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Cronaca

Rettore Peroni: i Punti di Forza e le Criticita' del nostro Ateneo nel Discorso d'Inaugurazione dell'anno Accademico. Il Testo Integrale

Discorso d'inaugurazione dell'anno accademico 2011-2012Signor Ministro, Autorità, Colleghi docenti italiani e stranieri, Colleghi del personale tecnico e amministrativo, cari studenti, gentili ospiti,l’inaugurazione dell’anno accademico 2011-2012...

Discorso d'inaugurazione dell'anno accademico 2011-2012

Signor Ministro, Autorità, Colleghi docenti italiani e stranieri, Colleghi del personale tecnico e amministrativo, cari studenti, gentili ospiti,

l'inaugurazione dell'anno accademico 2011-2012, l'ottantottesimo dalla fondazione di questo Ateneo, si tiene quest'anno alla vigilia di passaggi decisivi per la vita istituzionale della nostra comunità, legati al varo del nuovo Statuto di Ateneo.

A tale peculiare circostanza, si deve la scelta di spostare la cerimonia, rispetto al nostro tradizionale calendario, il quale avrebbe suggerito una data ravvicinata all'inizio autunnale dei corsi.

In effetti, sin dalla deliberazione dei nostri organi di governo sul testo di nuovo statuto, avvenuta lo scorso settembre, era parso evidente come i tempi ministeriali di controllo dell'articolato e di eventuale deduzione di rilievi avrebbero ampiamente oltrepassato l'autunno.
Di qui, l'opportunità di attendere tale passaggio formale e quello della successiva espressione degli organi di governo medesimi, al fine di poter presentare pubblicamente il testo adottato in via definitiva.

Altri eventi fortuiti hanno concorso a conferire singolarità alla circostanza odierna.
Così, un imprevedibile gioco di agende ha determinato la concomitanza, nello stesso giorno, della cerimonia d'inaugurazione di questo Ateneo e di quello udinese, alla rispettiva presenza di due ministri della Repubblica: coincidenza a mio avviso salutare, per quella maggior risonanza mediatica che ne potrà derivare per i temi universitari, non solo in sede locale.

Ancora, imprevisti di altra natura, connessi agli straordinari eventi atmosferici delle scorse settimane, hanno indotto a spostare la sede consueta di celebrazione della cerimonia da piazzale Europa.

L'ospitalità che oggi ci è offerta dal Teatro Lirico "Giuseppe Verdi", assume peraltro un significato simbolico a sé stante: non solo perché Università e Teatro rappresentano pilastri fondanti della storia e del grande patrimonio culturale di questa città, ma perché, più in generale, essi assolvono funzioni sociali di durata del tutto simili, promuovendo in particolare, come istituzioni di alta cultura, quella maturazione critica delle coscienze che è, a sua volta, condizione di coesione e di matura vita democratica.

Un grazie davvero sentito, dunque, al Sindaco di Trieste, Roberto Cosolini e al Commissario, Claudio Orazi, per aver, con mirabile sensibilità, accolto immediatamente la nostra richiesta di ospitalità.

Chi abbia assistito all'apertura dell'anno accademico nell'ultimo quinquennio, sa bene che tale circostanza è stata intesa come momento di prassi democratica, organizzato sì all'interno della città universitaria, ma rivolto a una comunità più ampia, allargata ben oltre i confini di piazzale Europa: in sintesi, una manifestazione espressiva di quella responsabilità non solo istituzionale, bensì anche sociale, di cui l'Ateneo è portatore, come appena sottolineato.

Su questi presupposti e, dunque, in ottica di trasparenza, fornirò anzitutto una serie di dati utili a diffondere - mi auspico - adeguata consapevolezza sui punti di forza e sulle criticità che connotano l'Università di Trieste, alla vigilia delle impegnative trasformazioni organizzative che l'attendono.

Parlare di questo Ateneo significa, anzitutto, quantificarne il capitale umano e la dotazione strutturale.

I dati: personale docente, amministrativo e studenti:

In particolare, l'Università di Trieste annovera una comunità che tuttora impiega circa millecinquecento unità di ruolo e a tempo determinato, tra personale docente (714 unità), tecnico-amministrativo (739 unità) e linguistico (38 unità), con un volume di bilancio, tra amministrazione centrale e centri di spesa autonomi che supera i 180 milioni di euro annui.

Quanto alla popolazione studentesca complessiva, censita all'avvio dell'anno accademico in corso, essa sfiora, con la formazione post lauream, le 21.000 unità, un terzo delle quali di provenienza extraregionale.

Particolarmente lusinghiero è il riscontro registrato sul fronte delle immatricolazioni: già nel novembre scorso, come ampiamente riferito anche dagli organi di stampa, il numero degli immatricolati si attestava intorno alle 4500 unità, segnando così un aumento medio nell'ordine dell'8,5%, con punte del 27% per la Scuola di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, del 25% per la Facoltà di Lettere e Filosofia e del 24% per quella di Economia.

Risulta dunque ampiamente confermata la media che l'Ateneo ha conseguito nelle immatricolazioni dell'ultimo quadriennio: risultato questo che, se da un lato ci conforta delle solide relazioni intessute in questi anni con la rete scolastica regionale ed extra regionale, dimostra come la riduzione del numero dei corsi di studio, imposto dalle recenti politiche ministeriali, non abbia di per sé inciso sui flussi di immatricolazione.

Evidentemente, l'attrattività della nostra sede si è mantenuta forte sul territorio, in virtù di elementi qualitativi che gli studenti e le famiglie apprezzano, tanto nell'offerta formativa, quanto nei servizi assicurati ai nostri iscritti, quanto ancora nei livelli di spendibilità dei titoli di laurea, notoriamente ben al di sopra della media nazionale, dal punto di vista dei tempi d'ingresso nel mondo del lavoro.
A conferma di ciò, del resto, si segnala il giudizio positivo che i nostri studenti esprimono, in percentuale stabilmente superiore al 90%, a proposito delle attività didattiche.

