"The Choir of Man" al Rossetti: la compagnia al maschile che sdrammatizza la virilità
In anteprima italiana, uno spettacolo corale con nove ragazzi in grado di cantare, ballare, suonare più strumenti e, nel frattempo, allestire siparietti da sit com degli anni novanta
Chi crede che gli uomini non siano multitasking dovrà certo ricredersi dopo aver visto “The choir of man”, in scena ieri al Rossetti in anteprima italiana, uno spettacolo corale con nove ragazzi in grado di cantare, ballare, suonare più strumenti e, nel frattempo, allestire siparietti da sit com degli anni novanta.
Uno show che si potrebbe definire "testost - ironico": i luoghi comuni sulla virilità esplodono come bolle in una risata liberatoria, ed ecco che la minzione in compagnia dura il tempo di una cantata sulle note di “Under the bridge” e la partita di football ha in sottofondo le armonie languide di “Hello” di Adele. Il messaggio è che si può essere uomini anche senza dover dimostrare di essere superuomini, anche ballando sui tavoli, pulendo il pavimento, abbracciandosi e sfogando il proprio lato artistico. Per una volta lo stereotipo maschile non viene messo in discussione in un contesto queer e sopra le righe, ma in abiti anonimi, all'interno di un pub come tanti.
Un'ambientazione che non può non ricordarci il set di “Friends” o “How I met your mother”, salotti inclusivi che hanno riscaldato le giornate solitarie di intere generazioni. In questo caso un salotto meno virtuale e più "fisico”, perché gli spettatori vengono portati sul palco a far festa e i boccali (offerti da Birra Castello) scorrono tra le file della platea. Uno spirito di familiarità che è uscito più volte nelle gag: “Siamo contro i club esclusivi” e “Siamo solo nove ragazzi che amano bere, cantare e chiacchierare, ci vediamo dopo nel foyer”, oppure “non vi portiamo le birre in galleria solo perché non sappiamo dove sono le scale”. Il tutto in inglese e senza sottotitoli, unica barriera selettiva in un contesto di inclusione generale.
"Inclusiva" anche la scaletta per tutti i gusti: da Sia ai Guns'n Roses, dai Queen ad Avicii, con complessi arrangiamenti a nove voci e intermezzi di banjo, ukulele e stacchi di tap dance. In pochi sono riusciti a stare fermi sulla sedia, anche per la carica energetica sprigionata da nove "bestie" da palcoscenico che, al di là delle coreografie collettive, hanno avuto modo di esprimersi quasi a briglia sciolta.
Uno spettacolo studiato nei particolari che riesce a vendersi come un'improvvisazione continua, con interpreti professionisti mascherati da compagnoni della porta accanto, non troppo belli e non troppo brutti, vestiti male per far sentire tutti a proprio agio. Uno spettacolo che convince e funziona non tanto per il virtuosismo (il pubblico del Rossetti è abituato a Stomp e Harlem Gospel Choir), quanto per l'illusione della spontaneità: una boccata d'aria in un'epoca di selfie e pose continue, con la pressione di dover sempre apparire al meglio.
Questa, forse, la chiave del successo di uno show che, dopo aver debuttato all’Edinburgh Fringe Festival 2017, ha finora conquistato pubblico e critica ed è impegnato in un tour internazionale nel Regno Unito, in Australia e in America. In Italia, quella del Rossetti è stata la prima tappa, che visti gli applausi e il fiume di storie su instagram non si preannuncia unica. Lo spettacolo è in replica fino a domenica 17 novembre.
Crediti
THE CHOIR OF MAN
creato da Andrew Kay & Nic Doodson
scritto da Ben Norris
regia di Nic Doodson
coreografie e movimenti di regia Freddie Huddleston
regista associato Jim Fortune
con Mikey Shearer, Tom Reade, James Hudson, Johnny Sheehy, George Bray, Tom Gadie, Ben
Langridge, Matthew Hobbs, Freddie Huddleston
scene di Oli Townsend
costumi di Verity Sadler
supervisione musicale e arrangiamenti di Jack Blume
suono di Max Hunter
luci di Richard Dinnen
produzione Andrew Kay and Nic Doodson