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Teatro

Continuano le “Lezioni d’opera” al Verdi: intervista al maestro Francesca Tosi

«Il pubblico sarà trasportato dell’elemento fondamentale che è la musica, passando agilmente da un’epoca all’altra come se assistesse a più spettacoli insieme»

Continuano le “Lezioni d’opera” al Verdi, incontri musicali dedicati ai neofiti  (ma anche a tutti gli amanti) del melodramma. Nella sontuosa cornice della sala Victor de Sabata, la maestra del coro del teatro Verdi Francesca Tosi dirigerà l’orchestra e i tre solisti (il soprano Ilaria Zanetti, il tenore  Motoharu Takei e il baritono Fumiyuki Kato) in un viaggio antologico nel repertorio dei compositori più amati e rappresentati. Saranno eseguite quindi arie molto popolari ma non mancheranno le “chicche” nascoste: brani poco conosciuti ma di grande qualità e immediatezza.
Il maestro Francesca Tosi introdurrà la musica con degli interventi esplicativi, che favoriranno un ascolto consapevole anche agli ascoltatori che si affacciano al genere per la prima volta. Il ciclo sarà composto da altre cinque serate: il 30 giugno, e il 1, 6, 7 e 8 luglio, sempre alle 18.

In attesa della prossima rappresentazione (sabato 30), il direttore ci illustra il ricco programma della serata: «Inizieremo con Mozart: l’ouverture delle “Nozze di Figaro”, l’apertura di una delle più belle opere che siano mai state scritte, e poi eseguiremo un’aria del peronaggio di Susanna  (quella in cui, travestita da contessa, canta una serenata al conte per ingelosire Figaro). Poi passeremo a Rossini, il cosiddetto “Mozart italiano”, di cui presenteremo una delle sinfonie più belle: quella tratta dalla "Semiramide", e poi passeremo alla sua opera più conosciuta: “Il barbiere di Siviglia”, prima con la cavatina di Figaro “Largo al factotum”, e poi all’aria di Berta “Il vecchiotto cerca moglie”».

Una scelta originale, forse l’unico pezzo malinconico e autoironico in un’opera buffa
«Il nostro obbiettivo è anche quello di far conoscere delle pagine meno eseguite ma di grande effetto, in questo caso vediamo un personaggio anziano e dolorante che è ancoraa pervasa da grandi pulsioni erotiche, un contrasto dolceamaro che a Rossini piaceva molto. Una scelta d'originalità l’abbiamo fatta anche con la sinfonia di Giovanna d’Arco di Verdi, bellissima e troppo spesso sottovalutata, un Verdi ancora giovane ma già pieno di quel vigore che tutti hanno imparato ad amare. Di lui eseguiremo anche la struggente “Parigi o Cara”, da “La Traviata”: quando i due amanti si illudono di poter vivere un futuro che non ci sarà mai. Di Bellini invece eseguiremo la “sinfonia dei Capuleti e Montecchi”, e non mancherà la “Furtiva lagrima” di Donizetti. E infine un bis a sorpresa: una chiusura leggera, che ricorderà a tutti un famosissimo film. Non ci sarà palcoscenico nè costumi, e il pubblico sarà trasportato dell’elemento fondamentale che è la musica, passando agilmente da un’epoca all’altra come se assistesse a più spettacoli insieme».

Come descrive il passaggio dalla direzione del coro a quella dell’orchestra?
«Non c’è incompatibilità tra le due, quando dirigo il coro devo basarmi sulla tecnica vocale, che è unica per tutti gli elementi.  L’orchestra è composta da strumenti differenti e ognuno di essi ha una tecnica peculiare. L’ideale a cui il direttore deve tendere è conoscerle tutte alla perfezione, e il mio compito è quello di fonderle tutte assieme».

Si è abituati, ingustamente, a considerare il direttore d’orchestra come un mestiere maschile. Quanto è ancora difficile per una donna farsi strada in questo ambito e in questo paese?
«Stanno cambiando molto le cose, mi piace partire da questo principio. Cambia l’atteggiamento negli ambienti, non solo la musica ma tutti quelli in cui si parla di direzione, sia d’orchestra che d’azienda. Tuttora ci sono delle differenze da abbattere: la retribuzione di una donna resta spesso più bassa di quella di un uomo.  Per fortuna ho la felicità di scoprire che c’è una rivoluzione culturale in atto: sempre più ragazze scelgono ormai facoltà scientifiche che una volta erano appannaggio degli uomini. A questo proposito mi viene in mente Rita Levi Montalcini, che amava circondarsi di ricercatrici donne perché intuiva che in futuro la società avrebbe riconosciuto le qualità intellettuali delle donne, non solo quelle emotive».

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