Non deve passare inosservato, ancora, che il tratto peculiare della nostra popolazione studentesca resta l'alto tasso di internazionalità, reso evidente dall'elevata presenza di iscritti stranieri, oltre 1700, la gran parte dei quali extracomunitari: presenza che, da anni, rende l'Ateneo di Trieste, quello con la più elevata percentuale di studenti stranieri del Paese, dopo le due università per stranieri.

Si tratta di un potenziale denso di riflessi positivi, sotto il profilo delle opportunità di scambio culturale all'interno della nostra comunità studentesca, così come testimoniato dalla diffusa conoscenza delle lingue estere.

Una sensibilità, quella per l'approccio multilinguistico alla conoscenza, che è alla base del crescente favore dei nostri studenti per l'esperienza di studio fuori dall'Italia: a cominciare dal circuito Erasmus, nel quale l'Ateneo mette loro a disposizione quasi 500 accordi bilaterali con altrettante università dell'Unione Europea, fino alle opportunità di scambio apertesi, più di recente, con alcuni atenei extraeuropei (ultima l'Università di Hanoy), e a quelle che ci prefiggiamo di offrire con l'adesione al più ambizioso progetto Leonardo, dal quale auspichiamo potranno derivare borse per tirocini qualificanti all'estero, nella sfera degli studi in materia d'energia.

In tale quadro complessivo, nello scorso anno accademico, sono stati 442 gli studenti in mobilità verso l'estero, a fronte di 315 in ingresso.

La ricognizione sinora svolta richiede di essere ulteriormente corredata di elementi che, per semplicità di esposizione, verranno ripartiti secondo le classiche missioni istituzionali dell'università: alta formazione, ricerca scientifica, trasferimento tecnologico e di capitale intellettuale.

L'offerta didattica:


L'offerta didattica di primo e di secondo livello si articola, nel nostro Ateneo, in 71 corsi di studio, tra triennali, specialistici e magistrali, alcuni dei quali strutturati come internazionali: tanto vale per i corsi di laurea a titolo congiunto, quali quello in comunicazione interlinguistica (con l'Università di Regensburg), in genomica funzionale (con le Università di Parigi 5 e 7), in Matematica (con l'Università di Lubiana), in fisica, astrofisica e fisica spaziale, attivati congiuntamente con il Centro Internazionale di Fisica Teorica (ICTP), ai quali si è aggiunta, proprio da quest'anno accademico, la nuova laurea magistrale in Ingegneria (con l'Università di Lippe-Lemgo), dislocata nel nostro polo pordenonese.

Continuano, inoltre, con successo alcune importanti esperienze di internazionalizzazione della didattica curricolare, con particolare riferimento a quei corsi di studio, istituiti dalle Facoltà di Economia e di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, impartiti in lingua inglese e organizzati anche con l'apporto di docenza proveniente dall'estero.

Tra le novità più significative di quest'anno accademico, l'avvio di nuovi corsi di laurea magistrale interateneo con l'Università di Udine, con specifico riguardo alle aree disciplinari della filosofia, della storia e all'ambito della formazione degli insegnanti delle scuole secondarie: una sperimentazione che si aggiunge a quelle già in atto in area medico-sanitaria e nei settori dell'italianistica, delle scienze dell'antichità, della fisica e delle scienze ambientali.

Quanto ai percorsi post lauream, l'offerta contempla: 5 corsi di dottorato di ricerca e 9 scuole di dottorato, sui quali l'Ateneo investe complessivamente oltre 4 milioni e mezzo di euro, corrispondenti a circa 280 borse, il 10% delle quali a beneficio di giovani studiosi stranieri; 30 scuole di specializzazione; 14 master di primo e di secondo livello; 4 corsi di perfezionamento.

L'architettura della nostra offerta formativa, nella sua articolazione a più livelli, è frutto, come già accennato, di un'impegnativa opera di progressiva razionalizzazione; imposta, per un verso, da vincoli ministeriali vieppiù stringenti e, per un altro, dalla morsa rappresentata dai continui tagli finanziari e dal decremento degli organici, non controbilanciato, nostro malgrado, da un corrispondente reclutamento di nuove leve, a causa del blocco del turn over.

A dispetto di tutto ciò, l'Ateneo triestino ha reagito con senso di grande responsabilità, puntando a salvaguardare la propria offerta formativa in termini, prima di tutto, qualitativi.

Ciò si è fatto subordinando l'individuazione delle priorità a un'analisi rigorosa dei punti di forza e di debolezza dei nostri corsi di studio: si è inteso, in tal modo, porre le premesse di un sistema di percorsi formativi ragionevolmente stabile nel tempo e affidabile in chiave di risultati occupazionali, pur nella consapevolezza di un quadro congiunturale denso di incognite.

In un panorama così difficoltoso, va sottolineato l'impegno profuso dal corpo docente - professori di prima e di seconda fascia, nonché ricercatori - che, facendo fronte al decremento dell'organico con un maggior apporto individuale in termini di prestazione didattica, ha consentito di mantenere in vita una considerevole quota di insegnamenti.

La ricerca scientifica costituisce, senza dubbio, la funzione essenziale di un'Università come la nostra, storicamente al centro del cosiddetto Sistema Trieste della Scienza, entro il quale occupa il ruolo di vertice, per numero di addetti alla ricerca ed entità della produzione scientifica.

Converrà ricordare che al nostro prodotto scientifico concorrono, oltre all'organico strutturato, un migliaio di unità, tra ricercatori a tempo determinato, dottorandi e assegnisti di ricerca, specializzandi, nonché svariate centinaia, tra borsisti e collaboratori occasionali.

