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Cronaca

L'arresto, le minacce di morte e quell'appunto da brividi: "Come il caso Regeni". La verità di Silvio Ginanneschi

Il trentaquattrenne triestino era stato arrestato dalla polizia colombiana alla fine del mese di agosto. Dopo poco più di un mese si racconta in esclusiva a TriestePrima. "Ho avuto paura di morire". Il rapporto con i giovani di Primera Linea, le manifestazioni, la polizia di Bogotà che lo controllava da tempo. Cosa sta succedendo in Colombia? Tutta la verità di Silvio

“Il caso assomiglia a quello di Giulio Regeni”. L’appunto scritto a mano dal funzionario di polizia dell’aeroporto di Linate e pinzato sul fascicolo che riguarda la vicenda del triestino Silvio Ginanneschi mette i brividi. Il trentaquattrenne arrestato a Bogotá alla fine di agosto ed espulso dalla Colombia con l’iniziale accusa di essere parte di Primera Linea, movimento di strada che da mesi si batte contro il governo di Iván Duque, ora sta bene ed è rientrato a Trieste. “Ho avuto paura di morire - ha raccontato in esclusiva a TriestePrima – perché in un Paese gestito dalla mafia del narcotraffico, da un governo corrotto e dalla violenza dell’esercito, la violazione dei diritti civili è all’ordine del giorno”.

Cosa succede in Colombia: il perché delle proteste

Da tempo nel Paese sudamericano si susseguono manifestazioni e proteste. “La stampa nazionale è filogovernativa” e le missioni internazionali per monitorare la situazione vengono “pilotate” o, nel migliore dei casi, rimandate di qualche settimana: “Giusto il tempo per “fare un po’ di pulizia” afferma Silvio. A protestare contro il governo guidato di Duque sono soprattutto gruppi di ragazzi che fronteggiano il “lavoro di repressione chirurgica” che l’esecutivo sta mettendo in atto da mesi. Prima la riforma fiscale, poi la corruzione della stampa, delle forze dell’ordine, una crisi migratoria che Bogotá ha pensato di gestire aprendo le sue porte a più di un milione di profughi provenienti dal Venezuela e condizioni economiche di larghi strati sociali. In parole povere la Colombia è una polveriera pronta ad esplodere. 

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Manifestanti torturati, fatti a pezzi e gettati nelle discariche

Le organizzazioni internazionali parlano di decine e decine di morti, migliaia di persone ferite tra civili e poliziotti. Ci sono stupri documentati, le violenze di ogni genere passano ogni immaginazione. “Ci sono testimonianze – così Ginanneschi – di manifestanti torturati, assassinati, smembrati, fatti a pezzi e gettati nelle discariche. Le esecuzioni sommarie sono quotidiane, le stazioni dei bus diventano centri di detenzione, le detenzioni hanno sapore di politica”. Silvio ha subito minacce e dopo l’arresto è stato detenuto in carcere per qualche giorno. “L’ambasciata italiana cercava di mettersi in contatto con me ma dal carcere dicevano che non volevo parlare con loro. Nello stesso tempo cercavo di entrare in contatto con qualcuno ma dicevano che nessuno mi stava cercando”.

Il carcere, le minacce e le violazioni dei diritti civili

Durante la permanenza dietro le sbarre piovono insulti ed intimidazioni. “Lì dentro c’era gente accusata di stupro e di omicidio, oltre a criminali comuni. Se ho avuto paura? Sì, perché lì entra di tutto ed essere europeo in Colombia per la criminalità rappresenta una cosa sola: soldi. Mi hanno aiutato i ragazzi che erano stati arrestati con me”. L’Italia ha pagato il rimpatrio del giovane traduttore ed ora Silvio è un uomo libero. Tuttavia, la sua vicenda trasuda inquietudine e l’incapacità tutta occidentale di accorgersi della deriva autoritaria. “In Colombia c’è una chiara responsabilità per la violazione dei diritti civili: il governo ha dato mano libera all’esercito”.

Il perché del casco e della maschera antigas

Il giorno dell’arresto Silvio è a Bogotá ed è in compagnia dei manifestanti. Indossano il casco e hanno con sé la maschera antigas perché la polizia “spara i lacrimogeni ad altezza uomo, anche da pochi metri. È per difesa personale, quando ci sono le proteste succede di tutto”. I ragazzi si riuniscono in mezzo alla strada. Mancano le organizzazioni che monitorano il comportamento delle forze dell’ordine. È una sorta di presenza di garanzia, per chi manifesta contro il governo. “Se ci sono loro – così il giovane triestino – la polizia si comporta in maniera diversa”. I ragazzi decidono di proseguire nonostante l’assenza delle organizzazioni. “Le manifestazioni sono l’unica fonte di visibilità che Primera Linea ha, viste le posizioni filogovernative della stampa”. 

