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Giovedì, 25 Aprile 2024
La manifestazione / Barriera Vecchia - Città Vecchia / Piazza Unità d'Italia

Dall'Arcivescovo ai No green pass: tutte le anime di Trieste in piazza per i lavoratori della Wartsila

In piazza 2mila persone tra cui il sindaco Dipiazza, gli assessori regionali Rosolen e Scoccimarro, le Acli, il Movimento 3V. e tutte le sigle sindacali, la cui delegazione è stata ricevut dal prefetto Vardè. Cronaca di una manifestazione sentita e partecipata

La canicola, il sole del primo pomeriggio e le polveri tossiche sprigionate dall'incendio in Carso non hanno fermato oggi la protesta di 2mila triestini in piazza Unità contro la possibile chiusura della Wartsila a Trieste. Riuniti sotto lo stesso obbiettivo hanno manifestato nel salotto buono della città il Sindaco Dipiazza e il Movimento 3V, l’arcivescovo Gianpaolo Crepaldi e Don Ettore Malnati poco lontano dalla sinistra più radicale, il Coordinamento No green pass e i rappresentanti della Regione, passando per le Acli e il Clpt. Tutte le sigle sindacali (Usb staccata dalle altre, con un furgoncino e casse a tutto volume) hanno sventolato le loro bandiere per frenare quella che si preannuncia come una catastrofe, l’ennesimo e forse peggior capitolo di una crisi industriale che non sembra conoscere fine.

Alle 15:40 i rappresentanti sindacali sono stati accolti dal Prefetto Annunziato Vardè, che si impegnerà a portare a Roma la richiesta di ritiro dell’iter di licenziamento. Una procedura che riguarda 450 persone, senza contare un indotto di almeno altrettanti lavoratori a rischio, una vera e propria voragine occupazionale che riguarda la città intera. Una città che ha risposto con una presenza importante, anche delle forze politiche di ogni schieramento tra consiglieri e assessori, sia comunali che regionali. Tra questi il vicesindaco Serena Tonel, il sindaco di Muggia Polidori, il vicesindaco di San Dorligo / Dolina Goran Cuk e gli assessori regionali Rosolen e Scoccimarro.

Ottimista il sindaco Dipiazza: “Questa volta siamo tutti insieme, sulla Ferriera la destra e la sinistra erano separate ma stavolta possiamo raggiungere un obbiettivo. Se le possibilità fossero in scala da uno a dieci credo che oggi saremmo a sei, possiamo ancora salvarci”.

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Sul piede di guerra, invece, i rappresentanti sindacali, che non lasciano spazio a buoni pronostici. Palpabile la rabbia verso la multinazionale che ha rilevato il prestigio e il 'kow how' di un’industria triestina dalla lunga tradizione. "Per i lavoratori è importantissimo vedere cosa sta dando la città alle maestranze – ha detto Fabio Kanidisek della Fim Cisl - abbiamo portato il vecchio striscione della Grandi Motori per mostrare che questa è la storia industriale di Trieste”.

Secondo Marco Relli (Fiom Cgil) “Questo è il disfacimento finale dell’industria triestina, avrà delle ricadute non solo occupazionali, dirette e dell’indotto, ma anche dell’economia di tutta la città, di prospettive future per i lavoratori e per i nostri figli. Se non si torna indietro avremo una città spopolata, in cui i giovani che fanno famiglia non troveranno sistemazione. Noi sindacati lo stiamo dicendo da anni”.

Luciano Bordin, segretario regionale Cisl, ha ribadito le intenzioni delle sigle simndacali: “Non ci siederemo a nessun tavolo di trattativa se non verrà ritirata la procedura dei licenziamenti”. Per Antonio Rodà (Uil) questa manifestazione rappresenta “una comunità che reagisce con forza alla desertificazione industriale del nostro territorio, ci sono anche i lavoratori della Flex e della Principe, oltre 1200 lavoratori a rischio. Come per la Sertubi e la Stock, altre multinazionali hanno abbandonato il nostro territorio dopo aver sfruttato le nostre opportunità. Non possiamo consentirlo. La politica non può pensare di puntare solo sul turismo delle navi bianche e sui servizi, bisogna tutelare il patrimonio industriale”.

Sasha Colautti (Usb), invoca invece una legge contro le delocalizzazioni: “Non possiamo permetterci di attendere che arrivi una Bat a risolverci i problemi. Trieste si è data molti strumenti a disposizione, molti di questi rendono la nostra città appetibile e garante di competitività economica. È evidente che questo non basta per fermare delocalizzazioni e fughe dopo aver macinato milioni di fondi pubblici”.

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