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Cronaca

Tra le tende dei migranti, il viaggio del consigliere Ussai nel "girone dantesco" di Vucjak

"In Bosnia nei boschi tra zone minate e animali selvatici c'è un campo con circa 700 migranti e solo due poliziotti e tre operatori della Croce Rossa. Condizioni igieniche da paura". La missione del pentastellato nell'area da dove partono centinaia di persone ogni settimana

"Nei boschi di Vucjak tra zone minate e animali selvatici c'è un campo con circa 700 migranti e solo due poliziotti e tre operatori della Croce Rossa. Un autentico girone dantesco". Le parole sono del consigliere regionale del Movimento Cinque Stelle, Andrea Ussai, che in questi giorni si trova in Bosnia per vedere da vicino le condizioni in cui vivono centinaia di migranti e, più in generale, per registrare l'atmosfera che si respira nelle zone da dove essi si mettono in viaggio per raggiungere l'Italia. Contattato telefonicamente questa mattina, il consigliere pentastellato ha ribadito come la situazione a Bihac e dintorni sia "assolutamente drammatica".  

"Circa 5000 persone che vivono qui"

"In quest'area ci sono circa 5000 persone che vivono all'interno dei campi, più le persone che rimangono nella cosiddetta jungle e che tentano quotidianamente di oltrepassare la frontiera, in quello che viene definito the game". Nella zona vivono all'incirca 50 mila persone e la convivenza tra i residenti e chi invece transita per i campi profughi non è sempre facile. "Da un lato Bihac è schiacciata da un afflusso importantissimo di immigrati che passano e che non intendono fermarsi, mentre dall'altra parte la situazione risulta essere difficoltosa, per i migranti, per la stessa l'impossibilità di passare il confine" racconta Ussai.

"Ci sono molti pachistani e afghani e siamo stati informati su alcuni episodi di violenza. Inoltre, siamo stati messi al corrente della situazione legata alla difficile convivenza in un'area che tocca percentuali molto alte di disoccupazione". L'assenza di lavoro e di prospettive, unita alla presenza di migliaia di persone bisognose di accoglienza, crea storicamente attriti che difficilmente svaniscono grazie ad improvvisati colpi di bacchetta magica. "Per certi versi i locali vivono le stesse problematiche che viviamo anche noi in Italia, per questo siamo venuti qui a vedere con i nostri occhi cosa sta succedendo". 

La rotta balcanica è "un problema che ci riguarda tutti. Tempo fa avevo accennato al presidente Fedriga la necessità di organizzare una missione istituzionale tutti assieme qui in quest'area, anche se poi è passato del tempo e non si è fatto niente" ha affermato Ussai che in questi giorni ha anche incontrato il sindaco di Bihac, Suhret Fazlic. "Auspico che in futuro si possa organizzare una visita da parte del primo cittadino di Bihac nella nostra regione, magari per una riunione proprio alla presenza del governatore del Friuli Venezia Giulia". 

La rotta balcanica

La migrazione che attraversa la penisola balcanica mostra sulla mappa alcuni punti particolarmente critici e la zona di Bihac è proprio uno di questi. "In un posto dove due mesi fa non c'era nulla e dove tutto finisce sott'acqua quando piove, hanno spianato il terreno e ora è possibile trovare un barbiere, una moschea, un riparo che funge da supermercato e moltissime tende". Ussai definisce le condizioni igieniche "da paura. Ci sono persone con infezioni, scabbia, ferite a piedi, fambe, gomiti e teste" dovute, secondo le testimonianze raccolte dal consigliere regionale "all'incontro con la polizia croata". 

Il tracciato che i migranti seguono è ricostruibile attraverso le notizie pubblicate da molti media, italliani e stranieri, sul flusso ininterrotto di centinaia di migliaia di persone che hanno seguito la cosiddetta "rotta balcanica". E' in questa penisola infatti che si gioca una parte decisiva della "partita"; è qui che le persone arrivano ed è da quest'area che si mettono in viaggio verso il confine orientale d'Italia, nel migliore dei casi dopo aver eluso il filo spinato che separa la frontiera croato-slovena, ulteriormente potenziato da Lubiana nelle scorse settimane. 

I confini e chi si sposta

Gli spostamenti avvengono a piedi, attraverso i fitti boschi della Croazia, per arrivare poi in territorio sloveno. Alcuni media hanno riferito di violenze e pestaggi effettuati dalla polizia croata nei confronti dei migranti, voci che Zagabria ha smentito ufficialmente più volte perché, se così non fosse, saremmo di fronte a palesi violazioni dei più elementari diritti umani. Nella zona del monte Nevoso, al confine tra Slovenia e Croazia sarebbero comparsi alcuni cartelli con l'indicazione di campi minati (evidentemente inesistenti in quell'area), affissi dai residenti dei villaggi affinché i migranti si tengano alla larga dalle case. 