Un capitale intellettuale - vicino complessivamente alle duemila unità - al quale corrisponde, calcolando il solo personale di ruolo, un investimento in attività di ricerca di oltre 50 milioni di euro all'anno a carico del bilancio dell'Ateneo.

La produzione scientifica e le relazioni internazionali:

La produzione scientifica di questa Università, così come censita dall'Anagrafe nazionale della ricerca, si è tradotta, nel 2011, in oltre 800 pubblicazioni, più di metà delle quali di rilevanza internazionale.

Sotto quest'ultimo profilo, è degno di nota il risultato dell'indagine commissionata, lo scorso anno, da uno dei leader mondiali dell'editoria scientifica (il gruppo Elsevier) che, avvalendosi di una banca-dati inclusiva dell'intera produzione scientifica mondiale, ha riconosciuto alla nostra Università il primato italiano per percentuale di studi pubblicati in partnership con ricercatori stranieri.

In termini percentuali, quasi il 48% dei lavori pubblicati dai nostri ricercatori è condiviso con studiosi di altra nazionalità.

Non sorprende, alla luce di tali risultati, che l'Ateneo triestino vanti tuttora elevate posizioni sul duplice piano della capacità attrattiva di finanziamenti esterni e delle posizioni raggiunte nei principali ranking internazionali.

In particolare, la nostra Università si colloca, secondo i dati dell'ultimo Rapporto Censis, tra le prime dieci, a livello nazionale, per capacità attrattiva di finanziamenti esteri, con oltre 10 milioni di euro raccolti nel triennio 2008-2010.

Come risulta in tale rapporto, decisiva per il conseguimento di tale traguardo è stata la capacità di proporsi sulla scena internazionale, oltremodo significativa per un ateneo di media dimensione come Trieste.

La consapevolezza del ruolo strategico che le relazioni internazionali giocano - oltre che, come si è visto, sui versanti della formazione e della mobilità studentesca, anche ai fini dell'attrattività di risorse finanziarie a sostegno della ricerca - ha spinto l'Ateneo a intraprendere, lo scorso anno, un'intensa azione diplomatica in seno alla rete degli atenei dell'Alpe Adria, in coincidenza con la presidenza di turno della Conferenza dei Rettori dell'Alpe Adria: network cui aderiscono una quarantina di università, tra Italia, Austria, Croazia, Slovenia, Ungheria, Bosnia-Erzegovina, Germania e Albania.

In particolare, l'anno di presidenza dell'Ateneo triestino si è distinto per il sensibile incremento delle attività della Conferenza, con l'ingresso di nuovi aderenti, con l'avvio di un'ampia azione di censimento, in ottica di prossimo coordinamento, delle attività di dottorato delle università aderenti e, ancora, con il consolidamento delle tradizionali iniziative di collaborazione didattica, scientifica e di mobilità di ricercatori.

Tuttavia, il risultato più significativo è stato conseguito grazie alla risoluta azione intrapresa nei confronti dell'omologa Conferenza dei Rettori delle Università del Danubio (DRC), in seno alla cosiddetta "Iniziativa Strategica Danubiana dell'Unione Europea", e in particolare nel settore della "Società della conoscenza".

Va ricordato che l'Iniziativa Danubiana è, per importanza, la seconda iniziativa macroregionale dell'Unione Europea, dopo quella del Baltico: coinvolge una popolazione di circa 100 milioni di cittadini dell'Europa Centrale e Centro-Orientale, dalla Germania all'Ucraina.

Peraltro, nella sua nozione formale, l'area d'intervento dell'Iniziativa Danubiana vede escluse le regioni dell'Italia Nord-Orientale, ivi compreso il Friuli Venezia Giulia, a dispetto delle storiche relazioni culturali e commerciali e di intuibili considerazioni geopolitiche.

Ebbene, la fertile collaborazione istituzionale sollecitata, sotto la guida del nostro Ateneo e, in particolar modo, con la sagace azione del Prorettore vicario, Sergio Paoletti, dalla Conferenza dell'Alpe Adria nei confronti del network universitario danubiano, ha fatto sì che la Conferenza dei Rettori di Alpe-Adria fosse ammessa tra i potenziali destinatari dell' "Iniziativa Strategica Danubiana", appena citata.

Con ciò, anche le università del network di Alpe Adria, ivi comprese quelle della nostra Regione, si candidano a partecipare ai relativi progetti di collaborazione nel campo universitario e della ricerca. In termini di risorse, ciò potrà comportare l'accesso del nostro Ateneo, come di tutti quelli appartenenti alla Regione, a un bacino di finanziamento europeo - come quello danubiano - quantificabile in circa 100 miliardi di euro.

Cambiando oggetto, ma sempre in tema di risorse alla ricerca, vale la pena di ricordare ancora come nel finanziamento alla ricerca di rilevante interesse nazionale (progetti cosiddetti PRIN), l'Università di Trieste abbia conseguito, nell'ambito dell'ultima assegnazione nazionale, il finanziamento di 32 progetti, dei quali 11 aventi come coordinatore nazionale un nostro docente: con ciò guadagnandosi, ancora una volta, il secondo posto, dopo Padova, tra gli Atenei del Triveneto, per l'entità delle risorse raccolte.

Riconoscimenti di qualità ci vengono pure da agenzie e organismi di valutazione, nazionali e internazionali.

L'ateneo di Trieste nelle classifiche nazionali e internazionali:

Quanto ai principali ranking nazionali, il nostro Ateneo è risultato lo scorso anno, primo nella graduatoria stilata dalla rivista specializzata Campus, sulla base della sintesi delle principali classifiche universitarie e con una menzione speciale per la qualità del proprio sito web; quinto, in seno alla classifica 2011-2012 del Censis, con la prima posizione conseguita dalle Facoltà di Farmacia e di Scienze Politiche.

