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70. Trattato Pace: dialogo e testimonianze abbattono silenzio

Trieste, 10 febbraio - Il valore della memoria, la forza del dialogo anche fra chi in passato la pensava in maniera opposta e un'analisi attenta sul piano giuridico e diplomatico su ciò che comportò la firma di quell'accordo per l'Italia.

Questi i temi e gli obiettivi, ricordati dal presidente dell'Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, del ciclo di conferenze che si è aperto oggi con il convegno "Il Trattato di Pace, settant'anni dopo. Aspetti giuridici, politici e diplomatici di un diktat", promosso dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dalla stessa Unione degli Istriani, in collaborazione con l'Iniziativa Centro Europea (Ince) e il Comune di Trieste.

E' stato l'ex sottosegretario di Stato, Roberto Antonione, in qualità di moderatore dell'incontro, a introdurre i lavori parlando del processo di stabilizzazione previsto al Trattato di pace e pagato dall'Italia ad un prezzo molto alto, proprio in virtù della perdita dei territori dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Una storia, ha poi testimoniato il segretario generale dell'Ince, Giovanni Caracciolo, di cui ancora oggi non si ha una sufficiente conoscenza non solo in Italia, ma neanche in Europa. Caracciolo poi ha ricordato il ruolo dell'Ince di promozione del dialogo proprio fra i paesi dell'ex Yugoslavia, per la costruzione e il rafforzamento di quella casa europea che ha dimostrato di avere la forza di mantenere la pace e impedire che i drammi del passato non si ripetano più.

Da parte sua, Lacota, dopo aver espresso un ringraziamento alla Regione per la decisione annunciata da Serracchiani di dichiarare il Museo di Carattere Nazionale del Centro Raccolta Profughi di Padriciano quale Bene di interesse storico-culturale, ha messo l'accento anch'egli su quella mancanza di conoscenza dei drammi dell'esodo e delle foibe generata dal silenzio, soprattutto nei libri di testo scolastici.

Anche per questo motivo è stata salutata dal pubblico presente al convegno con un caloroso applauso la presenza di un gruppo di studenti siciliani accompagnati dai loro docenti.

Di una sofferenza che si è estesa per più di un decennio, dal 1943 fino alla fine degli anni 50', ha parlato il ministro plenipotenziario Francesco Saverio De Luigi, il quale ha citato, collocandoli all'inizio e alla fine di quell'asse temporale, due episodi tanto dolorosi quanto simbolici: la barbara uccisione della giovane studentessa Norma Cossetto e la morte per il freddo nel Campo di Padriciano della piccola Marinella Filipaz.

A chiudere gli interventi e a tirare le conclusioni del convegno è stata chiamata la giornalista di Repubblica, Alessandra Longo, triestina d'origine, la quale ha sottolineato le sue profonde radici con queste terre di confine.

Il ricordo della frontiera a pochi chilometri da casa, le torrette militari, il lasciapassare per andare dall'altra parte dove "anche il gelato aveva un altro gusto".

Ma oltre questi ricordi, l'idea di una città bloccata da quelle che Alessandra Longo ha definito "le tossine del '900". L'esistenza quindi di due memorie diverse, due spazi non comunicanti fra loro all'interno dei quali ognuno coltivava le proprie sofferenze e i propri rancori.

Due comunità separate da un muro che adesso non c'è più, perché tutti i muri alla fine, ha detto Alessandra Longo, sono destinati a cadere.

A tal riguardo la giornalista ha citato due episodi dell'attualità che dimostrano la possibilità di superare le divisioni della storia, anche le più profonde: l'abbraccio della figlia del podestà di Schio al partigiano, oggi novantenne, che le uccise il padre e la riconciliazione avvenuta pochi giorni fa a Porzus fra i partigiani dell'Osoppo e l'Anpi.

"Queste terre - ha concluso Longo - possono adesso svolgere un ruolo importante, in quanto noi che ci abbiamo vissuto e che ci viviamo abbiamo il valore aggiunto di un'esperienza negativa che può diventare testimonianza". ARC/GG/fc
 

 



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