La testimonianza di Ussai va avanti. "Ci accerchia un capanello di persone e un ragazzo ci chiede "perché i poliziotti croati si comportano così?". Ussai suggerisce una risposta dura. "Perché la Croazia e l'Europa non vi vuole". Il ruolo di Zagabria dovrebbe essere di primo piano nel controllo e gestione della rotta. Dal punto di vista politico, un certo sovranismo - e quel naturale ciangottare che si genera tra i seguaci - punta il dito contro il confine d'Europa e presunte responsabilità di polizia. Al di là delle facili interpretazioni, il problema ha dei connotati ben diversi rispetto a qualche dichiarazione rilasciata alla stampa. 

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Sono centinaia di migliaia le persone che si muvono, un'ondata che non si arresta di fronte all'impossibilità temporanea di proseguire un viaggio intrapreso per poter migliorare la propria condizione sociale o fuggire dalle persecuzioni, in quella precisa lista di motivazioni che, smantellando la retorica, non sempre hanno a che a fare con le violazioni dei diritti dell'uomo e della donna.

In un articolo pubblicato dal Corriere della Sera nel maggio di quest'anno, erano stati delineati i contorni della migrazione che dal 1994 ad oggi hanno cambiato il paese di residenza. "Se si escludono i Paesi afflitti dalle guerre, i 100 milioni di migranti che nel mondo si sono spostati negli ultimi 25 anni, provengono dalla classe media" si legge in questa analisi firmata da Milena Gabanelli e Simona Ravizza. 

Le testimonianze

La conferma di tutto ciò arriva direttamente da una testimonianza raccolta dal consigliere pentastellato. "Vengo dal Kashmir - ha raccontato un migrante ad Ussai - un paese ricco, ma le sue ricchezze sono nei conti svizzeri dei nostri politici e nelle mani di poche persone. Io sono ingegnere informatico ma non ho lavoro nel mio paese, non avrei voluto andare via ma ho bisogno di lavoro". Sono migliaia le persone che si spostano continuamente, anche e soprattutto per questi motivi. 

Il quadro d'insieme è evidentemente più complesso di quanto si possa credere. La globalizzazione ha ridotto alcune sacche che vivevano al di sotto della soglia di povertà, così a muoversi è chi possiede i mezzi per farlo. Chi non li ha, resta a casa. L'argomento ha una portata storica eccezionale e certamente non sono sufficienti gli interventi della stampa, dei partiti che a seconda della loro storia e del loro posizionamento sbandierano urlanti sovranismi o inadeguati garantismi, o ancora del chiasso provocato dalla continua campagna elettorale alla quale assistono i cittadini. 

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Ci sono domande a cui evidentemente la classe dirigente non è in grado di rispondere, e soluzioni e modelli che in assenza di visione istituzionale non emergeranno mai, perché stoppati da convenienze partitiche del momento. Che il livello medio della politica italiana sia ai minimi storici è sotto gli occhi di tutti, ma tutto ciò ha a che vedere con l'esperienza diretta, lo studio, la preparazione e, in ultimo, con una visione di insieme di lungo periodo, una delle reali differenze tra chi rimarrà il più classico dei rappresentanti e chi invece verrà ricordato per l'impegno concreto. 

Le domande

Quanti sono a conoscenza del traffico di esseri umani gestito da organizzazioni criminali, da cittadini dell'est Europa, evidentemente in contatto con pesci più grandi? Qual è la politica europea in materia? A quanto ammonta il business (quello della rotta balcanica ndr) realizzato sulla pelle dei migranti e chi lo gestisce? Dove finiscono le migliaia di euro che queste persone pagano per ogni viaggio?

A queste nostre domande si sommano quelle di Ussai, che conclude così: "Quale modello di sviluppo abbiamo per garantire diritti umani, legalità e sicurezza? Dobbiamo continuare a dire "aiutarli a casa loro" senza fare nulla, oppure dobbiamo evitare di togliere le risorse a paesi poveri ma ricchi di risorse? Perché non vengono fatti programmi di cooperazione allo sviluppo (alla pari) per offrire un futuro a persone che diventano migranti per necessità?". 

Le riflessioni

Le persone, non servono sfere di cristallo per affermarlo, si continueranno a spostare. E' frutto di quella stessa globalizzazione invocata ed applaudita dal liberismo, dai sostenitori dell'abbattimento delle barriere economiche, dalla trasformazione della Terra in un unico ed enorme mercato per contrastare la povertà. imponendo modelli economici che nel corso degli ultimi si sono spesso rivelati fallimentari. A quel tempo si percepiva grande fibrillazione per una rivoluzione capace di scaldare il cuore anche dei più scettici. Oggi, sembra che gli entusiasti del tempo stiano puntando il dito contro le migrazioni, prendendosela contro chi abbandona per diverse ragioni il proprio paese. Insomma, niente di nuovo. 

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