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L'anniversario

Il liberatore di Malo, i 100 anni della nascita di Luigi Meneghello

Nel giorno del suo compleanno Riccardo Cepach ricorda il grande intellettuale veneto con un omaggio e delle parole "che sgorgano dal cuore. Ma sgorgano sgorgano o irrorano o stillano?"

Amo Luigi Meneghello di un amore che è quasi imbarazzante. Nel senso che se oggi, giorno del suo centesimo compleanno, lui fosse tutt'ora al caso di incontrarmi e avessi l'occasione di rendergli omaggio sarei probabilmente in imbarazzo a confessargli la forza del sentimento di ammirazione che ho per la sua opera. E resterei in silenzio. Approfitto quindi dell'immeritata fortuna del postumo per dire poche parole che mi sgorgano dal cuore.

Ma già qui però mi fermo, quasi mi impappino. Comincio a chiedermi se sgorgano davvero o se non è che proprio sgorgano sgorgano. E se sgorgano come? Irrorano o stillano? Fluently, guttatim o proprio che dio la manda? Perché l'opera di Meneghello è molte cose assieme, e tutte importanti. C'è la ricchezza e l'esattezza del linguaggio, con quel gusto della nominazione che è precisione assoluta, chirurgica, individuazione di quell'unica parola che lì serva e funzioni. C'è il plurilinguismo, che coinvolge innanzitutto le diverse parlate di Malo, il paese natale in provincia di Vicenza – perché c'è differenza fra il dialetto di Malo alta e quella di Malo Bassa, e vuol dire – ma anche le lingue via via incontrate nel corso della vita a partire dall'inglese del suo dispatrio, della sua professione di insegnante all'università di Reading.

E naturalmente c'è l'antiretorica, quella che i Piccoli maestri,  cioè lui e i suoi compagni della brigata partigiana, dicevano che lassù in montagna “vigeva”, con un vivo senso umoristico – anti-antiretorico direi – di ciò che significava dirlo allora, in quel contesto, a quegli interlocutori. Leggendo i suoi libri capisci che non è un giochino: è l'espressione di un vero pudore nell'evocazione di sentimenti e passioni, che costringe sempre a interrogarsi sulla loro autenticità, a rispettare precisi protocolli igienici nell'esternare un'emozione, per non danneggiarla anzitutto, e poi per non addentrarsi in un paesaggio di passioni finte che si alimentano le une con le altre finché uno non sa più chi è, cosa pensa e cosa sente.

E però non è un filtro che edulcora e soffonde, sfuma e attutisce. No. È un indice di serietà. Il segnale che se poi, tutto soppesato e sentito, uno dice che sgorga vuol proprio dire che sgorga. E se dice che ama vuol dire che ama. E allora va detta. Va detta tutta. Con le parole che servono, senza paura. Meneghello è stato forse il primo a chiamare la Resistenza “guerra civile”, quello che è stata. E quando leggi in Bau-Sète che il protagonista, nell'immediato dopoguerra incontra un compagno sceso in paese per fare un eccidio, capisci che usare certe parole solo per stigmatizzare l'azione degli avversari e mai per definire le proprie, non solo non è fair ma conduce alla fine a tradire sé stessi, a costruire una nuova retorica che si sostituisce a quella preesistente. Se dice eccidio è perché quella cosa si chiama eccidio. Poi vediamo chi, come, cosa e i perché.

Ecco, quando penso ai libri meravigliosi di Meneghello, a partire da quel fulminante Libera Nos a Malo che ho sentito nominare per la prima volta da Francesco Guccini, tanti anni fa, in una intervista, penso prima di tutto a questa tremenda serietà del suo lavoro letterario, il senso di responsabilità che avverti in quella narrazione. Qualcosa che viene dalla sua materia, l'epos del suo villaggio, le sue figure e le sue vicende, naturalmente sottoposte al minuzioso esame di verosimiglianza degli amici e dei compaesani – il pubblico più difficile e più sensibile, quello capace di azzuffarsi su un quarto di tono di verità – e che forse per questa via, chissà, diventa habitus e forma mentis: solo l'esattezza e la serietà salvano, uomini e libri.

D'altra parte Meneghello è uno scrittore vivamente serio nel comporre un'opera mortalmente comica, nel senso che conosce e sfrutta tutta la potenza dell'umorismo, ordigno micidiale che da una parte smonta ogni retorica e dall'altra costruisce il senso di una comunità che non è, attenzione, quella di chi è nato in pieno fascismo nell'alto vicentino, è cresciuto in quella comunità linguistica, ha fatto la Resistenza ecc., ma una comunità più ampia, che si riconosce nelle sue parole e nel suo modo di guardare alle cose e alle persone. E gli fa un po' ridere.

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