Particolarmente apprezzati dal Censis gli indicatori dell'internazionalizzazione, dove l'Ateneo figura secondo, e dei servizi erogati, nei quali si colloca in terza posizione.

In campo internazionale, l'Università di Trieste figura nel ristretto gruppo di testa, composto da non più di una quindicina di atenei italiani, presenti nelle principali classifiche internazionali.

Limitandosi ai posizionamenti più lusinghieri, si ricorderà che quello di Trieste è il terzo ateneo italiano, tra i soli tredici del nostro Paese ammessi nella classifica delle migliori 500 università al mondo, stilata dal Times Higher Education, sulla base di indicatori raggruppati per qualità della docenza, volume e qualità della ricerca, citazioni conseguite dai prodotti di ricerca, innovazione, internazionalizzazione. In termini assoluti, vale la pena di notare che il Times colloca la nostra università al 237° posto, tra gli oltre 20.000 istituti valutati su scala mondiale.

Sempre nell'ambito della classifiche internazionali più accreditate, l'Ateneo figura, nel 2011, tra le prime 10 università italiane valutate dallo Higher Education Evaluation & Accreditation Council di Taiwan (HEEACT), per indici di produttività, impatto ed eccellenza della ricerca, conseguendo il 270° posto, in una graduatoria di 500 università.

Ancora, non va trascurata la classifica del prestigioso Paris Institute of Technology (Paris Tech), che lo scorso anno ha iscritto la nostra Università tra le sole 7 italiane, distintesi per la percentuale di laureati giunti a ruoli direttivi, all'interno delle 500 maggiori aziende mondiali.

E in questo quadro di "eccellenza" non vanno dimenticati alcuni riconoscimenti individuali, com'è il caso del prof. Thomas Parisini, ordinario di Automatica presso la Facoltà di Ingegneria, insignito di recente del titolo di "IEEE Fellow", il più alto riconoscimento scientifico a livello mondiale nel settore dell'ingegneria industriale e dell'informazione.

In definitiva, il costante collocarsi del nostro Ateneo nel ristretto novero delle università italiane apprezzate, pur nella varietà delle metodiche di valutazione impiegate, da diversi e qualificati osservatori internazionali, conforta sulla tendenziale obiettività di tali analisi comparative e autorizza a concludere che sia la formazione, sia la produzione scientifica triestina mantengono tuttora elevate soglie di affermazione nel mercato globale della conoscenza.

Produzione scientifica, brevetti e spin off:

È noto come la produzione scientifica dell'Ateneo si traduca anche nel trasferimento di conoscenza verso il tessuto produttivo, in chiave di contributo determinante ai processi d'innovazione e sviluppo.
In particolare, l'Ateneo giuliano vanta una consolidata prassi di trasferimento tecnologico.

Venendo a qualche dato, grazie a due nuovi depositi del 2011, uno dei quali internazionale, in contitolarità con l'Università del Colorado, l'attività brevettuale dell'Università annovera, complessivamente, ben 41 famiglie di brevetti, che hanno originato, a loro volta, 98 depositi nazionali, contro i 69 del 2009: uno standard di produttività che - per numero di brevetti, rapportato ai ricercatori delle distinte aree scientifiche - continua a collocare l'Ateneo a un livello di gran lunga superiore alla media nazionale, ponendolo tra le migliori università italiane.

Sempre in tema di trasferimento tecnologico, non va trascurato che il nostro Ateneo contribuisce allo sviluppo economico del territorio, con l'incubazione di proprie imprese, nate da ricerche universitarie.
È questo il caso degli spin off, presenti nel numero complessivo di 14, uno in più dello scorso anno.

Si tratta di realtà ad alto tasso innovativo, come certificato anche a livello nazionale, da molteplici riconoscimenti: emblematico, al proposito, il fatto che, nel 2011, lo spin off Genefinity, costituito nel 2006, su iniziativa di un gruppo di ricercatori guidato dal prof. Valter Sergo, e già vincitore assoluto del "Premio Start up dell'anno" - 2010, sia stato insignito di un ulteriore, prestigioso riconoscimento, ricevendo dalle mani del Presidente della Repubblica il "Premio dei Premi", per la categoria "Innovazione nel settore dell'Università e della Ricerca Pubblica".

Analogamente, sempre nel 2011, un altro spin off del nostro Ateneo, Sprin s.p.a., ha conseguito una menzione d'onore nell'ambito dell'edizione 2011 del premio "Start up dell'anno".

Da ultimo, ma solo in ordine di tempo, la nostra Università ha ottenuto nel novembre scorso, con la Sissa, il primo premio nell'edizione 2011 del Premio Nazionale per l'Innovazione, nella categoria delle bio-nanotecnologie, grazie al progetto "Parkscreen", relativo a test diagnostici della malattia di Parkinson.

L'organizzazione amministrativa:

I dati passati in rassegna danno conto, solo in parte, della considerevole produttività dell'Ateneo e dei traguardi organizzativi raggiunti, in un anno di impegno collettivo: traguardi cui ha concorso - desidero sottolinearlo - un sistema di relazioni, istituzionali e sindacali, improntate al costante rispetto dei ruoli e delle responsabilità, grazie anche al decisivo apporto del prorettore, dei miei collaboratori e delegati e, per i profili di ordine amministrativo-gestionale, della direzione amministrativa.

A quest'ultimo proposito, fondamentale è stato il contributo del dott. Antonino Di Guardo che, per oltre un quinquennio mi ha affiancato, nel ruolo di direttore amministrativo e al quale è succeduto, dal 1° gennaio, il dott. Gianni Penzo Doria, a cui va l'augurio di buon lavoro.

