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L'indagine parallela / Cologna - San Giovanni / Via Verrocchio

"Il cordino è una messinscena, i sacchi usati per trasportare il cadavere"

A sostenere questa tesi è l'avvocato Nicodemo Gentile, presidente dell'associazione Penelope che difende la famiglia Resinovich. Una lunga intervista concessa a TriestePrima, dove si fa il punto in vista dell'ipotesi che venga chiesta la riesumazione della salma di Liliana

TRIESTE - Da quando il caso della morte di Liliana Resinovich è approdato nelle televisioni nazionali la sua eco è cresciuta in maniera esponenziale. Si sono allargate le maglie del dibattito e delle analisi. Molto di ciò che è stato fatto fino ad oggi, dal punto di vista investigativo, non convince parte dell'opinione pubblica, tra cui l'associazione Penelope che ha deciso di difendere gli interessi legali della famiglia Resinovich. Abbiamo quindi sentito Nicodemo Gentile, avvocato e presidente dello storico sodalizio.  

Dalle interviste che avete rilasciato in agosto avete nominato un consulente di parte.

Sì, come consulenti di parte della difesa della Resinovich, del fratello e della nipote abbiamo il professor Vittorio Fineschi, ordinario della medicina legale della Sapienza, e il professor Stefano D’Errico, direttore della medicina legale di Trieste. Poi c’è la criminologa dottoressa Gabriella Marano, il dottor Nicola Caprioli come criminalista e la biologa e specialista Marina Baldi. L’informatico forense è Luca Russo.

Da quella volta è cambiato qualcosa? Voi avete chiesto l’intero fascicolo alla procura, giusto?

Noi abbiamo chiesto di poter accedere ovviamente al fascicolo della procura di atti ostensibili, in uno spirito di collaborazione con la Procura di Trieste in quanto anche noi, sia pure come parte privata, vogliamo collaborare alla ricerca della verità che la procura sta cercando di tirare fuori da circa un anno. È evidente che per poter consentire ai nostri tecnici di lavorare in modo completo c’è bisogno di avere a disposizione il materiale. Abbiamo iniziato una collaborazione sotto questo profilo, chiedendo delle autorizzazioni che in parte abbiamo anche avuto.

Ok, quali autorizzazioni avete ottenuto?

Adesso abbiamo ottenuto un po’ di atti e li stiamo sviluppando. Siamo nelle condizioni di poter dire che disponiamo di una serie di atti che ci consentono di poter iniziare a fare un lavoro preliminare, non completo ma preliminare, importante.

Ok, quindi la collaborazione con la procura procede.

Nella vicenda sembra ci siano squadre diverse come in una partita di calcetto: quelli che giocano con la tesi del suicidio, quelli che giocano con la squadra dell’omicidio, ma in realtà c’è un solo obiettivo ed un solo risultato. Non vince nessuno, vince la verità, quella umanamente accettabile, ma soprattutto quella umanamente accertabile. Noi vogliamo dare un nostro contributo nel rispetto delle parti e di quello che stabilisce l’ordinamento in fase di indagine. Cerchiamo di dare dei contributi per raggiungere un obiettivo comune. 

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Cosa non vi convince dell’autopsia?

Per quanto riguarda la relazione finale, quella depositata a fine ottobre, non ci convince assolutamente nulla. È un lavoro, noi lo diciamo con grande rispetto per i professionisti impegnati, che non può in nessun modo consentire a nessuna delle parti di arrivare a dei risultati in termini di qualificata probabilità e di certezza. Non consente alla procura né di archiviare, né di andare avanti perché è un lavoro che lascia inesplorati alcuni aspetti, che crea punti interrogativi enormi e anziché risolvere i dubbi, ne crea tanti altri. È un lavoro che, né da solo, né valutato in modo globale con gli altri, riesce a chiarire i punti interrogativi.

Quali sono questi punti interrogativi?

