Al Rossetti va in scena "Minetti", uno spettacolo dedicato al teatro e all'arte dell'attore
«Al centro di “Minetti” c’è il teatro e l’arte dell’attore, il suo senso, la sua necessità, la sua radicalità di fronte al mondo» sottolinea Marco Sciaccaluga a proposito del testo di Thomas Bernhard, che ha allestito affidando il ruolo del titolo – importantissimo banco di prova per i grandi maestri della scena – a uno dei massimi artisti italiani, Eros Pagni.
“Minetti” arriva al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per la Stagione della Prosa e replica dall’8 al 12 marzo alla Sala Assicurazioni Generali. Il pubblico dello Stabile ha sempre apprezzato molto questo raffinato interprete, che – per citare solo le stagioni più recenti – ha letteralmente stregato la platea ne “Il Sindaco del rione Sanità” e prima in “Misura per misura” e in un indimenticabile “Aspettando Godot”. Naturale, dunque, per lui, confrontarsi – e con straordinari risultati, lodati all’unanimità da pubblico e critica – con il personaggio con cui Thomas Bernhard fece omaggio a Bernhard Minetti, il maggiore interprete del teatro tedesco del dopoguerra.
Al centro del plot è proprio un anziano attore: è la notte di San Silvestro, ad Ostenda il clima festoso invade rumorosamente le strade, nonostante una copiosa nevicata. Nella hall di un albergo, Minetti ha appuntamento con il direttore del Teatro di Flensburg che – scopriremo – gli ha proposto di recitare, dopo trent’anni d’assenza dalle scene, in un ruolo da lui fortemente desiderato, quello di Re Lear. Per questo, l’anziano attore porta già con sé in valigia, la maschera di Lear – con cui si esercita da anni, quotidianamente, a dare vita al personaggio – e una raccolta di vecchie recensioni: ciò che di polveroso e povero rimane, di un’arte tanto vitale, mutevole e complessa… Nella lunga attesa Minetti parla di sé, del suo passato, dell’arte, delle frustrazioni e dei sogni, del senso del teatro, della durezza della realtà… È polemico, rabbioso, ma anche solo e profondamente toccante. Si rivolge talvolta a chi passa nella hall: personale di servizio, una giovane cliente, gente per lo più festosa, chiassosa, stonata rispetto alla sua tensione emotiva. Lui non sembra avere bisogno delle loro risposte, nemmeno quando diviene chiaro che l’attesa è vana, che non sarà mai Lear. Scritto nel 1976 e messo in scena per la prima volta a Stoccarda per la regia di Claus Peymann (direttore del Berliner Ensemble, che si è dedicato più di ogni altro alla drammaturgia bernhardiana), “Minetti” è molto interessante da diversi punti di vista. Lo è per la concezione e la scrittura: basti pensare all’emblematico protagonista, così circondato dall’assenza di senso, così privo di prospettive positive, così ossessivo nel suo isolamento e nei rituali in cui si rifugia per sentirsi vivo.
Particolarmente significativa è anche la struttura dei dialoghi, non basati su un vero “scambio”: sono più un’occasione data a Minetti per ruggire i propri sfoghi, fra il comico e il tragico. Stimolante è poi la riflessione sull’arte compiuta dall’autore, in questa ed in altre opere. Sembra che, per certi versi, parli al teatro contemporaneo una delle invettive che sentiremo pronunciare a Minetti-Pagni: «Il mondo pretende di essere divertito, e invece va turbato, turbato, turbato/Ovunque oggi ci volgiamo,