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Lunedì, 29 Aprile 2024
Lo studio

Asugi, un nuovo studio mostra la prevalenza e i fattori di rischio di long-Covid-19

L’indagine è stata condotta durante giugno-agosto 2022 tramite questionario autosomministrato. La prevalenza di long-Covid-19 è stata indagata a 30-60 o 61+ giorni dalla fine del periodo di infettività

È stato da poco pubblicato sulla rivista internazionale Vaccines da Luca Cegolon, Francesca Larese Filon; Marcella Mauro dell’UCO di Medicina del Lavoro Asugi (e da altri colleghi), uno studio multicentrico del progetto Orchestra per stimare la prevalenza e i fattori di rischio di long-Covid-19 su lavoratori della sanità di Trieste, Padova, Verona e Modena-Reggio Emilia.

L’indagine è stata condotta durante giugno-agosto 2022 tramite questionario autosomministrato. La prevalenza di long-Covid-19 è stata indagata a 30-60 o 61+ giorni dalla fine del periodo di infettività (primo tampone negativo).

I dati

Su 5.432 lavoratori che hanno partecipato allo studio 2.401 si erano infettati almeno una volta, 238 almeno due volte e otto si erano infettati tre volte. La prevalenza di Covid-19 lungo dopo un’infezione primaria Covid-19 era del 24,0 per cento a 30-60 giorni contro il 16,3 per cento a 61+ giorni, mentre scendeva al 10,5 per cento contro il 5,5 per cento dopo una prima reinfezione SARS-CoV-2.

I sintomi

I sintomi più frequenti dopo un’infezione primaria Covid-19 erano astenia (30,3 per cento), seguita da mialgia (13,7 per cento), tosse (12,4 per cento), dispnea (10,2 per cento), deficit di concentrazione (8,1 per cento), cefalea (7,3 per cento) e anosmia (6,5 per cento), in ordine decrescente di prevalenza.

Il rischio di sviluppare il long-Covid-19

Il rischio di long-Covid-19 a 30-60 giorni era significativamente maggiore negli operatori ricoverati per Covid-19, quelli infettati durante le prime ondate pandemiche - vale a dire i periodi di circolazione delle varianti Wuhan o Alpha - aumentava progressivamente con la durata della positività al tampone naso-faringeo in particolare 15+ giorni dalla diagnosi di Covid-19. Inoltre il long-Covid-19 era più frequente negli operatori di sesso femminile, in quelli di età superiore a 40 anni, con BMI fuori norma o impiegati nei servizi amministrativi.

Al contrario, gli operatori sanitari vaccinati con due dosi prima dell’infezione primaria, gli studenti universitari o i medici specializzandi avevano meno probabilità di sviluppare il long-Covid-19 a 30-60 giorni. A parte le ondate pandemiche, i principali fattori di rischio per long-Covid-19 a 30-60 giorni si confermavano a 61+ giorni.

Il rischio di sviluppare long-Covid-19 dopo infezione primaria aumentava con la gravità della malattia acuta e la durata di positività del tampone naso-faringeo, soprattutto durante le ondate pandemiche iniziali, quando circolavano ceppi virali più patogeni, e la suscettibilità al SARS-CoV-2 era maggiore poiché la maggior parte degli operatori sanitari non erano stati ancora infettati, i vaccini contro il Covid-19 non erano ancora disponibili. Il rischio di long-Covid-19 quindi
diminuiva inversamente all’immunità umorale anticorpale. Tuttavia, la prevalenza di Covid-19 lungo era notevolmente inferiore dopo le reinfezioni da SARS-CoV-2, indipendentemente dallo stato di vaccinazione, suggerendo che l’immunità umorale ibrida non conferiva maggiore protezione rispetto all’immunità ottenuta tramite infezione naturale o vaccinazione separatamente.

Poiché il rischio di long-Covid-19 è attualmente basso dalla comparsa della variante Omicron in poi (cioè da dicembre 2021) e i pazienti che hanno sviluppato la sindrome in seguito ad infezione SARS-CoV-2 nelle prime ondate pandemiche tendono a ritornare con il tempo a uno stato di piena salute, un approccio efficiente per lo screening dei sintomi post-Covid-19 dovrebbe concentrarsi ai soggetti più fragili a rischio di ospedalizzazione e/o con prolungata durata di positività al tampone.

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