"Gioco del rispetto", le curatrici: «Falsità sul progetto da media e politici rasentando il codice penale»
Nota delle progettiste: «Al termine della lettura del progetto, la reazione degli altri genitori è stata più o meno questa: "E quindi?" Non c'era pornografia, non c'erano nudità, non c'erano palpeggiamenti, non c'era educazione sessuale»
«Alla fine l’abbiamo fatta questa riunione con i genitori della scuola da cui è partito questo caso mediatico. C’eravamo noi curatrici del progetto, c’erano le rappresentanti dei servizi educativi del Comune di Trieste, c’erano le insegnanti che hanno aderito al progetto e c’erano i genitori». È quanto affermano sul sito ufficiale del progetto "Il gioco del rispetto" le responsabili dello stesso»,
«I servizi educativi - continuano il comunicato - hanno spiegato l’iter seguito in tutte le scuole per presentare il progetto alle famiglie, hanno annunciato che questa scuola, per quest’anno, inizierà la sperimentazione con due giochi (“bocciati 9 giochi su 11, titolano subito i giornali); le insegnanti hanno letto la storia di Red & Blue e il genitore che ha sollevato inizialmente il caso su Vita Nuova ci ha letto tutto il contenuto della scheda di gioco che secondo lui invitava bambini e bambine a “toccarsi i genitali”. Gli abbiamo chiesto di leggerlo tutto, senza estrapolare frasi dal contesto».
«Al termine della lettura - spiegano le educatrici , la reazione degli altri genitori è stata più o meno questa: “E quindi?” Non c’era pornografia, non c’erano nudità, non c’erano palpeggiamenti, non c’era educazione sessuale. I genitori hanno giudicato assolutamente validi i giochi proposti dal nostro kit e, cosa più importante, hanno rinnovato la stima e la fiducia nelle insegnanti dei loro figli. Concludendo, i genitori sono pronti a firmare l’autorizzazione per far partecipare i loro figli al progetto.
Lieto fine? Non proprio».
«Questa storia - spiegano - si porta con sé un bagaglio pesante, fatto di violenza, di arroganza, di ignoranza, di superficialità e disprezzo per le regole e per le persone.
Facendo un sunto molto veloce di quanto successo in questi giorni:
– un genitore è stato libero di diffamare un progetto supportato da Università, Comune, psicologi, pedagogisti e insegnanti, intimidendo tutti gli altri genitori con un volantinaggio che parlava di pornografia
– il quotidiano locale di Trieste è stato libero di chiamare “osé” le proposte di gioco contenute nel progetto, scrivendo un titolone in prima pagina, senza averci mai chiesto informazioni
– il quotidiano Libero è stato libero di scrivere che in Friuli Venezia Giulia si porta la pornografia nelle scuole
– esponenti della politica italiana, che ci rappresentano nel Parlamento, sono stati liberi di disquisire del nostro progetto su social network e mezzi stampa sempre senza aver verificato le fonti (e ci domandiamo se quando vanno a discutere di politica estera o quando fanno le leggi, usino la stessa prassi)
– una troupe televisiva è stata libera di entrare con le telecamere in una scuola dell’infanzia della città senza chiedere l’autorizzazione a nessuno
– un consigliere comunale è stato libero di postare dal suo profilo facebook il nostro progetto senza chiedere alcuna autorizzazione, senza preoccuparsi del diritto d’autore o del danno derivato dalla violazione del copyright».
«In questi giorni - sottolineano - la legge è stata violata in continuazione, ed è stata violata da chi dice di portare avanti una battaglia a tutela dei diritti dei bambini. Ma ci chiediamo quale esempio tutte queste persone potranno mai dare ai nostri figli. Quale etica professionale potranno trasmettere? Che cosa impareranno da loro i bambini e le bambine che devono essere protetti e protette dal nostro concetto di uguaglianza? L’intimidazione, l’alzare la voce, il disprezzo delle regole, l’indifferenza verso il lavoro e i sentimenti delle altre persone sono tutte manifestazioni che ci fanno pensare che il rispetto non rientri nelle priorità di tanta gente, e non ci stupiamo che il nostro progetto venga attaccato».
«Noi qui siamo in tre. Non abbiamo un ufficio stampa - spiegano le educatrici - , non abbiamo un social media team che ci segue online. Rispondiamo noi di persona a chi ci chiede informazioni e lo facciamo gratis, per amore della verità. Abbiamo studiato e proposto un progetto alle scuole e alle famiglie che hanno i figli in quelle scuole, non abbiamo creato un prodotto di marketing scaricabile online in versione ipad e pc. Il materiale didattico non è pubblico, ma è riservato alle famiglie che aderiscono alla sperimentazione. Ci hanno chiesto da più parti di farlo vedere, perché “la gente deve sapere”. No, non è “la gente” che deve sapere. Gli unici che devono sapere sono le famiglie e le insegnanti, che abbiamo cercato di tutelare fino all’ultimo secondo. Non siamo al circo, siamo nelle scuole. Il materiale didattico che le insegnanti e gli insegnanti usano ogni giorno nelle scuole non è pubblico o scaricabarile online. Libri, puzzle, album non sono alla mercé di tutti, ma fanno parte delle scelte autonome delle scuole».
«Bene, ora tutto il materiale è online. Possiamo fare causa - concludono - , denunciare, certo. Ma ormai le parole dei titoli sui giornali, dei politici e degli ignoranti sono state dette. Il danno è fatto. Perché quando manca il rispetto, che è la base di una società veramente civile, mancano le basi per far funzionare tutto il resto. C’è un grande terrore di sovvertire l’ordine, ma quale ordine? Noi vediamo solo disordine e anarchia, in cui chiunque è libero di calpestare gli altri, e senza chiedere il permesso. Rimarremo online con la nostra pagina facebook e con il nostro sito, ma non ci presteremo più a moderare commenti che non cercano il dialogo, ma solo la provocazione. Torneremo invece a fare quello che sappiamo e vogliamo fare: migliorare e diffondere sempre più un progetto per una società più giusta e più equa, in cui i bambini siano liberi di crescere e di diventare adulti che si rispettano tra loro. Perché ce n’è un disperato bisogno».