In linea generale, la qualità del clima sociale all'interno del nostro Ateneo - frutto di una prassi istituzionale ispirata costantemente al dialogo, all'etica democratica del pluralismo e dell'inclusione - sta alla base della complessa vicenda di adozione del nuovo statuto di Ateneo e ne costituisce altresì il paradigma essenziale a comprenderne l'itinerario e gli esiti.

Il nuovo statuto:

È bene ricordare che quando, circa un anno fa, ebbero inizio i lavori di elaborazione del nuovo statuto, il mondo universitario italiano - non esclusa la comunità accademica triestina - usciva da un confronto aspro e lacerante sulla riforma parlamentare, poi culminata nel varo della legge n. 240 del 2010.

Preso atto che la riforma Gelmini era legge, si trattava di darvi attuazione non perdendo di vista gli spazi di autonomia, costituzionalmente riconosciuti all'università: per il che, occorreva assicurarsi che la redazione del nuovo articolato fosse frutto, a un tempo, di elevato profilo tecnico-giuridico e di pari coerenza con il patrimonio di valori della nostra comunità.
Competenza e indipendenza parvero le architravi su cui poggiare l'opera collettiva di elaborazione statutaria.

E se, sotto il primo profilo, l'Ateneo era consapevole di poter confidare nelle forze della propria prestigiosa scuola giuridica, dall'altro lato, la sfida era quella di assicurare che le distinte articolazioni collegiali, chiamate di volta in volta a pronunciarsi sul testo (Commissione redigente, Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione), mantenessero un assiduo dialogo con la comunità universitaria, legittimamente interessata a partecipare al processo di riforma.

È noto come l'obiettivo fu perseguito sin dalla genesi della Commissione redigente, incaricata dalla legge di predisporre il progetto preliminare di statuto: in particolare, detto organo fu designato dal Senato Accademico, all'esito di un procedimento elettorale che il nostro Ateneo, unico in Italia, volle prevedere e che vide il concorso, singolare per affluenza alle urne, delle distinte componenti accademiche.

L'esperienza dei mesi successivi ha dato conferma dell'efficacia di quell'intuizione politica, soprattutto per l'autonomia dimostrata dalla Commissione nell'affrontare la complessa materia e per l'intensa, e sempre corretta, interlocuzione di cui essa fu capace nei confronti tanto degli organi di governo, quanto della comunità, tenuta informata dei lavori mediante i canali della comunicazione istituzionale, via web e con periodici appuntamenti assembleari.

Non diversamente, va dato atto al Senato Accademico e al Consiglio di Amministrazione di essersi fatti interpreti dello spirito democratico dell'intero iter, contribuendo con equilibrio e coesione, al varo di un testo che, forte del voto unanime di tutte le sedi collegiali, può ben dirsi patrimonio dell'intera polis universitaria triestina.

In questa sede non si può dar conto, neppure per sommi capi, dei contenuti del nuovo articolato.

In estrema sintesi, due sono i tratti salienti della rinnovata architettura istituzionale, meritevoli di speciale attenzione.
Sotto un primo profilo, si è agito nella direzione di una forte semplificazione della geografia istituzionale, quale condizione per imprimere maggiore speditezza ed efficacia all'azione di governo dell'Ateneo.


Tanto emerge dalla riduzione del numero, rispettivamente, delle strutture, degli organi deliberativi e dei relativi componenti: così, ad esempio, il panorama delle strutture di base - i nuovi dipartimenti, ora investiti della duplice funzione scientifica e didattica - annovera undici unità, chiamate ad assolvere i compiti prima affidati a una trentina di strutture, tra facoltà e dipartimenti.

Analogamente, gli organi di governo - Consiglio di Amministrazione e Senato Accademico - sostituiscono, con la loro trentina di componenti, un ordito di momenti collegiali che, calcolando anche il Consiglio delle Strutture Scientifiche, destinato a scomparire col nuovo statuto, contempla oggi oltre il doppio di membri.

Cadrebbe in errore, tuttavia, chi riducesse l'opera riformatrice a una mera razionalizzazione del sistema preesistente, attuata con quel taglio di posizioni di rappresentanza e di responsabilità che la stessa legge Gelmini impone.

Al contrario, il nuovo statuto scommette su un rinnovato disegno democratico, imperniato sì su una profonda revisione degli assetti istituzionali, ma nella visione di un più ampio contributo della comunità al governo dell'Ateneo.

Sotto questo secondo e ulteriore profilo qualificante, il nostro statuto si muove all'insegna di un triplice paradigma, retto sulle nozioni di competenza, di responsabilità e d'indipendenza.

Si tratta di requisiti intimamente interconnessi nel nuovo modello di governance: così, l'obiettivo di favorire l'accesso alle cariche istituzionali da parte di persone, quanto più possibile capaci, è realizzato, anzitutto, mediante rigorosi processi selettivi e altrettanto severi vincoli di incompatibilità per conflitto d'interessi; qualora poi si versi in casi di accesso elettivo alle cariche, la stessa finalità è ulteriormente perseguita con il massimo allargamento dell'elettorato passivo, così da stimolare, almeno negli auspici, un'ampia competizione per l'assolvimento di incarichi istituzionali all'interno della comunità universitaria.

Ove ciò avvenisse, è probabile che ne trarrebbe beneficio anzitutto il governo dell'Ateneo, supportato da rappresentanti investiti dei distinti ruoli istituzionali, in un'ottica di attenzione prioritaria all'interesse generale. Su queste basi, emerge quanto competenza e responsabilità interagiscano reciprocamente, con il fondamentale requisito dell'indipendenza, presidiato, come si diceva, tanto da un sistema d'incompatibilità a ricoprire le cariche istituzionali, reso persino più stringente di quello prescritto dalla legge Gelmini, quanto da una strutturazione degli organi collegiali elettivi, modellata su un'idea di rappresentanza svincolata da gruppi o categorie e invece sensibile alla dimensione collettiva degli interessi.

