale ed umano - per pervenire a soluzioni che potessero dare risposte chiare e concrete al detenuto.

La mia presenza in carcere è stata inizialmente verificata perché si voleva capire in quali termini mi ponevo rispetto all'istituzione ed agli Operatori stessi. Preso atto che chiunque lavori in carcere vive sulla propria pelle la sofferenza del contesto ambientale in cui quotidianamente opera, non volevo dare adito ad atteggiamenti di controllo o di criticità negative ma sono partita dalla consapevolezza che potevo essere un tassello in più per portare informazioni e/o soluzioni.

Ciò ha comportato un regolare confronto con i servizi, interni ed esterni al carcere, con gli Uffici dell'Amministrazione Penitenziaria, con gli Uffici della Magistratura di Sorveglianza, con l'Ufficio dell'Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia, con l'Associazione Camera Penale di Trieste, con diversi studi legali della città e del territorio nazionale, con lo Psicologo del Dipartimento per le Dipendenze dell'Asl, con il gruppo dei volontari penitenziari: Comunità di S. Martino al Campo, Caritas, S. Vincenzo de' Paoli. Confronto operativo che costantemente si è tenuto anche con altri Garanti del territorio nazionale, in particolare i colleghi della nostra Regione, il Garante comunale di Udine - Dott. Maurizio Battistutta - e quello provinciale di Gorizia - Don Albero Denadai.

Un altro percorso è stato quello del contatto diretto di familiari che hanno chiesto d'incontrarmi personalmente per i loro congiunti oppure soltanto per ottenere informazioni sull'organizzazione penitenziaria. Essere visibile sulla rete civica del Comune di Trieste, avere fisicamente un ufficio ed un orario per il pubblico, ha consentito a diversi familiari di contattarmi anche per un momento di conforto e di sostegno in gravi situazioni di disagio, personale e familiare. Hanno chiesto un colloquio personale anche persone in attesa di definire la propria situazione giudiziaria con il Tribunale di Sorveglianza (l'udienza per ottenere o meno una misura alternativa al carcere) per informazioni di carattere "generale". Per richieste che entravano nel merito della situazione personale e che non evidenziavano lesione di "diritti", ho rinviato agli Uffici competenti, mantenendo nel contempo un contatto con le assistenti sociali e gli operatori di riferimento. Ho settimanalmente incontrato in carcere i detenuti che ne facessero richiesta.

Alla data del 7 novembre ultimo scorso, il Garante ha effettuato in carcere 164 colloqui con i detenuti. Queste le problematiche evidenziate:
- Giuridico-Legali (18)
- Studio-Lavoro (7)
- Territorio (6)
- Problematiche strettamente penitenziarie (44 - Ricorso a Strasburgo, Uepe, lavoro interno, alimentazione, telefonate, iscrizione a corsi professionali)
- Espulsione e/o richiesta di asilo politico (12)
- Famiglia-Figli e situazione econimica (30)
- Abitativi (9)
- Sanitari (31)
- Ascolto-Sostegno (7)

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