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Cronaca

Perché la reintroduzione della leva è (quasi) impossibile

Secondo la legge italiana il ripristino può avvenire in caso di carenza di soldati, se deliberato lo stato di guerra e in caso di gravissime crisi internazionali in cui l'Italia sia coinvolta direttamente

Le ultime affermazioni del ministro dell'Interno Matteo Salvini sulla suggestione di reintrodurre la leva obbligatoria fanno discutere. Il vicepremier è convinto che la naja potrebbe dare "un po' di educazione che mamma e papà non sono in grado di insegnarti". Da Elisabetta Trenta, ministro della Difesa (il ministero un tempo più coinvolto dal servizio militare) arriva invece una bocciatura per il fatto che l'idea non sarebbe "più al passo con i tempi"

La leva (un po' di storia) 

Il servizio militare obbligatorio venne istituito nel 1861 e durò 144 anni, fino al 2005. Aveva una durata di 10 o 12 mesi, oppure di 24 nel caso della Marina Militare. A servire lo Stato furono milioni di cittadini, che una volta compiuti i 18 anni, ricevevano la famosa cartolina ed erano costretti a partire. Per moltissime persone il servizio militare obbligatorio fu la palestra per gli anni a venire, il primo momento di condivisione con altri ragazzi, l'educazione di determinati ambienti. In molti la consideravano una perdita di tempo, o un lavaggio del cervello. La maggior parte di essi, alla fine, ricorda la leva come un periodo di tempo spensierato - leggerezza data soprattutto dalla giovane età e dal non ritorno di quegli anni.

La sospensione 

Sotto il governo D'Alema fu emanata una legge che conferiva al governo italiano la delega a emanare disposizioni concernenti la graduale sostituzione, entro 7 anni, dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa. Nel dicembre del 2004 partirono gli ultimi coscritti e dal gennaio dell'anno successivo l'esercito italiano iniziò ad essere "popolato" di volontari - con grosse criticità nella gestione a causa della sopravvivenza di pratiche legate all'epopea della naja, nonnismo compreso. 

La norma

La legge non aboliva radicalmente l'obbligo della coscrizione, ma ne statuì la possibilità del ripristino - per una o più classi - in caso di carenza di soldati, e in due casi particolari: qualora venisse deliberato lo stato di guerra, ai sensi dell'art. 78 della Costituzione e in caso di gravissime crisi internazionali in cui l'Italia sia coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza a una organizzazione internazionale.

A Trieste e in regione

Un tempo sul confine orientale arrivavano moltissime reclute. La caserma Vittorio Emanuele III in via Rossetti con il defunto I Reggimento San Giusto, il Comando Militare, il Reggimento Piemonte Cavalleria, la caserma Monte Cimone di Banne e molti altri luoghi, erano il punto di arrivo di moltissime persone. Alcune città del Friuli Venezia Giulia potevano contare su un'economia prodotta proprio dalla presenza dei militari. Gorizia, l'Ottavo Reggimento Alpini di Cividale, le zone alpine come Tarvisio, Pontebba, alcuni frazioni delle valli del Natisone, per non parlare poi di agglomerati della Difesa come Casarsa, Pordenone, la stessa Udine o Palmanova. 

I costi

Mantenere un esercito permanente di quasi due milioni di persone costava troppo alle casse dello Stato e, certamente dopo la transizione di lungo periodo per uscire dalla crisi post Tangentopoli e l'inizio di una parificazione alle norme in campo europeo guardando a modelli d'oltralpe, il ministero della Difesa fu protagonista di un cambiamento epocale. Dotarsi di un esercito volontario può assumere dei risvolti sociali certamente diversi rispetto alla coercizione di migliaia, se non milioni, di giovani. Oggi come oggi, riprendere la via del servizio militare obbligatorio, farebbe accendere più di qualche campanello d'allarme (soprattutto al Tesoro) anche se l'idea di Salvini viene considerata da molti una suggestione romantica e utile.  

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