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Gli occhi dei giornalisti triestini

Ucraina, i reporter triestini che raccontano la guerra

Fausto Biloslavo, Giovanna Botteri, Marco Gombacci, Federico Quintana, Gabriele Lagonigro, Gian Micalessin e Toni Capuozzo hanno in comune due cose: Trieste e il coraggio di raccontare i conflitti nel mondo

Sono partiti da una città che una guerra l'ha vissuta, alla volta di una terra che la sta vivendo. Ognuno si trova in una zona diversa a raccontare l'invasione russa dell'Ucraina che da quasi un mese tiene il mondo con il fiato sospeso. Da Leopoli c'è Marco Gombacci, giornalista freelance e analista. A 37 anni nel suo curriculum ha già i conflitti in Siria, Iraq e la guerra del Nagorno Karabakh, in Caucaso. A Kiev ci sono invece Fausto Biloslavo de Il Giornale, presente in Jugoslavia negli anni Novanta, a Kabul nel 2001 ed in Iraq nel 2003, nonché il fotoreporter Federico Quintana; durante le prime due settimane di conflitto nella Capitale ucraina era presente anche Gabriele Lagonigro, inviato per Il Fatto Quotidiano. Gian Micalessin è inviato de Il Giornale a Henichesk. Nella sua carriera ha seguito più di 40 conflitti dall’Afghanistan all’Iraq, alla Libia e alla Siria passando per le guerre della Ex Jugoslavia, del Sud Est asiatico, dell’Africa edell’America centrale. Infine, il volto storico della Rai Giovanna Botteri questa volta racconta il conflitto da Parigi. 

L'informazione

Oggi il loro ruolo è fondamentale per riappropriarsi dei fatti e riuscire a districarsi tra propaganda, censura e autocensura. Come in tutti i conflitti moderni, questi strumenti di guerra vengono usati dalle parti per raggiungere i propri obiettivi. Lo scrittore norvegese Jo Nesbø scrive in un articolo firmato per il Corriere della Sera: "in un’era in cui la verità è stata svalutata da propaganda e disinformazione, in cui i leader più potenti vengono eletti sull’onda dell’emotività, anziché in base ai loro meriti o posizioni politiche, i fatti non hanno più lo stesso peso che in passato. I fatti hanno dovuto lasciare il posto a storie capaci di sollecitare le nostre emozioni, storie su di noi e su ciò che ci definisce come collettività, nazione, cultura, religione". Intanto, a Mosca, nella giornata di ieri la Duma ha approvato la legge sulle fake news, norma che prevede pesanti sanzioni (fino a 15 anni di carcere) per la pubblicazione di presunte notizie false relative alle attività della Russia all'estero.

Marco Gombacci

Giubbotto antiproiettile, elmetto e una grande scritta “press” che spesso non basta per proteggersi. La verità ha un prezzo, ma, chi ha fatto del giornalismo la propria missione, è disposto a pagarlo. "La prima vittima della guerra è la verità. Soprattutto quando è presente una forte attività di propaganda da tutte le parti. Per questo è importante andare in loco e raccontare cosa avviene là dove i accadono i fatti. Solo in questa maniera puoi avere una visione completa". Gombacci racconta che si trova a Leopoli da circa una settimana. "Sono in contatto con i membri dell'esercito ucraino e seguo le chat ufficiali", spiega. "Utilizzo anche diverse fonti anonime, facendo sempre attenzione a ciò che mi viene detto. E' essenziale avere sempre una doppia prova". Come sottolinea il giornalista triestino, cautela è la parola chiave quando ti trovi in un campo minato "dove alcune informazioni di troppo potrebbero diventare pericolose per la sicurezza nazionale".

