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Adrenalina al Rossetti con le scioccanti “Anomalie” di Mauro Covacich

Emozioni forti in platea con i tre racconti dello scrittore triestino, ambientati nel conflitto dell’ex Jugoslavia e riadattati per le scene con la regia di Igor Pison

Una sala Bartoli messa a “ferro e fuoco” alla prima nazionale di “Anomalie” al Rossetti il 28 febbraio. I tre racconti dell’omonima antologia di Mauro Covacich, ambientati durante il conflitto dell’ex Jugoslavia e riadattati per le scene dalla regia di Igor Pison, hanno gettato il pubblico in una trappola di filo spinato dall’inizio alla fine. Esplosioni a sangue freddo, urla dal silenzio e mirini puntati sulle poltrone hanno aiutato a mantenere alta la tensione, ma non quanto l’arma più micidiale in scena: la scrittura di Covacich.  

I più conoscono lo scrittore triestino per romanzi quali “L’amore contro” e “A perdifiato”, che esplorano i lati più morbosi e rivoltanti in un contesto di quotidianità, ma in questa opera poco nota il percorso è inverso e, appunto, “anomalo”: in un’ambientazione di per sè catastrofica spicca e commuove un’umana tensione verso la quotidianità.

Nel primo racconto vediamo le fissazioni voyeuristiche di un cecchino, dove le fantasie sessuali diventano il solo anelito vitale in un’inferno di fantasmi e morsi di coscienza. Il secondo capitolo è dedicato a un gruppo di giovani, che fanno colpo sulle ragazze tirando a canestro, ma anche schivando pallottole e granate. Lo sforzo di inscenare la normalità durante la guerra è rappresentato da estenuanti piegamenti a terra, (per gli attori una grande prova fisica, oltre che interpretativa) in un mondo dove la bravate degli adolescenti diventano teneri atti di eroismo che mostrano le natiche a un destino inevitabile.

E poi l’atto finale e più riuscito, che concentra in una piccola stanza l’essenza stessa della guerra. Due soli protagonisti: una giovane coppia mutilata nel fisico e nel futuro, conseguenza collaterale dell’odio tra popoli e religioni e degli interessi economici internazionali. Un fardello ben retto dalle giovani spalle di Filippo Borghi e Federica De Benedittis, che hanno dato vita alle contraddizioni di un amore, a suo modo, shakespeariano.
Buona anche l’interpretazione di Riccardo Maranzana nella parte del tiratore scelto (che ha privilegiato il peso della colpa rispetto alla psicosi dell’omicida) e Andrea Germani ha dimostrato doti di trasformismo nei due ruoli assegnati: il capitano e il diciottenne Vlado.

La regia di Igor Pison, dinamica ma non eccessiva, ha dato intensità e generale coerenza a tutte le interpretazioni. Molta azione in scena nei primi due episodi, che hanno messo in risalto la vibrante staticità dell’ultimo. Uno spettacolo in tre fasi, che ricalcano il percorso di molte guerre: prigionia, resistenza e abbandono. Un ritmo che ricorda quello di un respiro agonizzante, un crescente accumulo di tensione che si disperde nell’unico modo possibile: nel riversarsi delle viscere sull’asfalto e nell’abbandono di ogni speranza, la prima vittima di qualunque guerra.

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