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Il contatto con i ragazzi di Primera Linea

Ma chi sono i ragazzi di PL e perché Silvio entra in contatto con loro? “Sono nati contro la riforma fiscale neoliberista imposta dal governo. Dallo sciopero ad oltranza di cinque mesi, PL è diventata presidio e movimento permanente. Le proteste di strada sono riuscite a far cadere la riforma. Ma il dissenso è indirizzato, ad esempio, anche contro la legge 100, vale a dire il testo che regola il sistema sanitario: in Colombia se hai il cancro e non hai una assicurazione costosa, non riceverai mai le cure. Laggiù i poveri vivono con i poveri. Ci sono persone che per sopravvivere riciclano i rifiuti. C’è una segregazione sociale pazzesca che ho visto con i miei occhi e sopportato fino a quando la situazione è diventata per me insostenibile”. Sul rapporto con i manifestanti Silvio racconta di essersi avvicinato “a questi ragazzi grazie ad un progetto che presupponeva la realizzazione di alcuni workshop per insegnare la scrittura ai giovani. Per un ragazzo colombiano poter un giorno frequentare l’università è un sogno. Con i miei corsi volevo dare a loro una voce. La prima volta che li ho incontrati ero nei pressi della biblioteca centrale. Io dovevo aspettare e ho intravisto tre quattro giovani. Mi sono avvicinato, ho iniziato a parlare, a chiedere perché fossero lì e così via. È questo il modo in cui sono entrato in contatto con loro”.

La polizia colombiana "a caccia" di Silvio

Da lì in poi Silvio viene tenuto sotto controllo dalla polizia colombiana. “Ho capito che mi stavano seguendo il giorno in cui mi trovavo a Bogotá con i leader della protesta e stavamo comprando caffè al commercio informale (si tratta di persone che preparano il caffè a casa e lo vendono nelle strade ndr). Sono arrivate le moto della polizia e ci hanno iniziato a perquisire. Uno di loro ha tirato fuori la pistola. La seconda volta è stata quando ai tornelli di una stazione del servizio pubblico ho iniziato ad osservare un addetto alla sicurezza che mi sembrava assumesse un atteggiamento sospetto nei miei confronti. Un giorno sono riuscito ad avvicinarmi e a captare la conversazione: stava parlando con qualcuno e gli stava raccontando esattamente com’ero vestito. Ho capito infine di essere monitorato quando sotto casa mia è comparso un suv bianco con i vetri oscurati. Avviene così, quando iniziano a sospettare di te seguono ogni tuo movimento”.

"Figlio di puttana, riconosci questa persona?"

Qualche tempo prima dell’arresto la polizia lo segue, grazie ad infiltrati, al parco El Virrey dove viene organizzata una mostra di fotografia. Gli scattano anche una foto. “L’ho vista il giorno in cui mi hanno fermato. Un membro dei servizi segreti colombiani me l’ha mostrata durante la convalida del fermo, fatta dentro ad un bar. Mi hanno chiesto dove avessi conosciuto i ragazzi, io ho dato risposte evasive. Ad un certo punto mi ha detto: “Figlio di puttana, sai chi è questo?”. Ero io, fotografato quel giorno al parco”. Quando lo portano in carcere Silvio non vuole farsi la doccia. Sa che in quell’ambiente può succedere di tutto. “Me l’hanno fatta fare a forza – racconta – ma non mi sono mai sentito così nudo in vita mia. Mi hanno circondato in dieci dodici persone. Mi insultavano. Era come se mi avessero strappato la pelle”. Silvio ha anche un taglio alla mano. Se curato subito è facilmente gestibile. “Non c’è l’infermeria, mi hanno risposto. Il taglio si è infettato (sulla sua mano i segni sono visibili ancora oggi ndr), solo una volta giunto in Italia sono stato curato”. 

La liberazione e quel volo Bogotá-Francoforte-Linate: "Come il caso Regeni"

Dopo qualche giorno di detenzione, l’autorità giudiziaria colombiana decide sullo stato di fermo e sostiene che Silvio non è un pericolo per la società e lo libera. “Mi portano in un parcheggio e mi fanno salire a bordo di una macchina. Mi dicono anche che non ho il diritto di sapere dove stiamo andando”. Lo portano negli uffici al piano interrato del ministero degli Esteri. Un addetto militare gli legge il decreto di espulsione. Lo imbarcano su un volo Bogotá-Francoforte-Milano. “Prima di salire a bordo mi viene consegnato un bigliettino. Mi dicono che un avvocato colombiano ha chiesto di difendermi”. Silvio nelle due ore di intervista non ha mai toccato il caffè che aveva ordinato. Ogni tanto si accende una sigaretta. La storia è memorizzata con precisione. “Sono 20 anni che faccio questo mestiere – gli racconta il funzionario di polizia dell’aeroporto milanese – e posso dire che in tutta questa vicenda c’è qualcosa che non quadra”. Silvio Ginanneschi non potrà tornare in Colombia per i prossimi dieci anni.

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