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Cronaca

I "Tre re", una tradizione triestina quasi scomparsa

Si girava per le case sempre in tre e si cantava una filastrocca divertente. In caso di formazione ridotta si rimaneva in due. Se la gente chiedeva dove fosse finito il terzo si rispondeva sempre: "Fa la guardia al cammello". Un'usanza quasi del tutto scomparsa

“Noi semo i tre re, vignudi tutti e tre, vignudi dall’Oriente per adorar Gesù”. Inizia così una delle tradizionali filastrocche che a Trieste vengono cantate dai ragazzini di fronte alla porta delle case delle famiglie, durante il periodo delle feste natalizie. I tre bambini, simbolicamente a vestire i panni dei portatori di doni Baldassarre, Melchiorre e Gaspare, si portano davanti alla porta degli inquilini, suonano e, alla successiva apertura, intonano il famoso canto epifanico.

La tradizione e la situazione attuale

I tre re potevano iniziare anche dopo il giorno di San Nicolò, il 6 dicembre e finire circa un mese dopo, nel giorno dell’Epifania. Tradizionalmente i bambini entravano nelle case a gruppi di tre e cantavano sempre tenendo una candela in mano. Le persone adulte aspettavano la fine del canto e donavano sempre qualcosa. Passano gli anni e passano le tradizioni. Oggi a Trieste esiste ancora la tradizione dei Tre re? Ci sono bambini che vanno di casa in casa a canticchiare la filastrocca? Come vivono i genitori questa ritualità?

Un tempo c’erano molti bambini

Secondo Claudio Servi “nella zona di piazza Perugino e vie limitrofe saranno forse 10 anni che non li vedo più. L’ultima volta che ho assistito a questa tradizione saranno stati più di 12 anni fa ed erano sedicenni che lo facevano per witz”. Claudio afferma che “negli anni Sessanta andavamo e giravamo, come si suol dire, per i portoni. C’erano tanti bambini che andavano in giro in quegli anni”. Anche Alessandra racconta di averli "in via Commerciale in zona della parrocchia Regina Pacis circa dieci anni fa. Forse a Roiano lo fanno ancora?". 

Il terzo fa la guardia al cammello

Franco vive a Muggia e sa che in zona i tre re si cantano ancora. “Credo di sì anche perché c’è un gruppo di genitori irriducibili che insegna ai bambini le tradizioni antiche. Io andavo da piccolo a Borgo San Sergio e andavamo anche in due”. Infatti, spesso ci si ritrovava di fronte ai magi, diciamo così, in formazione ridotta. Alla domanda delle famiglie dove fosse finito il terzo, la risposta automatica era sempre la stessa: “El xe zo che tien el camel”. Luciana afferma che “le mie figlie non lo fanno e non sono mai andate. Io da piccola andavo nella zona dove abitavo, in città vecchia”. Lorenzo non è genitore ma “so che qualcuno lo fa ancora. Qualche anno fa nella zona di via Kandler (una perpendicolare di via Giulia ndr) erano venuti a cantare”.  In un post su facebook di qualche settimana fa il consigliere comunale Antonio Lippolis ha scritto: “Mi ricordo quando andavamo a cantare in giro per le case. I più generosi erano quasi sempre i più poveri”.

In Istria

In Istria i tre re erano una tradizione e i moltissimi esuli che dopo la Seconda guerra mondiale si stabilirono a Trieste, si portarono dietro il canto. “Cantavo con mio papà perché a Umago si faceva” scrive Elisa. Anche Ketty sa "che se nell’interno, intorno a Pisin, ma solo adulti, el giorno della befana. In pratica i se fa el giro delle cantine cantando. De noi a Buie se fazzeva el giro solo per ciapar la bona man, ma no se cantava". 

Le zone popolari

C’è un mix tra la narrazione e la realtà. Chi afferma di averli visti, chi si fa prendere dallo scetticismo e dal cinismo imperante in questi periodi e chi, infine, afferma che queste tradizioni ormai vengono soppiantate da altro, come ad esempio l’anglosassone “dolcetto o scherzetto?”.  Negli anni in cui la persona che ha firmato questo articolo andava a cantare i tre re, era di "tendenza" recarsi nelle zone per così dire popolari: San Giacomo, Barriera, per spostarsi poi fino a Coloncovez e Campanelle, se non addirittura il comprensorio di Melara. Il centro di Trieste alla metà degli anni Novanta non era ancora così a misura d’uomo come è oggi e le periferie erano, per certi versi, aree sicure dove i bambini giocavano ancora negli spazi sulla strada.

In Carso la tradizione sopravvive ancora

Il canto dei tre re resta però presente in Carso e soprattutto tra le famiglie slovene. “A Santa Croce e a Repen si fa ancora” scrive Gregor. Secondo Giovanni “l’anno scorso sono passati da mia nonna sul Carso”. Jan sa che a Trebiciano/Trebče “lo fanno i bambini della scuola elementare assieme alle maestre mentre nel goriziano i bambini lo fanno assieme ai circoli culturali”. Secondo Gregor “la versione slovena è il koledovanje” che potrebbe rifarsi alle calende, i primi giorni di ogni mese dell’anno da tradizione latina.

La sicurezza che seppellisce ogni entusiasmo

Oggi come oggi, forse, i tre re sono spariti. Forse sono sempre in meno bambini ad improvvisare un’uscita da casa per andare a bussare alla porta di estranei dal cuore d’oro. Forse la macchina della sicurezza ha fatto sedimentare – soprattutto nei genitori – la paura che il mondo fuori dalla propria abitazione sia un mondo insicuro. Le scuole mantengono viva, in alcuni casi, la tradizione e, di conseguenza, viene meno la spontaneità. Ma tant’è, la speranza è sempre l’ultima a morire. Ci sarà pur qualche ragazzino lì fuori pronto a convincere l’amico di sempre a passare un pomeriggio in giro sull’uscio delle case, a cantare una filastrocca divertente e, infine, a raccogliere i generosi sorrisi della gente?

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