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Guerra in Ucraina

Il lungo viaggio e la notte tra i profughi: l’odissea di un triestino per salvare la compagna in fuga dalla guerra

La partenza alle due di notte, la straordinaria accoglienza dei rumeni al confine con l'Ucraina, le storie dei profughi che scappano dall’inferno, poi la traversata dei Carpazi in mezzo alla tormenta di neve e le code ai confini. La storia di Paolo e Julia

Si mette alla guida in piena notte per raggiungere la sua compagna al confine tra la Romania e l’Ucraina e la porta in salvo: è la storia di Paolo, triestino residente a Monfalcone, e Julia, cittadina ucraina di Kryvyj Rih. Una conoscenza nata sul web in tempo di pace, quando la guerra sembrava ancora un remoto spauracchio, un’unione rafforzatasi nel tempo con visite reciproche, fino a che l’invasione russa ha reso necessario ricongiungersi. Paolo ci ha raccontato la sua lunga notte in viaggio per portare in salvo Julia, partita giovedì scorso dalla sua città, Kryvyj Rih, un importante centro industriale dove si estraggono minerali e ferro.

“Mi ha detto che era spaventata – racconta Paolo – c’erano i carri armati per le strade. Una sua amica stava scappando in Romania, dove qualcuno avrebbe ospitato sia lei che la sua famiglia. Alla fine alcuni suoi parenti hanno deciso di fermarsi poco prima del confine, dove si sentivano più al sicuro visto che con loro c’era un bambino di sei mesi, anche perché è difficile che si verifichino bombardamenti vicino ai confini”.

Anche Julia decide di fermarsi prima di oltrepassare il confine, e decide di trascorrere la notte in una tendopoli allestita per chi è in fuga e cerca riparo: tenterà di uscire dallo stato la mattina seguente. Anche il suo compagno, in Italia, dovrebbe partire la mattina presto per affrontare il lungo viaggio e portarla in Italia, ma l’apprensione è troppo grande e non riesce ad aspettare: “Non sapevo cosa avrebbe potuto succederle e non riuscivo ad addormentarmi - racconta -, così sono partito alle due di notte. Arrivato a Maribor ho iniziato ad essere molto stanco, rischiavo un colpo di sonno e ho dovuto fermarmi nel parcheggio di un Autogrill, ma sono stato svegliato dal freddo dopo mezzora: il termometro segnava -6. Poi mi sono fermato in Ungheria a fare benzina, e sono ripartito per non fermarmi più fino alla città di Siroc, al confine tra Ucraina e Romania, dove i profughi vengono accolti. Sono arrivato alle otto di sera, diciotto ore di viaggio. Nel frattempo lei era riuscita a passare il confine in due ore, ed è stata fortunata perché al confine con la Polonia alcuni ci hanno messo tre giorni”.

L’accoglienza rumena viene descritta come efficiente e generosa: “Avevano tutto, cibo, vestiti e posti per dormire, un’associazione ha messo a disposizione delle case per i profughi e sono riusciti ad ospitare Julia in uno stanzone con i materassi a terra e una ventina di persone. Volevamo andarcene subito ma mi è stato detto che non avrei trovato un albergo libero nell’arco di cento chilometri, erano tutti pieni di giornalisti o profughi. Quindi siamo rimasti a dormire lì, per qualche ora, ancora con gli stessi vestiti addosso”.

Poi la partenza all’alba, il risveglio alle cinque di mattina e il viaggio in mezzo a una tormenta di neve: “la bufera era così fitta che non si vedeva a dieci metri di distanza - spiega Paolo -, ed è durata tre ore per strade impervie e tornanti attraverso i Carpazi. Poi a Satu Mare non c’era più la neve, sembrava primavera, ma abbiamo trovato il confine con l’Ungheria completamente intasato da camion e autobus pieni di profughi. Abbiamo dovuto scegliere un altro valico, quello di Debrecen, dove abbiamo aspettato due ore prima di passare. Ci siamo poi fermati a dormire a Budapest, e da lì a Monfalcone. Il viaggio è durato due giorni, all’andata l’ho percorsa in meno di venti ore, perché non sapevo cosa sarebbe potuto succedere nel frattempo”.

Situazioni inimmaginabili fino a un mese fa, la quotidianità di un paese completamente stravolta con milioni di cittadini costretti a lasciare le proprie case dall’oggi al domani con una sola valigia al seguito, come Julia: “è partita con un solo bagaglio - racconta il triestino - ma in Romania i soccorritori le hanno dato quello che le mancava, cose semplici come un pigiama e delle calze grosse, cose che noi diamo per scontate e che nella foga di questi momenti si dimenticano. La stampa parla molto dell’accoglienza in Polonia quindi la maggior parte degli aiuti arrivano lì, ma si parla meno della straordinaria accoglienza dei rumeni. Stanno facendo un lavoro incredibile”. 

Ora Julia è al sicuro, ma lo stesso non si può dire della sua famiglia: “suo zio e le sue cugine, che sono come sorelle, sono rimaste in Ucraina perché non avevano un altro posto dove andare e adesso l’attacco a Kyryj Kiv è imminente, hanno bombardato ieri Dnipro, che è a 150 chilometri di distanza. Da un lato è sollevata per essere al sicuro con me, dall’altro è terrorizzata, pinge e controlla continuamente il cellulare”.

Sono ancora più tragiche le testimonianze che si sentono al confine, in questi campi profughi ‘improvvisati’ma comunque efficienti e organizzati: “Ho parlato con un sessantenne ucraino – racconta il nostro testimone - originario di Irpin, mi ha detto: ‘un giorno sono andato al lavoro, sono tornato e non avevo più la casa. Era stata rasa al suolo. Per fortuna mia moglie era a fare la spesa con i bambini’. Sono storie che lasciano il segno anche in chi non le vive direttamente”.

“Julia mi ha detto: voi non conoscete Putin e la sua propaganda – conclude Paolo -, dice che sta venendo a liberare l’Ucraina dai fascisti, colpendo solo basi militari, ma non è così. Kharkiv è ormai una città fantasma e Mariupol è completamente distrutta’. Lei lo sa perché ha amici anche lì, mentre da qui non si ha la percezione di quello che accade veramente. Inoltre da Mariupol arriva l’acciaio per le bramme che poi andranno al porto di Trieste e di Monfalcone, quindi ci saranno ripercussioni per gli operai del settore e la nostra economia in generale. Tutto questo ci riguarda da vicino”.

La Romania e la poderosa macchina dell'accoglienza

Alcune immagini dal rifugio di Siroc, in Romania

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