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La recensione

Emozione contagiosa e precisione: il ritorno trionfale della Gustav Mahler Jugendocrhester al Verdi

Lunghi applausi per la Gustav Mahler Jugendorcheste al teatro Verdi di Trieste. La recensione di Dejan Bozovic

Diciotto anni fa, Claudio Abbado ha diretto la Gustav Mahler Jugendorchester, da lui fondata nel 1987, in un'indimenticabile esecuzione della Sinfonia n. 9 di Mahler al Teatro Verdi di Trieste, completamente esaurito per l'occasione, come era prevedibile, considerata la caratura artistica dell'evento. La compagine internazionale formata esclusivamente dai giovani musicisti, scelti annualmente alle audizioni organizzate in venticinque città europee, è annoverata ormai tra le massime eccellenze musicali, regolarmente presente nelle sale più prestigiose del panorama mondiale. La lunghissima lista dei personaggi con cui ha collaborato sin dall'inizio rappresenta un ampio e piuttosto esauriente Pantheon dei maestri e solisti contemporanei, ed è uguagliata dall'elenco delle più eminenti orchestre in cui i professori della GMJO continuano le loro carriere. Recentemente, insieme a Vienna, Lisbona, Bolzano, Pordenone è diventata la città residenziale dello straordinario organico, finalmente tornato al “Verdi” triestino nell'ambito della consueta tournée che ha avuto tappe anche a Salisburgo, Dresda, Amsterdam e Firenze.

Sarebbe interessante capire quali dinamiche, successe nel capoluogo giuliano negli ultimi diciotto anni, abbiano causato l'evidente scarsità numerica del pubblico per un evento di tale pregio, ma questa sorprendente macchia viene assolutamente dissipata dal fervente e luminoso successo della serata. La galvanizzante sensazione che tutte sarebbe andato per il migliore dei versi si palesa insieme alle prime battute della Sinfonia n. 3 di Franz Schubert che apre il programma al “Verdi”. Ed ecco riapparire una domanda che sfiora l'incredulità, rimanendo ogni volta priva di una risposta razionale: come è possibile che un nutrito gruppo di per lo più ventenni, ottimamente preparati, sì, però uniti in un ensemble che già dopo un anno cambia quasi totalmente la struttura, possa essere trascinato con apparente facilità e naturalezza alle vette interpretative, offrendo delle emozioni tanto incisive ed avvolgenti da protrarsi anche decenni dopo averle vissute?

Il primo brivido deriva da una precisione che ha un'aura di inverosimile. Anche nei passaggi più complessi, le entrate e le chiusure delle rifinitissime frasi, affidate alle varie sezioni o agli assolo, sono impeccabili, immacolate. Questa affascinante puntualità conferisce un'amena e dilettevole eleganza al pezzo schubertiano, tuttavia spicca ancor di più nella particolarmente esigente Sinfonia n. 2 di Jean Sibelius, ascoltata nella seconda parte. Non meno seducente è la qualità del suono. Omogeneo, compatto, idealmente calibrato, estremamente duttile e sinuoso nel piegarsi alla profusione delle metamorfosi dinamiche ed evocare minuziosamente ogni sfumatura cromatica, a volte assume i tratti vocali piuttosto che quelli strumentali. Sostenuta da un simile effetto sonoro, la narrazione si fa vivida e vitale, pregna di suggestioni scandite da opportuni cambiamenti umorali e spirituali.

Dando appositamente la precedenza ai giovani – l'idea con cui Abbado si è dedicato alla fondazione e guida della GMJO – lasciamo per il finale gli apprezzamenti rivolti al maestro finlandese Jukka-Pekka Saraste, il quale ha sostituito nel tour il più anziano collega Herbert Blomstedt a causa di un infortunio. Saraste è un grande affabulatore, traspone con immancabile istinto da disinvolto intenditore il contenuto del pentagramma in un atto teatrale o nei versi poetici, nel drammatico raccoglimento, nella struggente malinconia oppure in una spensierata e gioiosa ilarità. Empatico nei confronti dei compositori, altrettanto sensibile nel captare le esigenze dei musicisti, il maestro viene salutato con le lunghissime ovazioni sia da loro sia dal pubblico, che seppure non numeroso, con ardore e gratitudine suggella l'esito trionfale dell'evento.

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