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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Torna la DAD a scuola? Cosa ha significato per me e mio figlio

L'opinione del triestino Enrico Maria Milic, sulle pagine di TriestePrima

Ci risiamo. La nostra regione, Friuli Venezia Giulia, è già in zona gialla e nelle prossime settimane potremmo tornare in zona rossa. Se accadesse gli studenti tornerebbero dentro la Dad (Didattica a distanza), di cui la nostra famiglia si ricorda molto bene. Voi ve la ricordate? State facendo davvero la cosa giusta per scongiurare il ritorno della zona rossa, dove bambini e adolescenti vengono costretti in casa tutto il giorno, in quel mondo alternativo fatto di schemi luminescenti? Vi stimoliamo la memoria con i nostri ricordi del periodo da marzo a maggio 2020, di un papà e di suo figlio, a quel tempo studente di una prima liceo a Trieste.

Papà: All’inizio, era la novità. Volevamo godercela: il karaoke, il gioco da tavolo, il tutorial per imparare a fischiare, nuove ricette, il tavolo del soggiorno che diventa un tavolo da ping pong fino a quando la signora del piano di sotto, un’ora dopo, non inizia a battere sul soffitto.

Figlio: Passano i giorni. Sto a letto per l’intera durata della lezione e questo di certo non aiuta la mia concentrazione. Col computer davanti per ore, la mia attenzione si sposta sulle cartelle dei videogiochi o dei social media già aperte dalla sera prima. Passano altri giorni. Faccio enormi difficoltà a mantenere l’interesse verso la scuola. Ormai ogni mattina ricado nel chiudere la videocamera della lezione e mi metto sul mio passatempo preferito. A volte, con il cuscino dietro la testa mi addormento con la voce della professoressa in sottofondo.

Papà: Siamo da settimane in 90 metri quadri in tre. Non possiamo mai sfuggire l’uno all’altro. Vedo che mio figlio non riesce a stare più dietro alla quotidianità della scuola. Gli parlo. Gli riparlo, provando a persuadere, arrabbiandomi, cercando il registro giusto.

Figlio: Le ore e anche la scuola in generale sono monotone e non è solo per il fatto di essere dietro a un monitor. Nelle settimane prima della pandemia ho solo iniziato a conoscere i miei compagni di classe e, così, non sono ancora riuscito a creare un legame robusto con loro. Questa mancanza della vita di ogni giorno in classe come «Hai fatto i compiti per domani?», «Avete studiato italiano?», «Mi passi gli appunti di oggi?», mi rende tutto più difficile.

Papà: Inizio a urlare, a imprecare. Esagero. Provo a sottrarre il cellulare a mio figlio, perché non abbia un ulteriore strumento di distrazione. Ma lui si arrabbia e se lo riprende.

Figlio: Fare i compiti e studiare, senza la prospettiva di uscire e di fare attività fisica fuori da qua, mi richiede molto più sforzo. Mi viene a mancare un ritmo tra studio e pause di riposo e tutte le giornate cominciano a somigliarsi. Faccio fatica a darmi una disciplina e avere continuità sulle cose. Troppo spesso rimando il momento in cui svolgere i compiti alla sera, per poi non farli affatto. Inizio a perdere la motivazione a studiare.

Queste sono i nostri ricordi dal fronte. Sì è un fronte: perché quella che il Governo Conte aprì fu una battaglia, probabilmente inevitabile, contro la socialità tra le persone. Lasciando in pace per un attimo i morti e feriti da virus, confinare le persone in casa ha causato ferite psicologiche in migliaia di famiglie. Sappiamo che molti ce l’hanno fatta più serenamente di noi ma, anche, che non siamo stati i soli ad aver vissuto situazioni come questa. La politica, le scuole, gli insegnanti e tutti gli altri cittadini devono ricordare. Ognuno deve fare la sua parte per scongiurare il ritorno a qualcosa di simile. Com’è finito il nostro primo lockdown, di figlio e padre? A maggio abbiamo avuto un enorme litigio. Da quel giorno, per sette mesi, quasi non ci siamo parlati.

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