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Ferriera: incertezza sul piano industriale di Arvedi, atteso tavolo a Roma

Dubbi e paure sulla riconversione dell'area a caldo sono emerse in Consiglio comunale all'audizione degli assessori Rosolen e Scoccimarro, che ammettono come il piano non fornisca risposte chiare alle problematiche occupazionali e a una tempistica poco credibile. I sindacati: "E'una chiusura mascherata"

Mercoledì 20 è previsto un tavolo tecnico al MISE relativamente alla riconversione dell'area a caldo della Ferriera, un incontro su cui si fa grande affidamento viste le perplessità condivise sulle tempistiche e le problematiche occupazionali. Lo hanno dichiarato gli assessori regionali Alessia Rosolen (lavoro) e Fabio Scoccimarro (ambiente) durante un'audizione in Consiglio Comunale. Convocato anche l'assessore alle attività produttive Bini, che non si è presentato per motivi istituzionali. Nell'illustrare il piano industriale di Arvedi per la riconversione dell'area a caldo Rosolen ha dichiarato che “il piano ha quattro punti, di non sempre chiarissima comprensione né per quanto riguarda la questione occupazionale né per l'entità dell'investimento”. Questi i punti: “La chiusura dell'area a caldo, di cui dovrebbe occuparsi direttamente Arvedi, il rilancio dell'attività logistica, il potenziamento dell'area a freddo e la riconversione centrale di energia elettrica, collegata al processo di decarbonizzazione”.

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“La questione occupazionale – ha dichiarato l'assessore - è al centro del tema e anche il ministro Patuanelli, nel corso del primo tavolo al MISE ha dichiarato l'impegno in questo senso. Diversi altri tavoli sono previsti nei prossimi giorni”. Rosolen ha poi dichiarato il suo impegno a “presentare la richiesta di ricognizione e definizione degli strumenti disponibili per affrontare la crisi industriale complessa e quelli che sono stati compiuti finora”.

Sono poi intervenuti i rappresentanti sindacali dei lavoratori, tra cui Umberto Salvaneschi della Fim Cisl: “Abbiamo sentito un quadro che non ci dà alcuna chiarezza a distanza di 42 giorni dalla dichiarazione di Arvedi. A livello occupazionale la situazione è preoccupante: 75 operai sono stati intervistati per cambiare ruolo e trasferirsi a 50 – 60 chilometri da Trieste. 18 di questi posti sono stati mantenuti grazie all'intervento dell'assessore Rosolen e dei sindacati ma 5 persone non hanno voluto cogliere l'opportunità perché mancavano le condizioni e le certezze necessarie”.

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Secondo Marco Relli di Fiom Cgil “dopo tutti questi anni questo è il peggior momento per chiudere la Ferriera. È sotto gli occhi di tutti la crisi della siderurgia nazionale. Non c'è solo il discorso economico: non possiamo lasciare che tutta la siderurgia venga comprata da paesi dove questioni ambientali e di diritti umani non vengono presi in considerazione. Se chiudiamo la Ferriera saremo costretti a comprare dai paesi come l'India dove ormai non si vedono più i palazzi a causa dell'inquinamento. Noi dobbiamo produrre a casa nostra in maniera compatibile con ambiente”.  Perplessità da parte del sindacalista anche sull'impianto a freddo, che “non ha garanzia di tenuta sul mercato. Questa non è una riconversione ma una dismissione mascherata”.

Così Antonio Rodà (UIL): “Rischiamo a Febbraio di non avere più altoforni in Italia, l'acciaio è fondamentale per fabbricare le navi e Fincantieri è una parte importante della nostra economia”. Secondo l'esponente UIL l'azienda “ha approfittato di una discussione politica per, di fatto, intraprendere un quadro di chiusura. Il termine per la chiusura delineato dall'imprenditore è dicembre - febbraio, quindi è già cominciata la chiusura reale, siamo già in dismissione”. Sottolineato da Rodà anche il fatto che “non possiamo partire dagli esuberi per creare il piano industriale. Il percorso da fare è inverso, viene prima il piano industriale poi quello occupazionale. Bisogna sensibilizzare l'imprenditore a non creare situazioni che generino caos”.

