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Economia

Sale la temperatura a Servola, la Ferriera si "spacca" sul referendum

Assemblea di oltre due ore oggi pomeriggio nella sala mensa dello stabilimento di via San Lorenzo in Selva in vista della tre giorni referendaria di giovedì, venerdì e lunedì prossimi. Il fronte del sì destabilizzato dal "tira e molla della Regione". La Cgil: "Riportiamo il tavolo a Roma"

Nonostante l’annunciata chiusura dell’area a caldo della Ferriera, la temperatura registrata a Servola oggi pomeriggio ha fatto segnare un improvviso, e per certi versi inaspettato aumento. Le ragioni del brusco innalzamento sono da ricondurre all’evidente spaccatura sull’accordo sindacale – e di conseguenza sul referendum interno - emersa durante le oltre due ore di assemblea alla quale hanno preso parte circa 300 dipendenti del gruppo Arvedi.

Le due posizioni

A spingere per il sì Usb, Cisl, Uil e Failms, mentre la Fiom, dopo essere stata accusata di “strumentalizzare” il voto interno attraverso un “volantinaggio scorretto”, rispedisce il j’accuse all’inconsueta formazione sindacale, puntando a riportare la discussione vis a vis al ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. "Discutiamone con un po' più di buon senso" ha riferito Thomas Trost di Cgil la cui posizione si è scontrata con quella di Rodà e compagni che hanno sottolineato le garanzie che "questo accordo dà ai lavoratori".  

Il fronte del sì

Un’assemblea iniziata con mezz’ora di anticipo rispetto a quanto annunciato dagli stessi sindacati e che è stata definita dal fronte dei favorevoli all’accordo sindacale come la “migliore discussione che si potesse fare in questo contesto”. “Noi siamo stati molto chiari – ha ribadito Umberto Salvaneschi della Cisl -. Lo scarico di responsabilità fatto sulla testa dei lavoratori è scorretto. Noi abbiamo fatto egregiamente il nostro lavoro”. Secondo il fronte del sì, “leggere sul Piccolo le dichiarazioni di chi fino all’altro ieri diceva che avremmo dovuto chiudere un giorno prima, e che invece oggi sposta le date in avanti, non fa altro che infondere paura ai lavoratori”.

Arvedi "gela" gli operai: lavoro solo fuori Trieste se non passa l'accordo

"Tira e molla della Regione ha alimentato i dubbi"

Durante l’assemblea non sono mancati momenti infuocati, con pesanti accuse da parte di un gruppetto di “tre, quattro” operai ad alcuni sindacalisti presenti al tavolo, che “in maniera organizzata ci hanno impedito di parlare” così Antonio Rodà della Uil.  “Chi urla fa più rumore di chi sta in silenzio. Noi abbiamo notato una maggioranza silenziosa, è chiaro poi che [nei risultati del referendum] ci sarà una divisione marcata”.

“Tocca alle istituzioni impegnarsi affinché il nostro accordo sia valido – ha sottolineato Sasha Colautti di Usb –. Il tira e molla della Regione e l’uscita della Serracchiani, hanno pesato come un macigno, alimentando dei dubbi e rendendo la discussione molto più complicata di quanto era prima”. “Rispetto all’impegno che le istituzioni ci hanno dato nel realizzare questo accordo, le responsabilità che si palesano in questo caso sarebbero gravissime”. Il peso della partita secondo i sindacati “è tutto sulle nostre spalle. Siamo sovraesposti su una richiesta che non abbiamo fatto iniziare noi. Il gioco è tutto politico”.

Le ragioni del no

“Se passa il no allora torniamo al tavolo”. Con queste parole Thomas Trost della Cgil ha manifestato le intenzioni degli operai che voteranno contro l’accordo. “Discutiamone con un po’ più di buon senso, così da risolvere una situazione che altrimenti diventerebbe incontrollabile per tutta la città”. Secondo la Cgil “le istituzioni sono complici di quello che sta succedendo e non crediamo che nel caso dovesse vincere il no, (non è sicuro che in quella occasione si debba riaprire il tavolo ndr), il cavaliere Arvedi si permetterebbe di lasciare in strada tutte le persone. Pensiamoci bene e diciamo la verità”.

Sempre secondo Trost infine “con degli impegni già presi dalle istituzioni la proprietà non penserebbe di mandare all’aria tutto, perdendo soldi pubblici”.

Il referendum

Un risultato referendario tutt’altro che scontato quindi, in quella tre giorni che vedrà i lavoratori dello stabilimento di Servola recarsi alle “urne” nelle giornate di giovedì 9, venerdì 10 e lunedì 13 gennaio. Nonostante le rassicurazioni del fronte del sì fatte a margine della conferenza stampa indetta la scorsa settimana, la sensazione percepita fuori dallo stabilimento di via San Lorenzo in Selva è quella di un’incertezza evidente. Ci sono sì silenziosi, pesanti affermazioni nei confronti della politica e la fretta di chi non ha tempo per parlare alla stampa “perché devo ‘ndar cior la fia a scola alle quattro e mezza”.

In “La classe operaia va in paradiso”, dietro al tentativo di buttare giù il muro a testate, Militina trovava una nebbia fitta, in cui erano immersi altri operai, compreso lui. Presagio delle nubi di gennaio sui palazzi romani o più banalmente, fotografia di un tempo che non esiste più? Forse il referendum risponderà a questa domanda, o forse no.  

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