Federico Quintana

Federico Quintana immortala la guerra dietro il suo obiettivo. Comunica e racconta storie attraverso le immagini. La sua rete è fatta di colleghi che come lui si trovano nella capitale ucraina per raccontare la guerra. "Collaboro con una giornalista locale che riesce ad aggiornarmi più velocemente delle news che escono dalle agenzie internazionali. C'è anche una chat esclusiva gestita da giornalisti locali a cui è difficile accedere. Ci sono delle procedure da seguire a causa del continuo rischio di spionaggio: c'è molta diffidenza nei confronti della stampa, anche da parte delle stesse forze armate ucraine” .

Gabriele Lagonigro

"Sono partito per il Donbass il 20 febbraio. Sapevo che qualcosa sarebbe successo, ma nessuno si aspettava un'invasione. Dopo circa quattro, cinque giorni ho preso un treno per Kiev, dove sono rimasto per circa una settimana". A parlare è Gabriele Lagonigro, che segue da anni la crisi russo-ucraina. Nel 2014 era infatti stato in Donbass e in Russia. Per Lagonigro ci sono due diverse narrazioni "ma la volontà di mettere le due nazioni sullo stesso piano è ridicola. Nel singolo caso, come il numero di morti a Mariupol, è molto difficile capire quale sia la verità assoluta", specifica. "Ma, se prendiamo in considerazione la situazione generale, è certo che ci sia una nazione invasa ed un invasore. L'unica fonte di dibattito potrebbero essere piuttosto le motivazioni che hanno portato allo scontro". Lagonigro ci racconta inoltre il desiderio di chi vive la guerra di far vedere al mondo ciò che succede: "Nel Donbass la gente viveva negli scantinati in condizioni pietose. Ma anche in quelle occasioni ci hanno accolti. Vogliono che la situazione in cui vivono venga raccontata. Da questo punto di vista non abbiamo avuto problemi a reperire le informazioni", conclude Lagonigro. "Inoltre, mi ha aiutato molto il passaporto italiano. Ad un check-point un militare ha addirittura intonato una canzone di Albano".

Toni Capuozzo

Di propaganda parla anche il giornalista Toni Capuozzo, figlio di padre napoletano e madre triestina, che in un lungo post su Facebook invita “a guardare, ad aiutare, a cercare di capire, ma senza rinunciare a ragionare”, ricordandoci che la vera guerra è quella dei morti e delle vittime.

"Ci sono due propagande. Sì, però l’una è la propaganda dell’aggressore, connaturata a un regime. L’altra è la propaganda dell’aggredito, che pur di resistere e invocare aiuto deve spararla un po’ grossa" [...] .L’unica cosa in cui si può credere sono le foto dei carri armati bruciati, e i volti dei civili che fuggono. Per quanto la propaganda di entrambi, aggressore e aggredito, ci inzuppi il pane quotidiano,  sono la nuda sostanza della guerra, e non mentono.  Hanno il mistero definitivo della morte, quelle Z sulle carcasse fumanti,  e la solitudine senza tempo del dolore che ti porti dietro come un povero fagotto. Lì non conta la geopolitica, né il prender parte dei politici, né la chiacchiera di noi giornalisti, sul campo o in studio, è brusio. Ci sono solo quelle facce impietrite e quei ferri ritorti.  Dicono poco, a volte niente, e dicono tutto”.

Trieste e la guerra

Giovanna Botteri e Fausto Biloslavo sono stati contattati da TriestePrima, ma dopo un iniziale riscontro non hanno dato seguito alla richiesta di un commento, con ogni probabilità impegnati nel loro lavoro. Oltre ai giornalisti che oggi raccontano la guerra sul campo, vanno ricordati quelli che hanno perso la vita in nome della verità, come Miran Hrovatin, o chi ha dedicato l'esistenza a raccontarci altre realtà, come Sergio Canciani, storico corrispondente Rai da Mosca, spentosi il 15 marzo nella sua San Giovanni. Dopo aver sofferto i drammi del Novecento, Trieste continua ad essere in prima linea nelle guerre di oggi. 

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