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Cronaca

La strage silenziosa ai tempi del Covid, se a Trieste si soffre l’emergenza del “male di vivere”

L’inchiesta esclusiva mette in evidenza il fenomeno dei suicidi avvenuti nel capoluogo giuliano durante la pandemia, uno ogni 11 giorni. Tra dati ed analisi statistiche emerge un quadro a dir poco preoccupante. Cosa fare in caso di bisogno e le linee guida dei dipartimenti di prevenzione. Il ruolo delle istituzioni e le morti che si consumano nel silenzio generale, per non “sporcare” la scintillante immagine di una città borghese che spesso si gira dall’altra parte

TRIESTE - Non ne parla nessuno perché è uno dei tabù della società moderna, eppure il male di vivere non solo sta benissimo ma nell’era che ha cambiato il mondo ha potuto contare su un “alleato” particolarmente in salute. Nonostante l’ultimo report ufficiale dell’Istat a livello nazionale sia datato 2016, il numero dei suicidi avvenuti a Trieste nei lunghissimi mesi caratterizzati dalla pandemia è impressionante, con oltre 40 decessi registrati (una quindicina i tentativi) ed una media di un morto ogni undici giorni.  

Il Covid come principale indagato

L’inchiesta esclusiva che TriestePrima ha condotto tra il dicembre 2019 e l’inizio dell’estate del 2021 riflette l’incidenza dell’emergenza sanitaria sul fenomeno. Attraverso le numerose conferme e i dettagli sui singoli casi (età, ma soprattutto condizione famigliare e sociale delle vittime, oltre che le conseguenze psicologiche) risulta che il principale indagato, nonché il presunto responsabile, possa essere proprio il CoViD-19. Le storie raccolte e analizzate anche grazie ai dati pregressi dell’Istat parlano chiaro: nel capoluogo regionale del Friuli Venezia Giulia, l’età media delle vittime è appena al di sopra dei 60 anni, nella maggior parte dei casi vivono da sole, possiedono una bassa scolarizzazione e, dati non indifferenti, nella maggior parte dei casi risiedono in case cosiddette “popolari”.

Le periferie soffrono e guardano con paura all'ennesimo lockdown

In Italia: quando l’ultimo report Istat?

I numeri trovano per l’appunto corrispondenza nei report pubblici dell’Istat che ha diffuso, in ragione di una suddivisione sia regionale che per macroaree, per quanto riguarda le due annualità successive al 2016. Trieste non vi è rappresentata, ma l’intero Friuli Venezia Giulia (parte di quel Nordest maglia nera per suicidi, con quasi 1000 morti solo nel 2018) ha visto 119 decessi nel 2017 e 127 nel 2018 che, sommati ai 99 del 2016, fanno 345 persone. Trecentoquarantacinque vite interrotte, una vera e propria strage consumatasi nel silenzio più assoluto. Nonostante nell’analisi pubblicata dall’Istat sui dati di marzo e aprile 2020 (i primi due mesi della pandemia ndr) si registri un decremento dei suicidi a livello nazionale, lo stesso Istituto, contattato dall’autore dell’articolo, fa sapere che “non sono disponibili stime a livello provinciale”, né “i dati relativi a decessi negli anni 2019 e 2020”.

È possibile capire cosa sta succedendo?

Sul drammatico fenomeno pesa un elemento significativo. Infatti, il rischio di emulazione che la pubblicazione di tali notizie da parte degli organi di informazione porta con sé fa sì che dei suicidi non si scriva quasi mai. Al contrario, in presenza di palesi violazioni della deontologia professionale sul tema, gli interventi da parte dell’Ordine dei giornalisti sono molto rari, se non addirittura assenti. A livello nazionale sono numerosi gli appelli lanciati per “smuovere” il lavoro dell’Istituto di Statistica sul fenomeno, senza evidenti e particolari risultati. “Se oggi volessimo sapere quante persone si siano tolte la vita negli ultimi mesi – o perché hanno perso il lavoro o per la paura del contagio, o capire se stiamo assistendo ad un incremento rispetto ai periodi precedenti – è impossibile” così il dottor Armando Piccinni, presidente della Fondazione BRF – Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze e professore all’Unicamillus di Roma, in una lettera aperta pubblicata su Quotidiano Sanità nel giugno del 2020. 

La prevenzione: luci e ombre

Un buco nero che si somma al cronico ritardo italiano in materia di prevenzione. Gli organismi internazionali la considerano “obiettivo prioritario” ma i Paesi nel mondo che hanno sviluppato una strategia in tal senso sono pochi. L’Italia, neanche a dirlo, non risulta essere tra questi. In una città che brulicava di contesti sociali importanti (dallo sport agli esercizi pubblici, ma anche quei luoghi di lavoro “annullati” dallo smart working, come pure i circoli ricreativi e culturali sparsi nei rioni), le restrizioni imposte dalle normative hanno provocato un’escalation di reazioni avverse. “Hanno fatto venire meno le occasioni relazionali, innescando un decadimento psicologico che soprattutto nella prima parte dell’emergenza è stato devastante” così l’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Trieste, Carlo Grilli. “Le difficoltà emerse tra perdita di lavoro, didattica a distanza e situazioni di estrema fragilità (solo per citare alcuni degli elementi di maggior impatto ndr), hanno generato problematiche significative. Se tutte queste situazioni si sommano tra di loro e la persona non viene agganciata dai Servizi Sociali, le menti più fragili finiscono per vivere in grande sofferenza”.

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Nei confronti degli anziani l’amministrazione ha attivato un servizio domiciliare che, nonostante il grande impegno degli operatori sul campo, come ricorda Grilli “non poteva e non può sostituire il lavoro relazionale. Il nostro istinto è quello di vivere assieme agli altri, mentre durante la pandemia la solitudine ha avuto gioco facile”. L’analisi del fenomeno trova d’accordo anche la sindaca di Duino Aurisina, Daniela Pallotta. “Penso che il problema non siano i luoghi dove avvengono le tragedie ma il disagio. Il ruolo delle istituzioni è quello di offrire alle persone gli strumenti giusti, per parlarne, per raccontare situazioni problematiche. La tendenza oggi invece è quella di nascondere, soprattutto nei giovani. Da parte loro è chiaro che è una volontà di proteggersi ma fino a quando i problemi non vengono alla luce, i disagi non possono essere curati”. (FINE PRIMA PARTE - CONTINUA A LEGGERE)

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