Ecco allora che situazioni di conflitto di interessi, nonché condizioni personali sprovviste dei requisiti della pubblica onorabilità, si traducono, per la prima volta nel nostro sistema statutario, in altrettante preclusioni soggettive a ricoprire il ruolo di amministratore dell'Ateneo: e ciò a sottolineatura di quella sensibilità per i valori dell'etica pubblica che l'Ateneo ha inteso affermare con forza nel nuovo statuto, in armonia, del resto, con il nuovo codice etico, adottato nel luglio scorso.

Quanto invece alle forme della rappresentanza, costituisce una scelta di indubbia discontinuità, rispetto a certi radicati costumi accademici, l'aver abbandonato le tradizionali forme di rappresentanza di categoria, distinte per fascia di docenza o per struttura di appartenenza, a favore di un elettorato trasversale alle diverse fasce della docenza e alle singole strutture dipartimentali.

E ciò - come si ricordava - nell'intento di muovere verso una militanza istituzionale ispirata all'interesse generale, prima che a quello particolare, altrimenti riconducibile a gruppi o a categorie di riferimento dei singoli candidati.

Credo non sfuggirà il profondo sostrato valoriale affidato alle novità da ultimo passate in rassegna: novità nelle quali si può ben dire che si rifletta una cultura democratica peculiare della nostra comunità accademica, giunta idealmente a plasmare l'impianto complessivo del nuovo statuto.

Spiace, su queste premesse, che il Ministero dell'Università, nell'esercizio del sindacato attribuitogli dalla legge, abbia mosso al nostro Ateneo - nell'ambito di un documento contenente, in prevalenza, osservazioni di circoscritta portata tecnica - pure rilievi critici in ordine ai predetti profili.

Vero è che, per lo meno sulla nostra scelta di prevedere come parzialmente eleggibile il consiglio di amministrazione, il rilievo ministeriale era prevedibile, stante l'ambiguo dettato della legge Gelmini: non a caso, analoga sorte era già toccata agli statuti di altri atenei, in precedenza passati a scrutinio governativo.

Tuttavia, a leggere le osservazioni ministeriali sul punto, esse sono parse agli organi di governo chiamati a esprimersi, fondate su argomenti non incontrovertibili, tanto più alla luce dell'impianto sistematico che caratterizza il testo da noi elaborato: pertanto, dopo attento esame, il Senato Accademico e il Consiglio di Amministrazione hanno ritenuto di respingerle.

In definitiva, gli organi di governo hanno recepito una ventina i rilievi ministeriali, respingendone circa altrettanti.
Nei prossimi giorni, procederò quindi alla promulgazione del testo di statuto, frutto di quest'ultima lettura, affinché esso possa essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale e quindi entrare in vigore.

I limiti di tempo non consentono di dare ulteriore conto, in questa sede, della varietà e della complessità delle azioni perseguite, anche nell'anno trascorso, nella direzione che potrebbe, in estrema sintesi, codificarsi in tre linee di indirizzo: relazioni, riorganizzazione, responsabilità sociale.

Quanto alle relazioni, si è già dato conto dei traguardi raggiunti dal punto di vista della produzione scientifica e della qualità, soprattutto in termini di progressiva internazionalizzazione, della formazione impartita dall'Ateneo.

L'ammodernamento della gestione organizzativa ed economico-patrimoniale e le criticità dovute ai tagli :

Della gestione, sia consentito ricordare per lo meno alcune azioni che costituiscono altrettanti motivi d'orgoglio: tanto vale per l'adozione, dall'esercizio 2012, del nuovo sistema di contabilità economico-patrimoniale: obiettivo anticipato rispetto al termine ministeriale del 2014, anche nella prospettiva di incentivi finanziari ad hoc; o, ancora, per la progressiva dematerializzazione e digitalizzazione dei flussi amministrativi, a cominciare da quelli relativi agli studenti (iscrizioni, esami, ecc.); nonché per l'introduzione di modelli avanzati di trasparenza e di comunicazione sociale, via web.

Tappe di un ammodernamento nelle quali l'Ateneo triestino ha anticipato spesso obiettivi fatti oggetto di successive linee di indirizzo ministeriali o legislative: e tutto ciò realizzato - è bene non sfugga - con il prioritario apporto delle nostre risorse interne e nel costante equilibrio di bilancio.

Le criticità per il futuro:

Tali risultati, tuttavia, non possono essere apprezzati nella loro integrità, se si perde di vista il contesto di straordinaria difficoltà in cui ci si è trovati a operare, anche per effetto del calo delle risorse - monetarie e umane - registrato nell'anno appena trascorso, analogamente ai precedenti.

Converrà allora ricordare che il 2011 ha portato con sé un ulteriore taglio di risorse statali, nella misura di circa il 5%: decurtazione che, sommata a quella del precedente esercizio, ha comportato, nel solo ultimo biennio, minori entrate dallo Stato per circa 10 milioni di euro.

Tagli - si deve sottolineare - che avrebbero potuto essere ancora maggiori se l'Ateneo non avesse ottenuto, come contropartita, una significativa quota di FFO premiale, in ragione degli ottimi risultati conseguiti sul fronte della formazione e della ricerca scientifica.


Non meno impressionante risulta la flessione degli organici, soprattutto in quota docente.

Tale decremento, quantificabile nel solo 2011 in una quarantina di unità, appare ancora più marcato nello scorcio dell'ultimo decennio.