Dopo le organizzazioni sindacali sono intervenuti i consiglieri, che hanno espresso ammirazione per l'intervento degli assessori regionali, tra cui Paolo Menis (M5S): “Rosolen ha inquadrato bene la situazione. Tutte le istituzioni politiche devono vigilare sulla fattibilità del piano industriale in ogni sua fase, perché non possiamo pagare prezzi che non siamo in grado di pagare”.

Secondo Vincenzo Rescigno (Lista Dipiazza) una soluzione potrebbe trovarsi nella logistica e nella portualità: “La nostra città vive uno straordinario momento per la portualità, c'è la grande opportunità della piattaforma logistica da 14 ettari, che è quasi pronta. È necessario ancora un raccordo stradale per immettersi nella grande viabilità e una connessione ferroviaria. A quel punto avremo un grande contenitore occupazionale a disposizione”.

Non d'accordo l'esponente di Italia Viva Antonella Grim: “Il comparto industriale a Trieste comprende circa 14mila persone e negli ultimi mesi la città sta vivendo diverse crisi industriali, c'è una oggettiva stagnazione mercato del lavoro che non dipende da chi governa ma da stravolgimenti epocali. Il sindaco riconosce la difficoltà ma non può pensare che i lavoratori della Ferriera vadano a lavorare nel turismo o nella logistica. Scopriamo oggi che dobbiamo appena capire se questo piano industriale sarà possibile e compatibile con attività portuale. Si rischia un percorso di bonifica che non vedrà un termine e una crisi occupazionale che la città non può permettersi. In questi anni questo drammatico momento è stato accompagnato da alcune forze politiche che hanno una grave responsabilità sulle spalle”.

Così la consigliera Famulari (PD): “Ricordo che due mesi fa, durante un'audizione, l'assessore Scoccimarro affermato che a Trieste non c'era una crisi industriale, ora ci troviamo a questo punto. La giunta ha lavorato male e non ha gestito il rapporto con la proprietà, che andava accompagnata con prospettive industriali adeguate. Il declino del capoluogo regionale può essere salvato da porto, turismo e logistica”.

Così Fabio Tuiach (Gruppo misto): “Io ho passato questi problemi lavorando in porto: quando è stata chiusa la cooperativa primavera è stata trovata una soluzione e adesso è necessario fare altrettanto sennò scenderò in piazza insieme agli operai”.

Da parte di tutto il centrodestra è stata difesa e ribadita la necessità della chiusura dell'area a caldo portata avanti dal sindaco Dipiazza, che ha dichiarato come “In questi giorni abbiamo avviato un ottimo dialogo coi sindacati, il Sole 24 ore ha dedicato mezza pagina a Trieste. Sindaco di Milano ha detto che al momento due solo città stanno correndo: Trieste e Milano. Di fronte a una crisi galoppante internazionale del settore è stato un bene se abbiamo fatto altre scelte. Non accetto il discorso sulla responsabilità politica, ho portato Trieste ai vertici di qualità della vita”.

In conclusione l'assessore Scoccimarro ha dichiarato che la Regione “è molto scettica sui tempi della riconversione e durante il tavolo tecnico lo faremo presente”. Rispondendo poi alle accuse del centrosinistra l'assessore all'ambiente ha ricordato che “nelle scorse elezioni regionali tutti e tre i candidati convergevano sull'idea di chiudere l'area a caldo, anche le stesse forze politiche che ora dicono il contrario. Inutile adesso sostenere le idee di Greta Thunberg (peraltro condivisibili) e al contempo sostenere una fabbrica costruita nel 1800”.

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