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La storia

"Per fare il vino la pazienza non è più di moda, ma noi aspettiamo lo stesso"

A parlare è Branko Cotar, viticoltore di Gorjansko che nella giornata del 6 aprile sarà presente a Teranum, appuntamento sui vini rossi del Carso in programma a Trieste e dove si incontrano appassionati e addetti ai lavori. "

GORJANSKO (Slovenia) - "Io non ho storie, il mio vino è la mia storia". A Gorjansko, dove la terra rossa del Carso accoglie le salme di migliaia di soldati austroungarici morti durante la Grande guerra, la virtù più importante è quella di attendere l'arrivo della stagione giusta. "Per fare il vino la pazienza non è più di moda - racconta Branko Čotar dell'omonima cantina - ma noi aspettiamo lo stesso". Nasce da lontano la storia di questa azienda che ad oggi esporta in circa 30 paesi al mondo, arrivando sulle tavole di ristoranti Michelin e, di fatto, segnando uno dei modelli vitivinicoli che si sono sviluppati negli ultimi cinquant'anni sull'altopiano alle spalle di Trieste. 

"O xe bianco o xe rosso"

"Vitovska, malvasia, pagadebiti, glera e klarnica, questi erano i vigneti misti che si trovavano in Carso una volta. Solo negli anni Ottanta, perché lo chiedeva il mercato, si è iniziato a fare anche Chardonnay e Sauvignon. Ma oggi abbiamo buttato fuori tutto, non facciamo più". La prima bottiglia venduta è del 1981. "L'annata è quella precedente - continua Branko -, l'abbiamo venduta nel ristorante di famiglia qui in paese. Avrò ancora forse dieci bottiglie. E' un vino perfetto, arancione e con sedimenti". Non è orange, né evoca denonimazioni diverse, per il semplice fatto che sul confine le cose, a volte, appaiono più semplici di quanto sembrino. "Qua in Carso o xe bianco o xe rosso" spiega. Nasce (quasi) tutto da zero, quassù. Si inizia producendo vino sfuso per il ristorante, poi, da cosa nasce cosa e il nome sboccia sul mercato.

Il mercato: il 90 per cento va in giro per il mondo

Nove ettari oggi, quasi 20 vigneti, per una produzione di quattro bianchi, quattro rossi e due spumanti. "Qui è sempre un casino con la terra. Vedi lassù, abbiamo portato 1800 camion di terra". Cotar ricorda il numero complessivo con precisione. "Dodicimila in totale", un numero di camion tale da obbligare chinuque, a Gorjansko, a vivere sempre con i piedi ben piantati per terra. Le esportazioni raggiungono il 90 per cento della produzione. "Giappone, Corea, Taiwan, Russia, Canada, Stati Uniti, Brasile e Messico. Poi tutta l'Europa". L'Italia rappresenta un terzo del suo mercato. "Quale vino mi piace di più? Tutti, ma dipende da cosa mangio". Dopo il CoViD-19 gli italiani (tanti i triestini) hanno smesso di raggiungere il ristorante di famiglia. "Qualcosa è cambiato, adesso è diverso, ma forse tornerà, non so". Al di là dei dubbi, la parlata è vivace e il vino del Carso - come tutti i vini - ha la capacità di dare una mano alla timidezza. 

"La pazienza non è da tutti"

"All'inizio è stata dura far vino qui - racconta -, perché la pazienza non è da tutti". L'aspettare la stagione giusta, però, fa sì che l'uomo possa ricordare e far leva sulla memoria, essa stessa l'attesa. "Quindici anni fa è venuto qyui da noi uno chef stellato. Non mi ricordo cosa avesse preso quella volta, ma qualche giorno fa mi ha mandato una mail e ha lasciato il suo numero di telefono. Lo chiamo e si stupisce del fatto che ricordassi. Certo che ricordo, gli ho detto, non ho dimenticato niente. Poi mi dice che vuole comprare Sauvignon, ma gli rispondo che ho anche altre bottiglie, forse anche più buone. Non ti dico i prezzi, né a chi l'ho mandato, ma ti basterà sapere che questa è la mia storia. Dico quello che è la mia vita. Il vino è la mia storia, nient'altro". 

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