Dal picco massimo di 1003 unità di ruolo, raggiunto una decina di anni or sono, il nostro personale docente rassegna, a oggi, perdite nell'ordine di quasi il 30%, attestandosi, come già riferito all'inizio di questa relazione, appena sopra la cifra di 700. Un calo di quasi trecento unità che, in percentuale, non ha eguali nel resto del sistema universitario nazionale.


Ora, viene da chiedersi come, sotto simili colpi, questa Università abbia potuto mantenere - e talora, persino accrescere - la propria produttività.

La risposta potrebbe solo parzialmente rinvenirsi nel maggiore impegno di coloro che lavorano stabilmente in questo Ateneo, o nell'ammodernamento organizzativo, quale fattore, tra l'altro, di contenimento della spesa improduttiva o, ancora, nella buona capacità di intercettare fonti di finanziamento diverse da quelle statali.

Invero, se l'Università di Trieste continua a figurare, come si è visto, tra i pochi atenei italiani presenti nella maggior parte dei ranking internazionali, ciò si deve anche al lavoro, apprezzato da qualificati osservatori, ma invisibile alle tabelle ministeriali degli organici universitari, di centinaia di giovani e di meno giovani, accomunati dalla condizione di emarginati e di espropriati di ogni prospettiva di reclutamento, eppur tuttavia fautori determinanti di tali risultati.

Merita dare un'idea precisa della paradossale vicenda che ha interessato la nostra università dal punto di vista del proprio turn over.

Riuscita a rientrare, unico caso in Italia, sotto la soglia di sbarramento del 90% nel rapporto tra stipendi e finanziamento statale - e ciò anche grazie a una coraggiosa azione d'incentivo ai pensionamenti, intrapresa a partire dal 2008 - la nostra Università si è trovata nella condizione di riavviare il proprio reclutamento nel 2010, bandendo una trentina di posti di ricercatore a tempo indeterminato.

I tempi tecnici delle procedure, in parte dipesi dal Ministero, hanno fatto sì che le selezioni si concludessero nell'anno successivo: anno nel quale, tuttavia, l'Ateneo si è trovato nuovamente sopra il 90% - e quindi nell'impossibilità di assumere i vincitori di quei concorsi - non per proprio deficit di programmazione o, peggio, per eccesso di spesa, bensì per una perversa concomitanza tra tagli del finanziamento statale e revisione dei parametri premiali sino a quel momento praticati dal Ministero stesso.

Fatale al superamento della soglia è stato, in concreto, il fatto che, a partire dal 2010, il Ministero non abbia più tenuto in considerazione - corrispondendo apposite quote monetarie di premialità - fattori come la percentuale di occupati nel triennio dalla laurea e il giudizio sulla didattica espresso dagli studenti: indicatori, questi, nei quali il nostro Ateneo eccelle, vantando risultati molto al di sopra della media nazionale e che, non a caso, nell'esercizio precedente, ci erano valsi un significativo riconoscimento finanziario.

Come spiegare a trenta vincitori di concorso di ricercatore, così come ad altrettanti colleghi vincitori di giudizi di idoneità, per il ruolo di professore di prima e di seconda fascia, che la loro assunzione era divenuta impossibile, perché il Ministero aveva smesso di valutare degni di considerazione simili indicatori?

E, allargando l'orizzonte, come spiegare il paradosso di un sistema universitario regionale che, a dispetto dei risultati raggiunti (oltre ai nostri, molti dei presenti avranno ascoltato stamane quelli, non meno significativi, conseguiti dall'Ateneo udinese, sotto la guida di Cristiana Compagno), rappresenta l'unico caso italiano di sistema regionale universitario interamente bloccato nel suo sviluppo?

La risposta a un simile interrogativo va probabilmente ricercata nell'irragionevolezza dei meccanismi di allocazione delle risorse statali praticati negli ultimi anni.

Gli esiti paradossali di tali meccanismi si pongono palesemente in contrasto con quei principi di merito, ripetutamente invocati dal Ministero a fondamento di premi e sanzioni.

Difficile, francamente, assolvere dall'accusa d'ipocrisia un sistema, a parole meritocratico, per il quale amministrazioni universitarie dichiaratamente indebitate sono notoriamente nella condizione di assumere personale e altre, con bilanci in pareggio, com'è il nostro caso, inibite a farlo.

Chi ascolta si starà chiedendo se vi siano prospettive di uscita da una simile spirale perversa e, in subordine, quali strategie si possano porre in essere a tal fine.
Va distinto, al riguardo, il piano dell'orizzonte congiunturale, da quello di più lunga gittata temporale.

Sotto il primo profilo, è noto come sia in itinere, insieme al ridisegno della disciplina dei concorsi universitari, la ridefinizione del limite massimo all'investimento in personale rispetto alle entrate. Senza entrare nel dettaglio dello schema di decreto legislativo trasmesso dal Governo alle commissioni parlamentari competenti, le scorse settimane, basterà notare come, secondo tale nuovo modello, a uno sbarramento collocato alla soglia percentuale dell'80%, anziché dell'attuale 90%, corrisponda una riformulazione degli indicatori che concorrono a calcolare tale percentuale, in senso più elastico per ciò che concerne le voci di entrata e quelle di uscita.

Autonomo - e sinora inedito - valore viene dato inoltre all'eventuale indebitamento degli atenei, con sanzioni vieppiù crescenti, sino al totale divieto di assunzioni, nei confronti di quelle amministrazioni che oltrepassino soglie predeterminate di passività.

Ora, alle prime simulazioni effettuate, è attendibile che, se tale dovesse essere il modello adottato per il futuro, esso risulterebbe per il nostro Ateneo meno penalizzante dell'attuale, consentendo una, per lo meno parziale, ripresa del reclutamento e, con ciò, restituendo una qualche speranza a coloro che, da varie posizioni, attendono da tempo di entrare nei ruoli dell'Università o di veder riconosciuta una legittima progressione di carriera: e questa è senz'altro una buona notizia.

