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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Una Perenne Nekropolis ?

Lo giuro.Ho grande simpatia per le persone anziane, per l'esperienza che promana da ogni loro ruga prima ancora che per l'età e le restrizioni che la condizione impone.Boris Pahor è un grande vecchio, ce lo si lasci dire, un simpatico signore che...

Lo giuro.
Ho grande simpatia per le persone anziane, per l'esperienza che promana da ogni loro ruga prima ancora che per l'età e le restrizioni che la condizione impone.
Boris Pahor è un grande vecchio, ce lo si lasci dire, un simpatico signore che ha da un bel po' superato i novanta, portati peraltro molto bene.
E' un noto esponente della minoranza slovena presente in Italia che ne ha passate di tutti i colori nella sua vita, dalle persecuzioni del fascismo, per le sue origini, fino alla rappresentazione della sua opera Nekropolis nel tempio dell'italianità del teatro Verdi di Trieste, sempre per le sue origini, poche settimane fa.
Giuro, lo rispetto e lo apprezzo e i suoi scritti trasudano umanità; e in quest'epoca si sente tanto il bisogno di tutto ciò che porta alla coscienza dell'uomo.
La sua storia ci è nota e come talvolta accade agli autori, per anni è stato molto più conosciuto ed apprezzato altrove che non in casa propria; in questo è stato accomunato a molti altri scrittori e
purtroppo non è né il primo e non sarà neanche l'ultimo, ma questa, forse, è un'altra storia.

Uomo di grande impatto emotivo, portatore del senso della sofferenza umanizzata nel vivere quotidiano, alla luce di alcune sue recentissime prese di posizione piuttosto controverse, forse anche lui ci deve qualche spiegazione.
Pahor e la sua gente hanno patito e sofferto ed è giusto inchinarci ai misfatti della storia specie in epoca come l'attuale nella quale il rispetto, la tutela e la convivenza tra dimensioni culturali diverse
sono dati assodati, normali e pacifici.

Stiamo parlando di multiculturalità.

Mi si lasci segnalare un inciso. A me è capitato di conoscere parecchio e bene regioni italiane quali la Lombardia e quando penso alla multiculturalità mi vengono in mente Brescia, Bergamo, Varese.....
Trieste, però, ha un suo aspetto tutto specifico e che il nazionalismo del secolo passato ci sia passato sopra come un maglio ad almeno doppia mandata ne siamo tutti consapevoli.

Che la Venezia Giulia sia stata una delle zone d'Europa o del mondo più contese fra le tante parti che si sono giocate i destini a dadi con la Storia, ne siamo certi. Che la Venezia Giulia sia stata ripartita fra più stati è sotto gli occhi di tutti.
Che sofferenze, morti ed esodi siano patrimonio di questa terra è
evidente.
Che molti abbiano fatto anche l'impossibile per riportare un clima sereno in quest'angolo di mondo ne siamo convinti e questi ultimi anni hanno conosciuto iniziative e prese di posizione che non sono facili
da dimenticare, con risultati a volte timidi a volte più intensi di sicura e voluta riappacificazione tra le parti in passato contendenti.
Se dopo i decenni burrascosi ed agitati del dopoguerra tra le varie anime della nostra provincia esiste un clima sereno ed amichevole è patrimonio di ogni triestino, comunque si chiami e ovunque si riconosca.
Sono stati compiuti passi che in passato sembravano impossibili e altri ancora sicuramente ne mancano.
Le nuove generazioni dei tre stati confinanti respirano un'aria diversa? Pare di sì.
Mi spiego.

Il 13 di luglio, ultimo scorso, in piazza dell'Unità d'Italia - nome di un luogo che la dice lunga sulla location - si è tenuto il concerto del maestro Muti alla presenza di tre presidenti della repubblica:
Napolitano, Turk, Josipovic.
Un'orchestra di giovani provenienti da Italia, Slovenia e Croazia si è misurata e confrontata con le opinioni pubbliche di tre nazioni per lo sforzo di ricomporre nell'alveo della cultura le spaccature del XIX e del XX secolo. Se poi un Requiem anziché - che ne so - una Quarta di
Mendhelson fosse il repertorio più adeguato, è mistero tutto da
chiarire.
Ora, ricordo una mirabile lezione del mio docente di Storia delle Dottrine Politiche che sosteneva come la politica altro non è che un distillato della cultura.
Un concerto proposto come un primo passo di un cammino di riappacificazione di un'area, un preciso messaggio alle giovani generazioni è stato un piccolo, ma anche un importante tassello di un
dialogo e di un'azione diplomatica; diplomazia, ricordiamolo, figlia diletta della politica.
Una volontà forte e sentita peraltro del nostro presidente della repubblica, Giorgio Napolitano che molto si è speso in questi anni per riappacificare il clima e nel contempo per ricordare i drammi
avvenuti. Altrimenti non si va avanti.

Allora, posso chiedere in punta di penna - o di tastiera - una cosa al
professor Boris Pahor?
Potrei anche proporgli di chiarirgli il suo giudizio non proprio positivo sul sindaco di Pirano, Bosman, primo esponente di colore (ovvero di origine africana) la cui elezione non sarebbe, per Pahor, un grande indicatore del senso di appartenenza alla cultura slovena dei piranesi, ma glisso e vado dritto alla questione.

Perché ritiene che la Slovenia debba essere il legittimo titolare delle mirabili opere - del Tintoretto tanto per fare un solo nome - che durante la Seconda Guerra Mondiale furono ricoverate da Pirano e
Capodistria a Roma al fine di essere protette e tutelate dai bombardamenti anglo-americani e ciò in quanto tali località ora sono sotto sovranità slovena, dato che le chiese che ospitavano quelle opere oggi risultano vuote?
I 350 mila italiani che lasciarono l'Istria e la Dalmazia - pari al 97% della popolazione colà presente - al termine della seconda Guerra Mondiale a seguito della persecuzione titina, non hanno forse svuotato
l'anima e l'essenza di una terra?

Ce lo spieghi e se sarà convincente gliene daremo atto.
La sua venerabile età e la sua cultura saranno autorevoli premesse.
Ancora una chiosa però.
E se un giorno i presidenti di Slovenia e Croazia avessero cuore di inchinarsi anche solo simbolicamente alla foiba di Basovizza, quale sarà il pensiero del professor Boris Pahor?
Mancanza di senso nazionale?

Simone Momianesi

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