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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

"Coronavirus, per salvare l'artigianato serve un taglio alla burocrazia", intervista a Giancarlo Carena (Cna)

Dal 2015 è il presidente del Cna ed ex presidente dell’Agricola Monte San Pantaleone, una delle tante realtà nate dalla deistituzionalizzazione dell’ex ospedale psichiatrico. "Gravi conseguenze per piccole e medie imprese. Ci sarà una barca di gente espulsa dai processi produttivi"

Dal 2015 il presidente dell’associazione che rappresenta il mondo dell’artigianato e delle piccole medie imprese, è Giancarlo Carena, riconfermato all’unanimità nel 2017. Decisamente inconsueto che il presidente di una cooperativa sociale — Carena ha guidato per oltre trent’anni l’Agricola Monte San Pantaleone, una delle tante realtà nate dalla deistituzionalizzazione dell’ex ospedale psichiatrico — assurga a presidente di CNA, come atipico è il suo profilo: per quarant’anni ha svolto il ruolo di infermiere psichiatrico, attività che gli ha sicuramente consentito di avere uno sguardo “altro” sulla vita e sulle cose. Sguardo che ci restituisce anche oggi, in un momento drammatico per il mondo e per il nostro Paese e particolarmente difficile per il settore che è chiamato a rappresentare.

Presidente Carena, come ha reagito CNA allo tsunami provocato dall’emergenza Covid19?

Non si può dare una risposta univoca, perché siamo una realtà di quasi 500 iscritti con una notevole varietà di attività e codici Ateco: l’impatto è stato molto diversificato a seconda dei settori, ma su tutti, nessuno escluso, estremamente concreto e con gravi conseguenze. C’è chi era più pronto e ha reagito immediatamente: penso ad esempio agli edili, che hanno da subito redatto un documento firmato da Lorenzo Cerbone e Stefano Zuban, con cui raccomandavano la massima accelerazione delle procedure per l’affidamento dei lavori pubblici; chi ha avanzato in tempo quasi reale delle idee: penso ai trasportatori, che in una proposta formale a firma di Fabio Fontanot hanno invitato a utilizzare i bus turistici regionali in affiancamento temporaneo a quelli di Tpl per il trasporto delle persone in sicurezza; chi sentendosi dimenticato ha giustamente lanciato un grido di dolore: penso a Luisa Dri del settore benessere, che facendosi portavoce dei colleghi e delle colleghe ha additato nel prolungato stop un incentivo al dilagare del nero, rivendicando al contempo delle abitudini ormai consolidate, come l’uso dei guanti e l’adozione di sistemi di sanificazione, perfettamente in linea con le direttive antiCovid.

Cosa chiedono in questo momento alla politica e alle istituzioni l’artigianato e le piccole medie imprese?

Velocità e sburocratizzazione. Si tratta di snellire le procedure per consentire agli imprenditori di agire e di essere operativi, di non restare schiacciati dalle tante arretratezze che pesano sulle modalità di funzionamento della macchina amministrativa. Una semplificazione, tuttavia, che non fa rima con deregulation, anzi esige un rafforzamento dei sistemi di controllo e un ritrovato rispetto della legalità. Attenzioni che condivido e che sono emerse da un sondaggio che CNA ha promosso tra gli iscritti, in modo da avere il polso della situazione.

L’ottimismo è d’obbligo nonostante tutto, ma sinceramente come la vede?

Bisogna essere ottimisti ma anche onesti: dobbiamo avere il coraggio di dirci che ci sarà prossimamente una barca di gente espulsa dai processi produttivi, spariranno significativi segmenti del mercato del lavoro. Inoltre, chi come me ha lavorato in psichiatria sa bene che molti degli espulsi di oggi rischiano di diventare gli esclusi di domani, innescando una crisi non solo economica ma prima di tutto sociale.

Secondo Lei cosa si può fare?

Bacchette magiche non ce ne sono, soprattutto non ce n’è una che vada bene per tutti: bisogna sperimentare, facendo tesoro di un patrimonio di competenze maturato in questo territorio, e non farsi trovare impreparati.

Concretamente cosa significa?

Significa fare delle scelte, anche scomode, assumendosene la responsabilità. Occorre sostenere con forza i settori che tengono, avere il coraggio di chiudere quelli in agonia, organizzare la riconversione di chi viene tagliato fuori impegnando risorse. Risorse che bisogna decidere come e dove allocare.

Non ha senso dare contributi indifferenziati solo per accontentare tutti sul momento, sapendo benissimo che ci sono attività che non hanno futuro. È un discorso duro da fare, ma credo sia proprio questo il compito della politica e delle associazioni di rappresentanza: non dare false speranze e aiutare chi è più in difficoltà a riconvertirsi, offrendo anche a questo scopo risorse e strumenti. In questa fase serve tanta immaginazione per uscire dai recinti tradizionali, dal “si è sempre fatto così”: solo così potremo inverare un welfare che concorra allo sviluppo economico del territorio.

Welfare ed economia di solito non vanno tanto d’accordo…

In realtà vi sono oggi importanti risorse della sanità e dell’assistenza a sostegno dell’inclusione lavorativa. Bisogna valorizzare le competenze maturate dalla cooperazione sociale trasferendo il know how accumulato al resto delle imprese e per tutte accelerare i processi di innovazione e di digitalizzazione dellaproduzione. Questo cambiamento rappresenterebbe un’importante e significativa sperimentazione: non dimentichiamoci che la qualità sociale genera qualità economica.

Ma torniamo sul tema delle risorse: la cassa piange, dove le recupererete? Da più parti in questi mesi si è levato un invito al presidente Paoletti a rinunciare al Parco del Mare, Lei è anche consigliere della Camera di Commercio…

Penso che ognuno debba fare la sua parte e che la Camera di Commercio, l’organo rappresentativo delle forze produttive del territorio, dovrebbe seriamente riconsiderare il progetto “Parco del Mare” e destinare altrimenti le risorse accantonate a quello scopo. Lo tsunami Covid-19 ha spazzato via, a mio avviso, ogni dubbio e discussione sulla fattibilità e l’opportunità di quella realizzazione: bisogna mettere mano alle scorte e dare ossigeno al commercio e all’artigianato, ben sapendo che quella cifra è solo un tassello di quanto servirà per sopravvivere al presente, per sperimentare nuove modalità di fare impresa. Ecco, sperimentare è per me una delle parole chiave di questo tempo.

Il ritorno della movida ai tempi del Covid: "rinascono" i bar, faticano i ristoranti 

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