Tuttavia, il vero limite di tale modello emerge in prospettiva dinamica: in particolare, non solo il turn over risulterà, per la nuova disciplina, subordinato alla circostanza che si siano verificate cessazioni nell'anno precedente - evenienza questa condizionata dalla casualità dell'anagrafe - ma, pure nella migliore delle ipotesi, esso potrà avvenire non oltre il limite del 50% delle risorse stipendiali liberate. Un modello - com'è evidente - intrinsecamente recessivo, destinato a produrre il progressivo, inesorabile ridimensionamento, fino teoricamente all'estinzione, degli organici universitari, si tratti o meno di ateneo virtuoso.


Non è facile intendere come un congegno del genere possa armonizzarsi con le linee d'indirizzo ministeriali che si preannunciano sul versante della valutazione degli atenei: mi riferisco al nuovo sistema di valutazione e di accreditamento, iniziale e periodico, dei corsi di studio, delle strutture scientifiche e delle sedi universitarie, destinato a condizionare in misura crescente nei prossimi anni le scelte degli atenei in materia di offerta formativa e di politiche della ricerca.

Lo scenario che si prospetta, a quanto pare, va nella direzione di un'enfasi delle prestazioni richieste agli atenei, malgrado un trend di risorse calanti: sfida sulle cui probabilità di successo è arduo essere ottimisti.

Per parte nostra, abbiamo più volte denunciato i guasti, talora irreversibili, del definanziamento universitario: e pur consapevoli delle strettoie derivanti dall'esigenza, non meno cogente, di uscire dalle secche dell'imponente debito pubblico che grava sul Paese, condizionandone le prospettive di rilancio, restiamo convinti, sulla scorta dell'esperienza delle società più avanzate, che la via maestra per l'uscita dai cicli economici recessivi passi anche, se non soprattutto, dall'incremento degli investimenti in formazione e in ricerca scientifica.

Detto questo, siamo convinti che l'orizzonte dei prossimi anni impegni a un'analisi ulteriore rispetto al piano delle risorse, per sollecitare una riflessione allargata, per lo meno, all'assetto futuro del nostro sistema universitario regionale: a questo proposito, la domanda, non certo nuova, ma sempre più incalzante, alla luce delle trasformazioni profonde che si annunciano, è la seguente: "con quali chance di successo potrà affrontare tali trasformazioni un sistema universitario come il nostro che, in questa regione, vede distribuiti, tra due atenei generalisti, organici e popolazioni studentesche, complessivamente inferiori alla metà di quelli di atenei come Bologna o Padova, e che, come tale, rischia di essere più vulnerabile di altri nell'impatto con le politiche di valutazione e di accreditamento, prima ricordate?".

La domanda suona, evidentemente, retorica e si scioglie in una serie di quesiti correlati: "Quale offerta formativa potremo assicurare nei prossimi anni in questa regione? Quale formazione di terzo livello - dottorati di ricerca e scuole di specializzazione - renderà attrattivo il nostro sistema universitario regionale su scala internazionale? Quali performance, in termini di finanziamento alla ricerca e di trasferimento tecnologico, riusciremo ad assicurare?

Ebbene, a nostro avviso, gli elementi di contesto e gli standard di qualità preconizzati dai diversi interventi di riforma in cantiere, richiamano all'urgenza di una strategia sempre più integrata, di un patto federativo tra le università, che veda convergere sull'obiettivo i principali attori istituzionali, economici e sociali del territorio.

I fronti di una possibile azione, sotto questo punto di vista, sono quanto mai variegati e non si esauriscono necessariamente in operazioni di portata onnicomprensiva, peraltro irte di ostacoli, anzitutto giuridici.

Se, per fare solo degli esempi, in questa regione non si è ancora addivenuti a una nozione uniforme di studente universitario; se, dopo anni di convegni e di tavole rotonde sul rapporto tra università e impresa, non ci si è ancora dotati almeno di un'infrastruttura comune, preposta allo scouting, alla promozione e alla tutela brevettuale dei prodotti della ricerca universitaria applicata, si converrà che il cammino da intraprendere sulla via dell'integrazione reciproca, al di là degli indubbi progressi degli ultimi anni, richiede un cambio di passo, non più affidabile al solo entente cordiale dei rettori in carica o di singoli gruppi disciplinari.

Il punto, in definitiva, non è tanto quello di individuare le possibili realizzazioni concrete di tale processo, quanto, prima ancora, di convenire politicamente sull'obiettivo, da parte dei diversi attori istituzionali responsabili.

"Sapere quel che vogliamo": con questo monito, si chiudeva uno dei manifesti politici fondanti ben altro processo d'integrazione: quello che, in uno scenario non meno denso d'incognite e di paure collettive, gettava le basi di quell'edificio politico europeo al quale oggi, pur tra mille zoppie, ci sentiamo di appartenere: autore Ernesto Rossi, anno di edizione, il 1944.

"Sapere quel che vogliamo".
È questo il presupposto per quel cambio di passo a cui mi riferivo: l'unico, probabilmente, in grado di neutralizzare le resistenze dei tanti che si illudono di rinviare i processi di cambiamento, semplicemente ignorando i nessi causali della storia, o dei non meno numerosi che tuttora limitano il proprio orizzonte all'ombra del campanile e delle piccole patrie territoriali.

Non si tratta, ne siamo ben consapevoli, di un obiettivo di facile portata, ma, con altrettanta convinzione, non vediamo alternativa, se vogliamo darci un futuro.


Trieste, il 27 febbraio 2012
Francesco Peroni


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