Innanzitutto l'epoca della morte. Nessuno voleva una datazione in termini di minuti e secondi, ma c’è un buco di quasi 20 giorni dalla data della scomparsa a quella della morte. Evidentemente non si sono fatti i conti con l’assetto emotivo. Lo ripeto da sempre, non perché io sia portatore di verità, ma perché lo impongono i grandi manuali più qualificati a livello internazionale di investigazione: quando si parla di morte equivoca e sospetta come quella di Liliana, tant’è che siamo quasi ad un anno e siamo senza risposte certe, non si può lavorare solo con risultati tecnico- scientifici, soprattutto quando si hanno risultati, diciamo così, aperti. Bisogna fare una valutazione globale ed unitaria con i fatti, e anche con l’assetto emotivo e con il personale percorso di questa donna, con il suo profilo personologico. Quando si parla di suicidio deve in qualche modo entrare in gioco anche questa indagine, che è altrettanto importante e dignitosa, così come l’analisi della botanica, l’analisi tossicologica e quella informatica. Soprattutto quando noi abbiamo una consulenza informatica che parla di tutto, ma in nessun modo restituisce un quadro, neppure indiretto, di una donna che avesse fatto ricerche strane e tutta una serie di percorsi come spesso avviene. È una donna che non ha avuto mai comportamenti insani. Dall’informatica invece arrivano alcuni pensieri della donna, perché quella è un’estensione dei suoi pensieri. Se io vengo sul suo telefonino e vedo quello che lei ha cercato, evidentemente posso dire che lei ha cercato cinema perché quel giorno voleva andare al cinema, o il Mc Donald’s o quant’altro. Quelli sono i pensieri di Liliana, e da lì non si può uscire.  

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Ci sono delle incongruenze nella relazione autoptica?

Ci sono delle incongruenze, ma soprattutto non si fanno gli appositi riscontri dal punto di vista personologico della donna. È importante, perché tutto quello che è successo non può non essere messo a confronto con quello che era il quadro dell’aspetto emotivo della donna a quel tempo e un po’ prima. Era una donna distinta, lo dicono tutte le persone che l’hanno conosciuta, lo dicono le sue ricerche e lo dicono i suoi comportamenti. Non aveva nessun tipo di perturbamento e nessuna problematica di natura psicologica. Una delle cose che abbiamo notato è che i consulenti della procura non si confrontano in alcun modo sul perché, sul senso di quella modalità così anomala. L’anomalia è data dai sacchi neri, ma i sacchi neri non sono assolutamente funzionali al suicidio, perché bastava il sacchetto della frutta e verdura. A cosa sono serviti? Perché questa modalità? Quel cordino lasso al collo che ha una sua funzione solo ornamentale perché non ha lasciato nessun solco o segno sul collo, a cosa è servito? Noi siamo convinti che quello è un evidente staging della scena, e che quei sacchi neri siano serviti per trasportare il cadavere, ma non nel senso per trascinare il cadavere sul luogo, ma per trasportarlo, magari non si è da soli e si fa subito. Quel cordino lasso è segno certo di una messinscena, perché bastava il sacchetto. Ci sono tante incongruenze.

Una in particolare?

Quella che addirittura i consulenti dicono che quei vestiti erano puliti, come anche i sacchi, senza strappi e senza segni, ma soprattutto non si può escludere il fatto che la donna abbia potuto lavare, nel periodo in cui è scomparsa e che, quindi, abbia avuto a disposizione una casa dove poter fare il bucato, dove poter fare le lavatrici, così da giustificare quella sostanza (idrossichinolina ndr) trovata nel sangue, che normalmente si trova in detergenti comuni. In quel caso però abbiamo la certezza che Liliana ha fatto la lavatrice nei giorni in cui è scomparsa, il 14 ha fatto una colazione con delle uvette.

Avete sempre sostenuto la tesi dell’omicidio, mentre qualcuno ha avanzato l’ipotesi che potrebbe essere stato un arresto cardiaco durante la colluttazione.

