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L'Orchestra del Teatro Verdi diretta dal maestro Anissimov entusiasma con le pagine russe

Dopo il successo del “Boris Godunov” la Fondazione lirica triestina propone la fortunata serata inserita nel cartellone concertistico

Dopo il successo del “Boris Godunov”, un concerto dedicato ai tre compositori le cui vite ed opere erano legate a Mosca, il Teatro Verdi chiude il “capitolo russo” della propria Stagione. Considerate le entusiastiche reazioni del pubblico, forse la Fondazione lirica triestina potrebbe cominciare a pensare di inserire nel cartellone un maggior numero di autori e titoli ritenuti, per qualche inspiegabile motivo, poco accattivanti e questa decisione dovrebbe riguardare anche la produzione del ventesimo secolo, giacché due dei tre artisti proposti nella serata nacquero nel '900. 

Sul podio ritroviamo Alexander Anissimov che sa come trasmettere il proprio entusiasmo e la internazionalmente affermata conoscenza del repertorio russo all'orchestra, la quale lo segue con ispirazione, energia e diligenza. Si comincia con la brevissima Ouverture da La chovanščina, l'incompiuta opera di Musorgskij, giusto per abbozzare le atmosfere ed introdurre alcuni stilemi che in qualche modo distinguono la musica colta nata nel più ampio Paese slavo, per quanto diversi siano i percorsi esistenziali e creativi dei personaggi che la rappresentano.

Al brano del perennemente tormentato Musorgskij, prematuramente scomparso esattamente trentasei anni prima della fine dell'Impero, segue il Concerto in re minore di Aram Khačaturjan, di nascita armeno, il quale invece visse per lo più beatamente ed in sintonia con il governo comunista sovietico. Tale serenità trapela abbastanza chiaramente da quasi tutte le sue composizioni e questo pezzo scritto per il celeberrimo David Ojstrach non rappresenta certamente un'eccezione. A metterne perfettamente in risalto sia l' estro lirico ed una soave nostalgia di tinte etniche sia il prorompente vigore ritmico e la vitalità virtuosistica è un'inappuntabile Anna Tifu, equamente ammirevole nel cantabile e negli slanci di archeggio brillante, in cui la violinista sarda non vede i meri mezzi per la prolificazione degli straordinari fuochi d'artificio tecnici, bensì una parte fisiologicamente integrata nella narrazione. La fusione dell'agilità ed espressività appassiona la platea che reclama due fuori programma.

La seconda parte è nel segno di Šostakovič che dopo le demenziali critiche rivolte da Stalin in persona alla sua “Lady Macbeth del distretto di Mcensk”, temendo per la propria vita e quella dei suoi cari scrisse in segno di “pentimento” e come tentativo di una “riconciliazione” la meravigliosa Sinfonia n.5 in re minore. Il regime ed il popolo le serbarono un'accoglienza trionfale, non ravvisandovi né la profonda sofferenza dell'autore né tanto meno la feroce ironia nei confronti del regime. Il maestro Anissimov, invece, le evidenzia accuratamente entrambe, erigendo una struttura compatta e levigata in tutti i punti di ogni sfaccettatura, iridescente nella ricchezza coloristica e nella tavolozza dinamica spaziante dagli impercettibili tappeti sonori alle eroiche deflagrazioni sempre nei limiti di un ottimo gusto.

L'organico, prima apprezzato dialogante con la solista, ora diventa un protagonista di elevata caratura, immerso nelle pagine con genuino trasporto, esemplare negli equilibri e suggestività timbrica. Si distinguono tutte le sezioni, in maniera particolarmente incisiva le prime parti dei legni e il primo corno, mentre una menzione speciale va alla spalla Elia Vigolo.

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