Noi siamo sempre più convinti che non si tratta di suicidio, non esistono dubbi. Se uno riesce a leggere anche in controluce la consulenza medico-legale in più passaggi, questo fatto viene detto e superato con delle motivazioni che a nostro avviso non sono assolutamente coerenti, logiche, né scientificamente gratificanti. Quindi sono delle supposizioni, delle proiezioni, delle consulenze liberissime che noi assolutamente non condividiamo, perché non sono risultati scientifici. Le supposizioni dei consulenti le leggiamo con interesse, ma noi possiamo farle in modo logico e plausibile allo stesso modo. Il dato, a mio avviso, è che ci sono dei segni che prescindono dal suicidio come lesività traumatiche sulla parte sinistra del cranio, la testa, una piccola lesione sulla lingua, un livido su una gamba. C’era nella bozza, la riportava in modo pacifico, adesso nella consulenza definitiva c’è stata un po’ di retromarcia su una tumefazione all’occhio e una perdita ematica dalla narice. Tutti questi segni, letti in modo globale e non in modo parcellizzato, ci fanno dire che con ogni probabilità c’è stato sicuramente un momento di discussione, di alterco, di discussione energica, e che la donna sicuramente è stata strattonata e colpita e che poi, anche in ragione di un’aritmia acuta, è morta. Liliana è stata probabilmente conservata chissà dove, poi è stata trasportata. Anche quella posizione dormiente potrebbe farci pensare alla conservazione iniziale in un bagagliaio e poi in qualche dolina. Questa è un’esasperazione del dato congelamento ma basta una dolina e qualcuno che l’ha trasportata successivamente. Noi abbiamo sempre detto che a nostro avviso sarebbe un delitto di prossimità, cioè un delitto che sicuramente è maturato nelle relazioni più strette, che non significa solo relazioni parentali, ma di amicizie. È successo qualcosa quella mattina, poi sicuramente la donna è stata strattonata. Quei segni che, tra l’altro, e questa è una grave lacuna della consulenza, non vengono in nessun modo datati, quei segni e quei lividi, la medicina legale ha gli strumenti per dire se quei segni sono coevi o meno all’epoca della morte, in base anche al carattere cromatico delle lesioni. Andrebbe capito chi quella mattina si trovava nelle zone dove c’era anche Liliana, capire i movimenti delle persone che vanno dal 14 al 2, 3, 5 gennaio, quando il cadavere è stato ritrovato, e da lì fare un’indagine anche di natura tradizionale e classica dove si incrociano i dati circostanziali con i fatti e con il mondo delle sue relazioni. Quando la scienza non dà dei risultati certi si fa un’indagine a 360 gradi.

Si parlava di una frattura nasale. 

Nella consulenza definitiva si parla di una possibile antica frattura nasale, poi si dice che non ci sono grossolani segni sul naso. Allora ci si chiede, visto che è stata fatta anche una TAC, c’è o non c’è questa frattura? Se uno dice possibile frattura antica, nelle consulenze tecniche il linguaggio, il lessico, i termini che si utilizzano, sono pesanti come pietre, non si possono liberare così come quando siamo al bar, perché cosa significa nella medicina legale la parola “possibile”? Massimo rispetto per i consulenti, ma anche la verità merita rispetto. Nessuno dice che la donna è stata uccisa da questi segni traumatici, ma se sono coevi all’epoca della morte assumono un significato importante, vuol dire che ha avuto un contatto fisico energico. Tenete conto anche del fatto, e questo non è di poco conto, che la donna pesava neanche 50 chili, cioè, riuscire fisicamente a sopraffare Liliana non è una cosa tanto complessa e difficile. Questi segni ci sono e non ci si può girare dall’altra parte e considerarli accidentali, non è così. Innanzitutto, dobbiamo capire in quale momento sono stati inferti, perché è successo questo? Questa donna sembra appoggiata in attesa della morte, ma i manuali ci dicono che le morti per asfissia sono molto tragiche. Ci sono comportamenti involontari, spontanei, spasmi, ci sono addirittura convulsioni e invece Liliana è stata lì ferma ad aspettare di morire? C’è gente che si lega pure le mani per evitare che possano essere messe in atto comportamenti di autoconservazione, perché molte volte le persone stesse che tentavano di suicidarsi si sono salvate da sole. Noi vogliamo arrivare alla verità e nel rispetto delle parti e delle regole contesteremo e cercheremo di dimostrare il contrario.

Parlando di Sergio, anche nell’ultima intervista rilasciata a TriestePrima ha sempre chiesto di vedere quel famoso video in cui Liliana passava per piazzale Gioberti, che la Polizia sostiene di avere, e sostiene che lei portava la borsa, quella scura. Lui è mai riuscito a vederlo?

Ha sempre detto di essere disponibile a fare qualsiasi riconoscimento e a dare il suo contributo per qualsiasi attività che possa portare a chiarimenti. Lui, tranne alcune foto che gli sono state mostrate i giorni successivi al ritrovamento del cadavere, non ha mai avuto possibilità di vedere nient’altro, se non gli atti d’indagine che noi siamo stati autorizzati ad avere, ma non ha visto dei frame, non ha visto video, né riprese di telecamere.

Il 5 gennaio la Polizia ha deciso di cercare il corpo proprio là, ha ricevuto delle segnalazioni che lei sappia?

Questo è un punto che io non posso chiarire perché anche per noi questo rappresenta ancora un punto oscuro. Non sappiamo il come e il perché si sia arrivati il pomeriggio del 5 gennaio in quel boschetto e perché è partita la segnalazione.

Chiederete la riesumazione?

In linea teorica non lo escludiamo. Se i nostri consulenti indicheranno la riesumazione come l’unica possibilità per raggiungere la verità, allora lo faremo.

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